Visualizzazioni totali

domenica 25 marzo 2012

Una Famiglia napoletana molto interessante: i MASTRIANI

Nell'800 a Napoli vive ed opera la famiglia Mastriani, una famiglia borghese, di non grandi mezzi economici, ma di grandi interessi culturali ed artistici come dimostra il fatto che nel suo ambito troviamo tre notevli personalità che si esprimono in questi ambiti. Il primo personaggio di un certo rilievo è Raffaele, funzionario borbonico: Segretario del Consiglio di Abbigliamento nell'Amministrazione Generale dei Dazi Indiretti, disegnatore, scrittore umorista per divertimento e corografo, con Ferdinando De Luca, di fama europea ai suoi tempi. La corografia è lo studio del territorio antropico e storico relazionati tra loro. Di lui restano i suoi lavori corografici alla Biblioteca Nazionale di Napoli e gli scritti donati da un nipote che hanno formato il Fondo Mastriani. C'è una bella stampa che lo raffigura. E che la sua effige sia stata riprodotta in stampa col suo nome ci testimonia che fosse un personaggio noto e stimato.
Vi è poi il più noto Francesco nato il 23 novembre 1819 e morto il 7 gennaio 1891, scrittore.
A questo punto c'è un piccolo giallo molto complicato. Francesco Mastriani è il personaggio della famiglia certamente più noto. Risulta da Wikipedia figlio, insieme a Ferdinando e altri fratelli e sorelle, di Filippo, ingegnere con due matrimoni e molti figli, ma tale paternità non risulta né da enciclopedie né dall'unica biografia su di lui di Gina Algranati.
 Dall'archivio storico anagrafico la notizia parrebbe confermata, ma... nella famiglia Mastriani i nomi si ripetono e anche Raffaele ha un figlio Francesco ed uno Ferdinando, ma la cosa non finisce qui. Nelle Carte Mastriani, donate da un erede, della Biblioteca Nazionale di Napoli, ci sono delle lettere nelle quali Francesco e Ferdinando scrivono a Raffaele chiamandolo padre, inoltre l'erede che ha donato le carte era il figlio di Pia Mastriani e Francesco, lo scrittore e Ferdinando, il pittore, erano i fratelli della madre, ma Filippo non ha nessuna figlia di nome Pia, Raffaele sì.
Tali ricerche saranno ulteriormente approfondite e spero di riuscire a risolvere questo piccolo mistero. Comunque di chi siano figli i nostri due personaggi è relativo dato che sono loro i nostri protagonisti.
La fama di Francesco Mastriani credo che travalichi l'ambito strettamente napoletano. Autore di più di cento romanzi, tra i quali 'La cieca di Sorrento', del quale credo che tutti abbiano sentito parlare. E' oggi ritenuto anche il padre del giallo nel nostro paese per il suo romanzo: Il mio cadavere. Scrisse anche molti articoli ed è considerato un grande esperto di 'napoletanità' nel senso più importante: usi e costumi della città furono da lui immortalati e chiunque sia interessato ad essi si rifà per lo più a quello che lui ha raccontato.
La fortuna non arrise mai allo scrittore, che visse una vita molto misera. Ritenuto un autore popolare nel senso dispregiativo della parola, fu in realtà sfruttato da editori e giornali che vissero della sua opera e della sua popolarità, dando a lui le briciole e l'indigenza perseguitò questo figlio misconosciuto della città. Negli anni '70 del Novecento, un altro napoletano, il regista Ugo Gregoretti, gli ridiede qualche notorietà molto tardiva con lo sceneggiato televisivo tratto dal suo romanzo 'I vermi'. Più recentemente è stata messa in scena la Medea di Portamedina con Giuliana De Sio e Cristian De Sica.
L'opera di Mastriani è stata paragonata a quella di Sue, ma sempre dicendo che la sua è molto inferiore a quella dell'autore francese.
Quando morì la città lo pianse e finalmente qualcuno, Matilde Serao, scrisse su di lui un bell'articolo riconoscendogli un valore che in vita gli era sempre stato negato. Anche Benedetto Croce apprezzò Mastriani tanto che volle che Gina Algranati scrivesse la sua biografia, che l'autrice dedicò al filosofo e che credo sia l'unica, perché comunque Francesco Mastriani è tornato nel mondo dei dimenticati, il suo nome non dice niente ai più al di fuori del mondo degli studiosi e di qualcuno interessato alla storia della città o particolarmente acculturato. Persino la strada che la città gli ha dedicato è poco più di un breve vicolo in una zona popolare e periferica, anche se può consolare che nella stessa zona una strada è dedicata a Pier delle Vigne.

Nel 1838 nasce all'ingegnere Filippo (?) un altro figlio, Ferdinando, nel 1850 all'età di 12 anni viene iscritto all'Accademia di Belle Arti: evidentemente anche Ferdinando dimostra delle doti artistiche.
