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domenica 10 agosto 2014

Architettura gotica a Napoli

Napoli nell'età Romanica non presenta caratteri particolari, né, a causa di particolari condizioni storiche, la città si arricchisce di monumenti o di opere d'arte romaniche. Dopo la battaglia di Benevento, con la quale viene abbattuta la dominazione sveva nell'Italia meridionale, gli Angioini, vincitori, conquistato il regno trasportarono la capitale da Palermo, legata alla casa Normanna ed a quella Sveva, a Napoli. Ne venne conseguenziale un abbellirsi ed un espandersi della città, la quale, a partire da questo momento si arricchirà di chiese, palazzi, monumenti pubblici. Dei numerosi edifici costruiti dagli Angioini a Napoli ne restano un numero limitato, ma sempre sufficientemente ampio per caratterizzare l'architettura gotica napoletana, che rimane davvero un esempio unico in Italia. Il gotico, nato da una trasformazione avvenuta in terra di Francia, delle forme romaniche, importate in tutta Europa dai Maestri Comacini, costruttori che dal nostro paese si recarono a lavorare in altri paesi, andati in cerca di lavoro o chiamati per la loro perizia, si diffuse a sua volta in tutta Europa. In Italia però subì una forte contaminazione con il romanico e le caratteristiche locali e si distinse da quello che si diffondeva nel resto d'Europa conosciuto come Gotico Fiorito o Flammant (fiammante). Persino il Duomo di Milano, il più vicino al gotico europeo per la sua ricca decorazione e le sue guglie, è comunque pur sempre legato alla tradizione romanica italiana già nella sua stessa forma. Ma a Napoli il gotico giunge direttamente dalla Francia meridionale, dove è nato, portato dagli architetti francesi chiamati a lavorare in città dagli angioini. Quindi potremmo dire che il gotico napoletano è il gotico più puro, più vicino alle sue forme originali, quelle della Provenza da cui provengono i dominatori e i loro architetti, molto più moderate di quelle che si diffondono altrove. Ma gli angioini chiamano anche architetti napoletani a lavorare alle loro fabbriche, anche per motivi 'politici'. Ne nascerà uno stile unico: il gotico napoletano, che si differenzierà da quello del resto dell'Italia. Da un lato è il più vicino a quello nato in Francia. Dall'altro vive nelle sue strutture delle contraddizioni. Contraddizioni che nascono dalla contrapposizione di due identità differenti, quelle dei loro architetti. I francesi legati al nuovo stile architettonico nato nel loro paese, figlio di una concezione spirituale, culturale, diverse da quelle locali. I napoletani contrari alla dominazione francese, indispettiti forse da quello stile straniero, poco vicino alla loro tradizione. Gli angioini non furono mai molto amati dai napoletani, anche se in realtà sono stati discreti governanti, migliori dei futuri spagnoli che davvero non fecero molto bene alla città. Negli anni del loro dominio la città visse un periodo di floridezza soprattutto culturale. Giotto, Boccaccio e molti altri soggiornarono e lavorarono in città, attirati proprio dalla fama di una città culturalmente e artisticamente vivace e interessante e di alto livello. Fra le chiese che mantengono evidenti gli originali caratteri ricordiamo: San Lorenzo Maggiore, S. Maria Donnaregina, Sant'Eligio, Santa Chiara, San Pietro a Maiella, l'Incoronata, San Domenico Maggiore, il Duomo. Quest'ultima è giunta a noi alterata da rifacimenti barocchi, come lo fu Santa Chiara, che poi distrutta nella II° Guerra Mondiale, restaurata negli anni '50 è ritornata alle sue forme originarie. Anche il Castello angioino cioè Maschio Angioino nel tempo ha subito molti rimaneggiamenti. Per comprendere meglio la particolarità dell'architettura gotica napoletana possiamo fare un paio di esempi: nella chiesa di San Lorenzo tra navata e presbiterio l'arco di trionfo ribassato, a grande contrasto con gli archi a sesto acuto propri dello stile, che sembra proprio uno sfregio degli architetti nostrani verso i colleghi stranieri e il loro lavoro. Se poi vogliamo sottolineare la vicinanza del gotico napoletano a quello francese si può ammirare l'abside radiale nella stessa chiesa di San Lorenzo Maggiore. Voglio concludere questi brevi cenni sul gotico napoletano parlando di Internet. Oggi oltre che nei libri si fa ricerca anche sul web. Ho notato che facendola sul gotico in Italia nelle opere non vengono quasi mai nominate quelle napoletane; è pur vero che poi ci sono molti siti su questo argomento, ma questo è un altro discorso. E' come se quello di questa città non fosse allo stesso livello di quello di Firenze o Orvieto, e ciò non è vero. E' solo diverso per i motivi che abbiamo detto ed è forse il gotico più gotico d'Italia.

