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martedì 5 agosto 2014

La Bibbia , i poeti e le gemme di Maria Algranati

Una delle reazioni al nostro tempo scientifico, tecnologico e razionale che crede tutto possa essere raggiunto e svelato per virtù di laboratori ed esperienze e l'inesplicabile essere soltanto il “non ancora spiegato”, è l'interesse per l'empirismo, l'occultismo, la magia, il fascino dell'inconoscibile. Il movimento antimoderno del resto era già apparso in Francia al principio del secolo (XX° n.d.t.), quando, in quella varietà di correnti filosofiche che, a differenza degli altri lo contraddistingue, scrittori cattolici come il Maritain si rifacevano al medioevo e alla scolastica. Oggi, anche se tornare indietro è inammissibile, la fede nel mondo della primitività affianca e talvolta contrasta quella del progresso specialmente nel campo delle guarigioni, malgrado il miracoloso procedere della medicina. Si ritorna ai “semplici”, erbe per tutti i mali, al tocco delle mani, alla suggestione, ad ogni sorta di quelle che furono le rinnegate superstizioni di un'epoca scontata. Una di queste, delle quali in realtà non si è mai riusciti a liberarsi, è la credenza nelle miracolose influenze e nei simbolici significati delle pietre preziose. La letteratura sull'argomento risale al Mille, quando Narbode, vescovo di Predon, scrive un intero poema in esametri in loro onore, ne vanta le virtù mediche, superiori, dice, a quelle delle erbe, perché “il loro balenio investe in un solo attimo la rete dei nervi e del sangue.” Dopo di lui Alberto il Grande, santo domenicano, Dottore della Chiesa e cristianizzatore del pensiero aristotelico, torna sui loro poteri occulti e finalmente in pieno secolo classico, il buon Corneille (chi lo crederebbe?) medita nei suoi tardi anni sui versetti biblici e scopre che le dodici pietre corrispondono ai dodici articoli del Credo Cattolico. Non basta, fa divertire la serietà con cui, al principio dell'Ottocento, Bernardin de Saint- Pierre, da romanziere precursore dell'esotismo romantico si fa naturalista e proclama con la più candida buona fede i poteri dell'ametista o del topazio nella guarigione delle malattie. Il suo curioso trattatello dovrebbe essere l'ultimo di una singolare letteratura sulle gemme, se, fra i contemporanei non vi avesse aggiuntio pagine di grande bellezza il poeta e diplomatico Paul Claudel, l'autore del mistico “Annonce a Marie”. Informatissimo, perché l'argomento l'ha evidentemente sedotto, ci ricorda le Sacre Scritture e le oscure parole del profeta Isaia, quando parla della Gerusalemme celeste. “Ti fonderò, egli dice, sugli zaffiri”. Ed enumera le dodici pietre preziose che saranno poste a fondamento di essa: diaspro, zaffiro, rubino, smeraldo, sardonico, corniola, crisolito, berillo, topazio, crisoprasio, giacinto ed ametista. Non in tutte le versioni, scrive, il diaspro è diaspro, spesso è un diamante, pietra durissima, gemma delle gemme, raggiante di luce dai suoi fuochi, dunque Dio Padre, lo zaffiro celestiale è il Figlio, il rubino il sangue incontaminato della Vergine, fino al giacinto cangiante nel cui trascolorare da un colore all'altro è il simbolo della della remissione del peccato che si tramuta in condono, fino all'ametista che rappresenta la Vita Eterna. Poeticamente, diffusamente, il Claudel ricalca e chiosa Corneille, costruisce una mistica dei preziosi, scioglie alla fine un inno a questi “tesori che la terra dissimula nel più profondo della sua sostanza.” Essi chiudono in loro i toni vari dell'atmosfera, la sua soave tavolozza vi si concentra, vi si scontrano i colori che giocano alla superficie delle acque e le varie pennellate dei prati, come avessero subito una pressione spirituale, diventano pensiero condensato in luce e sfumature, gioielli sotterranei che corrispondono ai fiori terrestri. “Non c'è – canta, se pure in prosa, il poeta - non c'è una pennellata del mattino o della sera, una variazione dei begli occhi che interroghiamo, un'invenzione dell'animale