Della sua carriera artistica non si sa molto. Reperirne notizie non è impresa da poco, ed è sconosciuto anche agli appassionati, pur avendo legato il proprio nome a varie mostre nazionali del suo tempo non solo a Napoli.
Dai primi titoli che troviamo ci si rende conto che il Mastriani segue la pittura accademica sia nei soggetti che nella tecnica. Le opere di questo primo periodo non sono certamente esaltanti, così accademiche nei personaggi e nelle forme.
Nella 5° Mostra della Promotrice di Belle arti di Napoli nel 1867 troviamo una sua opera dal lungo titolo: “Nello della Pietra credendo vera l'infedeltà della moglie Pia dei Tolomei le toglie l'anello nuziale”, opera alla quale Tito Dal Bono non risparmia critiche, ma non sul soggetto in riga col gusto corrente ma sulla composizione e l'anatomia, ma poi la loda per una figura di spalle 'per eleganza e garbo'. Nell'esposizione del 1871 poi sappiamo di un'opera intitolata 'La curiosità', nel '72 il titolo dell'opera che espone è: La confidenza; nel 1874: Il mio album; nel '75 Mariella; nel '76: Ortensia; nel '78: Il mio Modello nel '79: Fosmà. Sembra chiaro che si tratti per lo più di ritratti e che Mastriani si sia allontanato dallo stile Neoclassico.
Nel 1882 sappiamo che ha dipinto una pala per la Cappella del Pio Sodalizio del Cimitero di Nola: La Congrega dei Preti venera S. Sossio, quadro che negli anni '90 del Novecento è stato rubato e non se ne conosce una immagine. Siamo comunque lontani per i soggetti da una pittura che possa realmente stimolare soprattutto oggi. Mastriani ha poi eseguito ad Ischia, per la chiesa di Santa Restituta a Lacco Ameno, una serie di dipinti con la storia della Santa. Si tratta di una pittura modesta invero, di tipo popolare. I colori sono chiari, le immagini abbastanza ingenue: un racconto popolare ed una pittura popolare. Non si nota una vera drammaticità e il linguaggio è ancora legato ai modi accademici, sembrano più delle illustrazioni di un libro che degli affresci o tavole. I personaggi non hanno pathos, non hanno anima. E' un racconto dal quale l'artista non è coinvolto, un racconto svolto con diligenza da un pittore modesto.
E qui sta il punto: Ferdinando Mastriani negli anni '70 ha una svolta nella sua pittura e questo lavoro commissionatogli non lo ha realmente ispirato, è lontano dai nuovi parametri ai quali è oramai  interessato.
Presso vari privati, invero discendenti della famiglia Mastriani, vi sono delle tele e delle tavole tutte di dimensioni modeste, nelle quali Mastriani si rivela un pittore intimista, il suo è un mondo di sentimenti, studia l’essere umano in una serie di ritratti, alcuni molto ben riusciti sia per qualità pittorica sia per espressività del personaggio che spesso si racconta, e in una serie di quadri d’interni. Non conosciamo paesaggi, tranne un paio: uno di Ischia ed un paesaggio alpino, nei quali pare che non si faccia affascinare dalla bellezza dei luoghi: non appartiene alla scuola di Posillipo o a quella di Resina, come la maggior parte dei suoi colleghi napoletani, è più interessato alle espressioni dei volti, a figure in interni che emanano una sottile malinconia.
Non si sa se abbia avuto contatti con gli impressionisti, come ipotizzò il maestro Armando De Stefano, osservando delle sue opere. Certo si è distaccato dal genere accademico neoclassico non solo nei soggetti, ma anche nella tecnica pittorica, con cui aveva iniziato il proprio percorso artistico. Ha abbandonato quella pittura precisa, piena di dettagli calligrafici, da cui proviene per formazione e per costume del tempo e si è avventurato nel terreno di una pittura che si affida alla pennellata più rapida e meno puntuale, ma molto più espressiva e di maggiori contenuti. Abbandona i soggetti storici per raccontare il mondo quotidiano che lo circonda, dal proprio studio alle persone che lo attorniano, che gli sono care.
Certamente con questa svolta la sua pittura assume una fisionomia più intensa e personale e vi sono delle opere che davvero arrivano ad un alto livello qualitativo ed espressivo, molto superiore a quello di alcuni suoi colleghi ancora visibili in libri e per i collezionisti.
Nell’esame attento delle opere del Mastriani, che ho potuto studiare, purtroppo però si riscontra una certa volubilità nel lavoro. La resa non è omogenea, mentre in alcune tele davvero ci troviamo davanti ad opere di un alto livello pittorico ed espressivo, altre volte appare più svogliato nell’esecuzione. Conoscendo poco o nulla della sua storia personale ed artistica, restando quindi difficile stabilire, sia una cronologia del suo lavoro sia le sue vicende, si può ipotizzare o che abbia avuto periodi di svogliatezza artistica o di disinteresse per il soggetto da rappresentare e di poca sintonia con esso. Oppure dobbiamo datare i suoi lavori meno riusciti come i primi passi della sua avventura pittorica nel distacco dallo stile neoclassico.