martedì 5 agosto 2014

La Bibbia , i poeti e le gemme di Maria Algranati

Una delle reazioni al nostro tempo scientifico, tecnologico e razionale che crede tutto possa essere raggiunto e svelato per virtù di laboratori ed esperienze e l'inesplicabile essere soltanto il “non ancora spiegato”, è l'interesse per l'empirismo, l'occultismo, la magia, il fascino dell'inconoscibile. Il movimento antimoderno del resto era già apparso in Francia al principio del secolo (XX° n.d.t.), quando, in quella varietà di correnti filosofiche che, a differenza degli altri lo contraddistingue, scrittori cattolici come il Maritain si rifacevano al medioevo e alla scolastica. Oggi, anche se tornare indietro è inammissibile, la fede nel mondo della primitività affianca e talvolta contrasta quella del progresso specialmente nel campo delle guarigioni, malgrado il miracoloso procedere della medicina. Si ritorna ai “semplici”, erbe per tutti i mali, al tocco delle mani, alla suggestione, ad ogni sorta di quelle che furono le rinnegate superstizioni di un'epoca scontata. Una di queste, delle quali in realtà non si è mai riusciti a liberarsi, è la credenza nelle miracolose influenze e nei simbolici significati delle pietre preziose. La letteratura sull'argomento risale al Mille, quando Narbode, vescovo di Predon, scrive un intero poema in esametri in loro onore, ne vanta le virtù mediche, superiori, dice, a quelle delle erbe, perché “il loro balenio investe in un solo attimo la rete dei nervi e del sangue.” Dopo di lui Alberto il Grande, santo domenicano, Dottore della Chiesa e cristianizzatore del pensiero aristotelico, torna sui loro poteri occulti e finalmente in pieno secolo classico, il buon Corneille (chi lo crederebbe?) medita nei suoi tardi anni sui versetti biblici e scopre che le dodici pietre corrispondono ai dodici articoli del Credo Cattolico. Non basta, fa divertire la serietà con cui, al principio dell'Ottocento, Bernardin de Saint- Pierre, da romanziere precursore dell'esotismo romantico si fa naturalista e proclama con la più candida buona fede i poteri dell'ametista o del topazio nella guarigione delle malattie. Il suo curioso trattatello dovrebbe essere l'ultimo di una singolare letteratura sulle gemme, se, fra i contemporanei non vi avesse aggiuntio pagine di grande bellezza il poeta e diplomatico Paul Claudel, l'autore del mistico “Annonce a Marie”. Informatissimo, perché l'argomento l'ha evidentemente sedotto, ci ricorda le Sacre Scritture e le oscure parole del profeta Isaia, quando parla della Gerusalemme celeste. “Ti fonderò, egli dice, sugli zaffiri”. Ed enumera le dodici pietre preziose che saranno poste a fondamento di essa: diaspro, zaffiro, rubino, smeraldo, sardonico, corniola, crisolito, berillo, topazio, crisoprasio, giacinto ed ametista. Non in tutte le versioni, scrive, il diaspro è diaspro, spesso è un diamante, pietra durissima, gemma delle gemme, raggiante di luce dai suoi fuochi, dunque Dio Padre, lo zaffiro celestiale è il Figlio, il rubino il sangue incontaminato della Vergine, fino al giacinto cangiante nel cui trascolorare da un colore all'altro è il simbolo della della remissione del peccato che si tramuta in condono, fino all'ametista che rappresenta la Vita Eterna. Poeticamente, diffusamente, il Claudel ricalca e chiosa Corneille, costruisce una mistica dei preziosi, scioglie alla fine un inno a questi “tesori che la terra dissimula nel più profondo della sua sostanza.” Essi chiudono in loro i toni vari dell'atmosfera, la sua soave tavolozza vi si concentra, vi si scontrano i colori che giocano alla superficie delle acque e le varie pennellate dei prati, come avessero subito una pressione spirituale, diventano pensiero condensato in luce e sfumature, gioielli sotterranei che corrispondono ai fiori terrestri. “Non c'è – canta, se pure in prosa, il poeta - non c'è una pennellata del mattino o della sera, una variazione dei begli occhi che interroghiamo, un'invenzione dell'animale