o della pianta a cui il genio plutonico non abbia fornito un corrispondente. Ma il poeta, che delle gemme simboliche della Bibbia ha fatto il suo scrigno poetico e materia della sua poesia è il de Vigny. Anzi egli è andato più in là, vi ha aggiunto l'oro del quale, fuso in massiccio quadrato, il grande sacerdote si ornava il petto per presentarsi all'Eterno e agli astri, che sono le gemme del cielo e chi sa che cosa altro giacché il salmo dice: “I giusti brilleranno nel cielo come scintille e si differenzieranno in splendore come le stelle.” E certo egli dovette alla sua consuetudine coi libri sacri molte ispirazioni e il suo simbolismo prezioso. Quando si crede, in quanto vate, guida dei popoli, sacerdote della onnipotente poesia, cerca i responsi negli splendori della volta celeste, isolato nella sua “tour d'avoire' che è una torre astronomica certo ormai dell'indifferenza degli uomini, della natura, di Dio, domanda un viatico agli astri, la sua alchimia poetica trasformando il pensiero in diamante, estraendo l'oro dalle fatiche umane, pietre preziose dalle ceneri della civiltà consumate. Costretto dai limiti suoi propri -perché ne ebbe- a cercare fra le cose sensibili, scelse quelle splendenti per indicare ciò che rimane e dura della vita transitoria delle “nations”... Il suo mondo ideale si trasforma in una luminosa vetrina ove splende nelle gemme la condensazione assoluta e raggiante della purezza. Anche lui, come Mida, “ciò che tocca oro diventa”, oro che getta una luce uguale sui suoi quadri desolati, sulle sue tragiche Destinées. Riflessi aurei rivestono di ardore dolce lo sterile deserto che Mosè, l'uomo di Dio, attraversa, oro è intorno a lui l'arida sabbia, ali d'oro hanno ali e arcangeli nel poema Eola, tutta d'oro addirittura è la cupola del Paradiso, l'Aquila delle Asturie, librata nel sole, naviga interamente in un fluido d'oro. Nella natura incantata e baudelairiana della Maison du berger la terra aurea nel vespro religioso ha parti di puro smeraldo ed è fra i diamanti dell'oceano che si dondola la celebre Bottiglia in mare. Allo smeraldo della terra fa riscontro lo zaffiro del cielo e sopra ogni cosa balena, simbolo regale, il diamante, le DIAMANT in tutte maiuscole, posto dal poeta ad esprimere “l'arte” delle “cose” ideali, cristallo durissimo e senza rivali. Esso manda (purtroppo! ché il pensiero del de Vigny, nei difficili “Oracles” si fa stranamente astruso e addirittura ermetico) raggi d'argento e d'oro, che a loro volta, formano due luci di uguale importanza: quella dei pensieri più belli e quella “dell'amore più puro.” Simboli, oracoli, prolusione al surrealismo, quando il Valery farà ancora un passo nell'astrazione, l'oro assumerà un significato surreale, gli astri si chiameranno diamanti tout court, la distillazione intellettuale vaporerà nel “Néant”. E adesso? Adesso, nelle vetrine girano, sotto lampade, le magnifiche gemme artificiali, nate fra il rumore meccanico dalle cabale della chimica sfidando i fuochi di quelle che la natura nella sua lenta gestazione ha impiegato secoli e millenni per accenderle nelle tenebre della terra. (Questo articolo l'ho trovato nelle carte di mia nonna, la poetessa e scrittrice Maria Algranati, della quale ho curato l'autobiografia Tavola Calda. Ho deciso di pubblicarlo perché sono molto interessata all'oreficeria, quindi alle gemme ed ai loro significati, valori, leggende, e dei significati e simbologia che la pittura ha dato attraverso essi, in rapporto ad uno studio che sto scrivendo. Infatti in questo blog vi è un post del 4-10-11 che parla di ciò. Tutto questo è trattato anche nella letteratura, sia passata che più recente, e questo articolo ne è una, sia pur piccola e parziale, testimonianza. Di questo scritto, come di tutte le sue opere, detengo la proprietà letteraria per suo volere testamentario.
                                                                                                            Maresa Sottile

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