Certo sono frutto di una maturità artistica ormai raggiunta il Ritratto di donna con velo, o il Ritratto maschile che presumibilmente raffigura il fratello Francesco, o ancora quello della sorella Pia.
Si riscontra una stranezza nel lavoro di questo artista. Le opere che vengono da un membro della famiglia e sono in una collezione privata, non sono firmate, tranne un ritratto di Garibaldi, del quale non si sa naturalmente se fu eseguito dal vero o da una fotografia. E non si sa dove siano finite le opere da lui esposte, opere delle quali si hanno anche dei titoli, ma non si sa se siano quelle di cui siamo a conoscenza, (cosa poco probabile per la mancanza, appunto, della firma) o siano in altre collezioni private, dubitiamo molto che siano in musei.
Probabilmente proprio il fatto che sono opere rimaste ad una sorella ha fatto sì che non le firmasse. Potrebbe anche essere un simbolo della poca fiducia nella comprensione del pubblico per il suo nuovo linguaggio pittorico, oppure non dare un valore adeguato al proprio lavoro, forse perché l’apprezzamento pubblico non è rilevante. Naturalmente questa è solo un’ipotesi che facciamo per darci una risposta plausibile. E ce ne viene un'altra: non abbiamo date, questo potrebbe anche dire che Mastriani ad un certo punto era troppo avanti coi tempi per essere compreso in questa sua nuova visione pittorica.
Una cosa è certa, Ferdinando Mastriani è un pittore certamente quasi sconosciuto e certamente non studiato, inoltre la reperibilità delle sue opere è quasi impossibile. Però sappiamo che le opere che abbiamo visto sono di rilievo e la nostra opinione è stata condivisa da qualche altro esperto d'arte.
Si resta, a questo punto, un po’ interdetti per il suo mancato successo in vita ed il totale oblio dopo la morte. Verrebbe da pensare che la sorte sia stata beffarda con questi due talentuosi fratelli, uno morto in miseria nonostante fosse molto noto e molto amato dal popolo napoletano e avesse lavorato tanto, producendo una quantità davvero immane di scritti e non solo di letteratura popolare, ma giornalistica di rilievo, tanto che è uno degli autori più citati per quanto riguarda usi, costumi, tradizioni, eventi della storia cittadina (sono davvero tanti persino i siti in internet che lo citano e ne riportano interi articoli), l’altro morto quasi dimenticato nonostante di lui si dica che fu a lungo operante in città, pur essendo le sue capacità artistiche di un certo rilievo e pur avendo partecipato a molte mostre in tutta Italia. E’ infatti presente oltre che a Napoli nelle mostre della Società Promotrice di Belle Arti a Torino, Firenze, Milano, Genova.
                                  Maresa Sottile




giovedì 8 marzo 2012

 IL Futurismo
Nel 2008 Parigi, ha iniziato i festeggiamenti per il centenario del Futurismo, essendo la pubblicazione del Manifesto Futurista avvenuta il 20 febbraio 1909 su Le Figaro, come cercasse di appropriarsi di questa Avanguardia culturale, che tanto scalpore fece e tanta influenza ebbe sulla cultura ed arte del '900. Ciò è lusinghiero per il Futurismo e per l'Italia, che con questa vanguardia artistica uscì dall'ombra in cui era relegata da cento anni, dopo secoli di gloria.
Ma la pubblicazione del Manifesto è solo l'acme di un lungo lavoro preparatorio intrapreso da Filippo Tommaso (il suo vero nome era Emilio Angelo Carlo) Marinetti da svariati anni.
Nato ad Alessandria d'Egitto nel 1876 in una famiglia benestante, formatosi culturalmente in un collegio gesuita italo-francese, parla e scrive perfettamente anche in questa lingua. Si trasferisce poi con la famiglia a Milano e frequenta molto Parigi.
A Milano trova un clima culturale e sociale che influisce sulle sue idee e sulla sua formazione. Vi è il retaggio della Scapigliatura: una stagione orientata alla ribellione per la ribellione, inoltre la città si sta trasformando da artigianale ad industriale, creando nuove istanze sociali, ma anche un clima del tutto diverso dal provincialismo che si respira nel resto del Paese.
Marinetti, già laureato in lettere alla Sorbòna a soli 18 anni, si iscrive col fratello Leone a legge all'università di Pavia. Leone a soli 22 anni muore e questo sarà per Marinetti uno dei più grandi traumi della sua vita.