o della pianta a cui il genio plutonico non abbia fornito un corrispondente. Ma il poeta, che delle gemme simboliche della Bibbia ha fatto il suo scrigno poetico e materia della sua poesia è il de Vigny. Anzi egli è andato più in là, vi ha aggiunto l'oro del quale, fuso in massiccio quadrato, il grande sacerdote si ornava il petto per presentarsi all'Eterno e agli astri, che sono le gemme del cielo e chi sa che cosa altro giacché il salmo dice: “I giusti brilleranno nel cielo come scintille e si differenzieranno in splendore come le stelle.” E certo egli dovette alla sua consuetudine coi libri sacri molte ispirazioni e il suo simbolismo prezioso. Quando si crede, in quanto vate, guida dei popoli, sacerdote della onnipotente poesia, cerca i responsi negli splendori della volta celeste, isolato nella sua “tour d'avoire' che è una torre astronomica certo ormai dell'indifferenza degli uomini, della natura, di Dio, domanda un viatico agli astri, la sua alchimia poetica trasformando il pensiero in diamante, estraendo l'oro dalle fatiche umane, pietre preziose dalle ceneri della civiltà consumate. Costretto dai limiti suoi propri -perché ne ebbe- a cercare fra le cose sensibili, scelse quelle splendenti per indicare ciò che rimane e dura della vita transitoria delle “nations”... Il suo mondo ideale si trasforma in una luminosa vetrina ove splende nelle gemme la condensazione assoluta e raggiante della purezza. Anche lui, come Mida, “ciò che tocca oro diventa”, oro che getta una luce uguale sui suoi quadri desolati, sulle sue tragiche Destinées. Riflessi aurei rivestono di ardore dolce lo sterile deserto che Mosè, l'uomo di Dio, attraversa, oro è intorno a lui l'arida sabbia, ali d'oro hanno ali e arcangeli nel poema Eola, tutta d'oro addirittura è la cupola del Paradiso, l'Aquila delle Asturie, librata nel sole, naviga interamente in un fluido d'oro. Nella natura incantata e baudelairiana della Maison du berger la terra aurea nel vespro religioso ha parti di puro smeraldo ed è fra i diamanti dell'oceano che si dondola la celebre Bottiglia in mare. Allo smeraldo della terra fa riscontro lo zaffiro del cielo e sopra ogni cosa balena, simbolo regale, il diamante, le DIAMANT in tutte maiuscole, posto dal poeta ad esprimere “l'arte” delle “cose” ideali, cristallo durissimo e senza rivali. Esso manda (purtroppo! ché il pensiero del de Vigny, nei difficili “Oracles” si fa stranamente astruso e addirittura ermetico) raggi d'argento e d'oro, che a loro volta, formano due luci di uguale importanza: quella dei pensieri più belli e quella “dell'amore più puro.” Simboli, oracoli, prolusione al surrealismo, quando il Valery farà ancora un passo nell'astrazione, l'oro assumerà un significato surreale, gli astri si chiameranno diamanti tout court, la distillazione intellettuale vaporerà nel “Néant”. E adesso? Adesso, nelle vetrine girano, sotto lampade, le magnifiche gemme artificiali, nate fra il rumore meccanico dalle cabale della chimica sfidando i fuochi di quelle che la natura nella sua lenta gestazione ha impiegato secoli e millenni per accenderle nelle tenebre della terra. (Questo articolo l'ho trovato nelle carte di mia nonna, la poetessa e scrittrice Maria Algranati, della quale ho curato l'autobiografia Tavola Calda. Ho deciso di pubblicarlo perché sono molto interessata all'oreficeria, quindi alle gemme ed ai loro significati, valori, leggende, e dei significati e simbologia che la pittura ha dato attraverso essi, in rapporto ad uno studio che sto scrivendo. Infatti in questo blog vi è un post del 4-10-11 che parla di ciò. Tutto questo è trattato anche nella letteratura, sia passata che più recente, e questo articolo ne è una, sia pur piccola e parziale, testimonianza. Di questo scritto, come di tutte le sue opere, detengo la proprietà letteraria per suo volere testamentario.
                                                                                                            Maresa Sottile