Si laurea anche in legge, ma subito dopo si dedica alla sua vera vocazione, la letteratura. Scrive e pubblica già nel 1902 poesie, opere teatrali, romanzi in francese sia in Italia che in Francia dove diventerà piuttosto noto. Vince il concorso letterario dei Samedie populaires con 'Vieux Marins'
Nel 1905 fonda, con Sem Benelli e Vitaliano Ponti, la rivista Poesia, a cui collaboreranno anche Carducci, Pascoli e D'Annunzio, e da qui partirà il suo lavoro preparatorio anche attraverso una operazione di aggregazione, e che dopo il '909 sarà l'organo ufficiale del Movimento. Posto poi preso, alla chiusura di Poesia, dalla rivista Lacerba di Giovanni Papini e Ardengo Soffici, a cui lui collaborerà, finendo poi con l'appropiarsene. L'idea del Manifesto Futurista non nasce quindi dall'oggi al domani ma da una lunga incubazione dovuta a tutte le esperienze socio-culturali del suo ideatore. In effetti la stessa parola “futurismo” non è sua, fu usata per la prima volta “Nell'augurio dell'Italia futura” più di 60 anni prima da Gioberti.
E già prima della pubblicazione su Le Figaro il famoso Manifesto del Futurismo era uscito su quasi tutti i giornali italiani, integralmente (come a Napoli su Tavola Rotonda dell'editore Bideri il 15-02), o parzialmente o riassunto, dato che M. lo aveva inviato a tutti, riscuotendo per lo più commenti ironici. Il primo a pubblicarlo integralmente fu la Gazzetta dell'Emilia di Bologna il 5-2. (In realtà Marinetti aveva ritardato la data del suo attacco sul fronte dell'arte e della società contemporanea a causa del terremoto di Messina.)
Ma è a Parigi da cui si deve partire per conquistare l'attenzione del mondo, da un secolo è infatti il centro culturale e artistico dell'occidente.
Sfruttando le sue conoscenze, corteggiando la figlia di un amico egiziano del padre (Mohamed el Rachi) azionista del Le Figaro, ottiene la pubblicazione del suo Manifesto, compreso il proemio preparatorio, sulla prima pagina del famoso giornale parigino, impegnato culturalmente e molto importante.
L'Italia è frattanto impantanata in una cultura troppo legata al passato, che non si rende conto di quanto sta accadendo intorno a sé: nuove tecnologie, scoperte scientifiche stanno cambiando il volto del mondo e quindi nuovi valori vanno formandosi e ci sono urgenze nuove che la cultura e l'arte non possono ignorare e non si può continuare a glorificare un mondo che non c'è più. Tutte idee che già circolano, ma il grande comunicatore Marinetti le urla a perdifiato e crea scalpore.
Marinetti ha compreso e usato la comunicazione di massa e l'impatto dell'eccesso scandaloso: bisogna far parlare di sé magari male, anche contro.
Ciò significa creare curiosità, notorietà, su un terreno già preparato negli anni dagli scritti suoi e dei suoi seguaci.
E il lavoro non si ferma, Manifesti, volantini coloratissimi, Serate Futuriste, conferenze, articoli, per cercare proseliti, che a loro volta facciano altri proseliti, contatti, lettere, un vero Public Relation Man. Marinetti girerà mezzo mondo con le sue performance, le sue opere, suscitando polemiche, risse, entusiasmo e disprezzo, curiosità, rifiuti, critiche, ma certo facendo parlare di sé e del Futurismo. Coinvolgerà nelle sue idee artisti di tutto il mondo, soprattutto giovani.

Ma cosa dice questo famoso manifesto che tanto fa parlare di sé e del suo autore?
Sono 11 punti o articoli (l'11 è il nro fortunato dei futuristi) in cui si propugnano tutte le nuove tecnologie e la loro bellezza: l'automobile viene detta più bella della Nike di Samotracia; in cui si vogliono distruggere tutti i musei; in cui si esalta la velocità e si condanna chi è legato al passato, si esalta la partecipazione dell'operaio come dell'artista, l'azione e la violenza e si definisce la guerra 'unica igiene del mondo', si proclama il disprezzo per la donna. E specifica che ciò che proclama viene dall'Italia.
A primo acchito tutto è piuttosto sgradevole, anche perché queste dichiarazioni sono espresse così violentemente che irritando non fanno troppo riflettere.
Le sue idee non sono solo sue, all'inizio lo stesso Croce, poi Bergson, Sorel, Nietzsche, saranno suoi ispiratori, e sono idee che molti condividono a cominciare da quelle della guerra, dell'azione anche violenta; quello che fa scandalo invece è il rifiuto del passato. Quanto all'entusiasmo per le macchine e la velocità già altri se ne erano fatti propugnatori: Mario Morasso giornalista e saggista che gode di grande fama e stima anche all'estero alla stregua di Bened. Croce, poi fondatore della rivista ”Motori, Aereo, Cicli eSports”, aveva già affrontato molti dei temi che tratterà M.
Anche il concetto di verso libero, che assieme alla parolibera, Marinetti propugnerà anche nelle sue opere, vedi 'ZAM TUMB TUMB, non è il primo ad usarlo, ma fu il poeta Gian Pietro Lucini, che poi collaborerà anche lui alla rivista Poesia.

La sgradevolissima frase sul disprezzo della donna in realtà è il rifiuto verso il tipo della 'donna ideale' romantica, esaltata in quel tempo, da D'annunzio in testa, che Marinetti non ama e che ormai detesta da quando si è proclamato Vate, alla morte di Carducci, lontana dal suo reale valore di donna che deve essere pari all'uomo, come infatti egli riterrà sempre la compagna e poi moglie Benedetta. I futuristi, cantori della forza e del dinamismo, detestano il romanticismo, il chiaro di luna e cose simili. Ma anche lo scandaloso distruggere i musei è soprattutto provocazione, perchè in realtà ce l'ha con chi resta ancorato a quello che è stato ed è cieco alle istanze del proprio tempo.
Ed è interessante a questo punto vedere come M, che rifiuta e contesta la cultura ufficiale italiana, scriva a Croce per averne consenso, magari adesione. Ma il filosofo si astiene dal rispondergli, forse presago dei contrasti futuri fra le idee del poeta e le proprie. Idee che toccano l'argomento più sensibile: la politica.
E qualche tempo dopo la vendetta dei futuristi: De Pero e Cangiullo inscenano il funerale di Ben. Croce durante una famosa serata futurista a Roma.
Inizialmente ispirato dal socialismo, proprio come Mussolini, Marinetti corre su binari convergenti col Fascismo (Croce dirà che il Futurismo fu il germe naturale del fascismo): l'esaltazione dell'azione, la partecipazione attiva delle masse operaie, anche violenta se occorre, la necessità della guerra........
Oggi si tende a rivalutare la figura di M. a proposito della sua adesione al fascismo, è infatti vero che se ne allontanò quando salì al potere cambiando il proprio volto, come è vero che scrisse una lettera (a suo tempo non divulgata) in cui protestava contro le leggi razziali e contro coloro che profittandone erano corsi ad accaparrarsi i posti importanti lasciati vacanti da insigni personaggi che avevano il torto di essere ebrei; ma se ne allontanò anche perché era mal visto dagli ambienti intorno al Duce, allontanandosi addirittura dall'Italia.
Però poi ci si riavvicinò molto opportunisticamente, quando il suo successo a livello europeo andò scemando e si mise al suo servizio. Lavorò per il Regime, fu fatto Accademico d'Italia e certo il fascismo non aveva cambiato il proprio volto né la propria strada.
Le idee futuriste investirono tutti i campi della cultura e dell'arte: dalla musica alla fotografia, dalla pittura all'architettura, dal cinema alla letteratura, alla musica e valicarono tutte le frontiere. Ed è interessante vedere come i suoi detrattori o critici in apparenza irriducibili, piuttosto rapidamente cambino idee e si leghino a Marinetti e al futurismo. Apollinaire per tutti, che apostolo del cubismo inizialmente s'indigna del futurismo e lo osteggia, poi si avvicinerà a Marinetti ed ai futuristi e ne dirà bene. Come nel contempo esperienze futuriste vengano disdegnate dai futuristi stessi quale quella fotografica di Anton Giulio Bragaglia, del tutto ingiustamente (i pittori ce l'hanno sempre avuta con la fotografia dalla sua comparsa).
Il punto di forza del Futurismo, nato come movimento letterario, fu certamente l'adesione del mondo dell'arte figurativa, Boccioni, Balla, Carra, Severini, Russolo, Sant'Elia e poi De Pero e tanti altri fanno esperienze futuriste anche se poi alcuni se ne allontaneranno per sempre.
Quando si dice Futurismo quindi è indubbio che tutti pensino all'arte figurativa e non ha torto, perché è la manifestazione futurista che resta più pregnante nel mondo culturale ed artistico, quella che più di tutte verrà seguita, imitata, che porterà più di ogni altra l'Italia sulla ribalta mondiale dell'arte, facendola uscire dal pantano della tradizione.
Fu fortuna o destino che fece sì che i pittori che bussarono alla porta di Marinetti a via Genova 2 a Milano, sua abitazione e quartier generale, per aderire al Manifesto fossero delle grandi personalità oltretutto sinceramente e fortemente coinvolte dalle idee Futuriste? Boccioni, Balla, Carrà, Severini, Russolo che nel suo salotto subito scrissero il Manifesto della Pittura Futurista a cui si unì Antonio Sant'Elia, che purtroppo per la prematura scomparsa in guerra, quella guerra tanto glorificata dai futuristi, ci ha lasciato solo disegni delle sue ardite architetture che guardate oggi sono davvero precorritrici della grande metropoli, anche più ardite, razionali e futuristiche di quelle reali. Un piccolissimo esempio, li avrete visti nei film americani e se andate al Centro Direzionale ne potrete prendere uno: parlo degli ascensori tutti di vetro che scivolano sulle pareti esterne degli edifici. Perchè gli ascensori non devono più 'nascondersi nelle viscere dei palazzi' scriveva Sant'Elia.
E voglio anche ricordare un personaggio come Russolo, musicista, poeta e pittore e anche delizioso disegnatore, che con il suo 'intonarumori' sarà in certo senso un precursore in Italia della musica dodecafonica di Schomberg, e addirittura di quella elettronica.

Ciò che soprattutto vogliono rappresentare i pittori futuristi è il movimento e tutto quello che ciò implica, e la simultaneità delle azioni e della sua memoria nel tempo in cui si attua, le emozioni che ne derivano, la partecipazione di chi guarda che viene posto al centro dell'opera con le sue sensazioni e non più al di fuori. E sarà Boccioni il più grande interprete di quell'elain vital (slancio, impeto vitale) di cui parla Bergson, filosofo a cui molto devono sia i cubisti che i futuristi. Ed è certo che sono questi ultimi i migliori interpreti del suo pensiero. Come è certo che la scultura di Boccioni 'Forme uniche nella continuità dello spazio' è il massimo capolavoro del futurismo e uno dei più grandi dell'arte in genere. Il dinamismo delle forme piene e vuote, delle linee dinamiche nello spazio hanno dato vita, a mio avviso, ad una delle opere più significative ed emozionanti della storia dell'arte di tutti i tempi.
I pittori futuristi partono tutti da esperienze divisioniste, allora in voga in Italia, (derivate dal pointillisme), cioè l'uso del colore puro messo a piccoli tocchi ravvicinati, che ha la proprietà di dare un effetto di maggiore luminosità del colore, tecnica che nasce da scoperte scientifiche nel campo dell'ottica e che in parte continueranno a sfruttare. E la luce è uno degli obiettivi dei futuristi, ma non quella naturale bensì quella elettrica. Via la luna viva i fanali.
Naturalmente le mostre dei Futuristi creeranno scompiglio, polemiche e critiche. Alla prima mostra dei futuristi a Parigi 'La risata' di Boccioni verrà sfregiato. Ma l'influenza di questa nuova Avanguardia artistica toccherà molti. E dal suo tronco possente nasceranno ramificazioni futuriste di ogni tipo e in ogni luogo.
Nascerà il futurismo russo, in Inghilterra il Vorticismo, il cubismo e gli stessi Picasso e Braque ne verranno sia pur per breve tempo coinvolti con esperienze cubo-futuriste, ma le opere cubo-futuriste verranno molto criticate e Delanuy fu associato ai futuristi per la sua 'Figura che scende le scale', anche se asserisce di averla dipinta prima che apparisse il Manifesto, protesta e si dissocia, ma ancora molti ce lo rifilano come tale, e questo ci fa ancor meglio comprendere come il pensiero futurista fosse nell'aria. Nascerà l'Orfismo, quello che potremmo definire un ibrido tra esperienze cubiste e futuriste.
L'opera di divulgazione marinettiana e dei suoi continuerà a battere incessantemente tutta Europa, persino il Sudamerica, non dimenticando però l'Italia, con eventi di ogni genere, pubblicazioni di Manifesti persino dell'arte culinaria.
E' questo il periodo del Futurismo Eroico, la prima stagione del Futurismo che finita la Grande Guerra vivrà un periodo di dimenticanza in quanto nuove avanguardie si affacceranno alla ribalta e molte idee andranno cambiando dopo la terribile esperienza di una guerra devastante che ha costretto il mondo ad esperienze mai prima vissute facendo morire in molti certi entusiasmi, utopie e anche smargiassate proprie di questo Movimento di pensiero e di azione.
Tornato Marinetti in Italia non cesserà mai la sua opera di divulgazione del Futurismo, facendo aprire una nuova stagione di quest'Avanguardia che intanto è stata superata da altri concetti e avanguardie quali il Dadaismo, il Surrealismo, l'Astrattismo, il Concretismo e così via. Bisogna dire anche però che le idee artistiche futuriste hanno ancora una valenza concettuale e molti pittori delle nuove generazioni vi si avvicineranno facendo vivere la stagione del Secondo Periodo Futurista, quello inaugurato dall'Aeropittura nel '29, nuova passione di Marinetti è l'aereo, e che finirà nel '44 con la morte di Marinetti. Stagione chiusa proprio ufficialmente con una cerimonia e l'apertura di un centro che conservasse le memorie del Movimento.
Non si può negare che questa seconda stagione ebbe molti adepti, ma anche che i futuristi di questo periodo risentono delle esperienze delle altre avanguardie, soprattutto di quella cubista.
Quale fu sin dall'inizio il rapporto di Marinetti con la nostra città e della città con lui?
Napoli, come tutte le città del Paese ebbe le sue serate futuriste, le sue polemiche, le sue risse, i suoi adepti e i suoi critici. Tra l'altro Futurista della prima ora fu Francesco Cangiullo, personaggio poco noto oggi forse perché non eccessivamente messo in luce da Marinetti che però lo 'usò' molto. Poeta e pittore che divenne quasi il braccio destra di Marinetti, che lo seguì dovunque e che compose un'operetta: Piedigrotta piena di suoni onomatopeici e con strumenti quale il putipu, lo scietavaiasse e il tricaballacche, strumenti che con i loro suoni violenti piacevano molto a Marin. Ma in genere l'accoglienza al Futurismo della classe colta e di potere non è né di troppa simpatia né di troppo interesse. Roberto Bracco se ne distanziò quasi con sdegno, anche se poi i suoi rapporti mutarono (come sempre abbiamo visto accadere) tanto che Marinetti lo salvò con altri dal carcere, data la sua posizione nel Fascismo.
C'è un personaggio molto interessante: l'editore Casella, che ha rimesso in sesto la propria casa editrice lasciatagli da padre in cattive acque e sarà poi il primo editore di Kaput di Malaparte, che resta affascinato da Marinetti e dal Futurismo e nei suoi locali di Piazza Municipio si terrà la prima mostra del Futurismo a Napoli. Casella diventerà molto amico di Marinetti con cui trascorrerà anche varie vacanze a Capri. Marinetti ama Napoli anche se ha parlato piuttosto male della città e dei suoi cittadini, ma c'è qualcosa che lo attira: il Vesuvio per lui è un simbolo di latente forza violenta, anche distruttrice e questo ovviamente gli piace; e scrive una poesia 'Spiralando sul golfo' dopo averlo sorvolato col suo idrovolante; Boccioni dipingerà 'Sotto la pergola a Napoli, gli piacciono gli scugnizzi che vuole nazionalizzare, gli piace la parola in sé, che viene da 'scugnare' (rompere) dal latino excuneare, e la usa dicendo: “a Croce opponiamo lo scugnizzo italiano”.
E infine ama Capri a cui non vorrà mai far toccare la sorte che vorrebbe per Venezia, riducendo il Canal Grande ad arsenale militare per dominare il 'Lago Adriatico' dopo averne raso al suolo le inutili testimonianze del passato. Marinetti e i futuristi amano molto l'isola dove si rifugiano spesso, fanno mostre, trascorrono periodi molto gradevoli e ne parlano bene entusiasticamente. La sua natura primigenia gliela fa amare. Anche a Napoli Marinetti viene comunque altrettanto volentieri. Un altro editore: Sprovieri di Roma, che vorrebbe prendere il posto di Casella per i futuristi, ma, con poco successo, apre una galleria d'arte omologa a quella romana: la Galleria Sprovieri a palazzo Spinelli in via dei Mille dove si faranno le mostre futuriste. Marinetti segue molto tutti i suoi seguaci in ogni luogo, anche quelli napoletani spronandoli, intrattenendo rapporti epistolari e amichevoli, proteggendoli ed aiutandoli.
Uno dei futuristi del primo periodo (1916) fu Emilio Notte. Notte era originario della Puglia ma per motivi familiari nel 1907 si trasferisce in Toscana e qui verrà a contatto con molte personalità artistiche e di alto livello culturale, a partire da Fattori, e tra cui Malaparte, Prezzolini, Soffici, e Marinetti dal quale sarà introdotto nel salotto milanese di Margherita Sarfatti. Dal '16 era ormai nelle file futuriste. Insegnò dal '24 al '26 a Roma nella Scuola Libera del nudo e dal '29 ebbe la cattedra di pittura a Napoli.
Con lui iniziò un metodo di insegnamento che rinnovò l'ambiente artistico napoletano dai vecchi stilemi imperanti post-ottocenteschi. Non poteva essere diversamente: un artista che aveva partecipato ad una delle avanguardie più importanti del tempo, conosciuto i più grandi pittori e uomini di cultura, non poteva che portare un soffio di rinnovamento. Ma non fu ben accolto, neanche lui, anzi piuttosto osteggiato e isolato per molti anni. Ma non dai suoi allievi di cui aveva la stima e l'ammirazione.
Dalla sua scuola usciranno poi artisti quali, Leone, Persico, Pisani, Del Pezzo. Emilio Notte è una di quelle figure un po' dimenticate, anche se di grande valore, e ci auguriamo che in futuro lui e la sua opera vengano studiate e valorizzate.
E' nel secondo periodo del Futurismo che Napoli è più coinvolta e gli artisti che vi operano sono anche influenzati da altri movimenti innovatori (es. Il Cubismo) per cui questo periodo si diversifica dal precedente.
L'elenco dei futuristi napoletani è piuttosto corposo, Piscopo, Buccafusca, Lepore, Jappelli, tra loro alcuni fondarono il Circumvisionismo, che si distaccava dal Futurismo per il rifiuto degli ideali di tipo fascista e dalla idea esasperata della macchina. Altri dettero vita all'UDA: Unione Distruttivisti Attivisti, Paolo Ricci, Mario Vittorio. E come in altre città nasce il Blocco Forze Futuriste Napoletane.
Nomi importanti fanno esperienze futuriste da Pierce a Ricci, a Pepediaz, a Buccafusca.....
Parlerò di alcuni di essi, anche perché ho avuto l'onore, ma soprattutto il piacere di conoscerli personalmente e non da lontano come mi è capitato con Notte o con Ricci quando ragazzina frequentavo il Liceo artistico.
Il primo che ho conosciuto fu Vittorio Piscopo. Ma la nostra non fu una conoscenza per motivi d'arte, almeno non di quella figurativa. Ci conoscemmo all'Auditorium della Rai nella stagione dei concerti sinfonici, la nostra fu una simpatica amicizia ma in realtà confesso che allora, ancora molto giovane, poco sapevo di lui oltre che era un pittore. Era molto più grande di me e non entrava nel mio panorama allora legato a De Stefano, Pisani, Alfano, ecc., amici, maestri, esperienze che entravano nella mia storia. Sapete come si è quando si è giovani: un po' superficiali e molto a senso unico. Per me il Futurismo si studiava, ormai contestualizzato, l'oggi era altro.
Piscopo scrisse: “...il Futurismo si qualifica come un nuovo principio filosofico...” Ed oggi non posso che concordare anch'io pienamente con questa sua definizione.
Poi ho conosciuto Roehrssen, ho visto le sue opere: mi invitò a visitare il suo studio in via Giotto. Ho trovato Roehrssen un uomo incredibile per la vivacità con cui mi parlava del suo lavoro e sappiamo tutti che fino alla fine ha lavorato anche ad opere impegnative fisicamente. Ma quando l'arte brucia dentro...non voglio essere retorica ma Roehrssen, come il Maestro Leone sono esempi che l'artista che è in loro non invecchia a dispetto del tempo che passa. Roehrssen appena ventenne nel '33 partecipò alla sua prima mostra futurista con successo. La seconda guerra mondiale lo allontanò dal suo lavoro e poi la morte della moglie e di un figlio lo fecero smettere di dipingere. Solo nel 1988, ormai settantenne riprese con incredibile lena ed entusiasmo e per vent'anni ha lavorato alacremente riallacciando forse quel discorso interrotto per eventi così difficili e dolorosi.
Infine il Maestro Antonello Leone, che tra l'altro è stato direttore dell'Istituto d'Arte Boccioni a Napoli. Anche col Maestro Leone ho una nota personale oltre che di conoscenza di lavoro. Una sera abbiamo scoperto che lui e sua moglie, l'indimenticata pittrice Maria Padula, erano cari amici di mia Nonna. Antonello Leone come artista invece l'ho conosciuto qualche anno fa presentando un suo lavoro digitale in una collettiva, stupendomi della sua vitalità e voglia di sperimentazione. Poi ho visto il suo lavoro e ho scoperto un artista impegnato in una costante ricerca espressiva. Ricerca che lo ha fatto notare dal critico Philippe Daverio che lo ha definito il 'caso Leone' e finalmente la città l'ha onorato con una grande mostra al Castel dell'Ovo. Sempre distratti i napoletani..... Anche lui, secondo me, come altri è stato penalizzato dal fatto di non essersi mai trasferito dal Sud.
Leone aderì al Futurismo entusiasticamente dopo aver assistito ad una delle  famose Serate di Marinetti. Marinetti lo affascinò, cosa che accadeva a molti giovani che hanno in sé sempre la voglia di nuovo, di sperimentare, il senso della ribellione. Leone ha superato il suo periodo futurista, però credo proprio che per lui sia stata una grande esperienza, molto vitale.
Voglio concludere con alcune riflessioni: la prima è che sono tante le cose non dette ma l'argomento è estremamente vasto anche perché il Futurismo è l'avanguardia che ha avuto la vita più lunga nella storia delle avanguardie, che hanno invece solitamente la proprietà di sparire o trasformarsi in tempi brevi, e che più di ogni altra ha avuto una risonanza eccezionale, lasciando un segno indelebile.
E' certo che la figura di M., anche nelle sue contraddizioni, è estremamente interessante e ci sarebbe ancora tantissimo da dire, per non parlare degli artisti più famosi, ma anche di quelli meno noti.
Ma del fondatore del Futurismo bisogna dire che esaltava un futuro più scattante, 'moderno' ma si esprimeva in modo roboante e retorico, ce l'aveva con la cultura ufficiale, ma voleva diventare lui e le sue idee la cultura ufficiale. Di contro bisogna ammettere che ciò che lui ha enfatizzato, esaltato, amato non è scomparso. E' stato il profeta di un futuro che è il nostro presente sia nel contenuto che nella forma. Il mondo si è sempre più meccanizzato forse come nessuno avrebbe previsto, e la velocità è diventata un elemento della nostra vita a cui non facciamo nemmeno più caso. La società, la vita di tutti sono cambiate per le cose che lui esaltava anche smodatamente. E soprattutto aveva capito più e prima di chiunque il valore della informazione di massa urlata, violenta, provocatoria e di quello che si può ottenere attraverso di essa. Addirittura ispiratore di grandi pubblicitari, precursore di quello che accade ormai ogni giorno ovunque e in tutti i campi.
Immaginate cosa avrebbe potuto fare se avesse potuto avere a disposizione anche la televisione ed Internet.
Maresa Sottile