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mercoledì 21 novembre 2012


Questo è l'inizio del mio romanzo:
             Malefizio d'amore
                        Romanzo

                                            di
                             MARESA SOTTILE

                                                              Capitolo I

                             I Edimburgo 1594: il primo incontro
La sala d'attesa era vasta, con grandi finestroni dai classici vetri quadrettati obliqui. Sulle panche di legno lungo le pareti c'erano cuscini di damasco giallo oro, ritratti degli Stuart abbellivano le pareti rivestite di legno scuro come le panche, neri candelabri di ferro battuto a molte braccia erano posti negli angoli, il soffitto a cassettoni, anch'esso dello stesso legno, non era molto alto.
Guardie con lance, elmetti, pettorali e schieniere d'armatura con sciarpe scozzesi annodate di traverso, erano ai lati delle porte.
Il mormorio dei nobiluomini e di qualche dama era sommesso ma rendeva viva la sala, in realtà non molto luminosa perché la giornata era nuvolosa. L'autunno cominciava a farsi sentire.
Esther Langlois era un po' intimidita e camminava un passo dietro al padre.
Aveva indossato il suo abito migliore, che comunque le sembrava molto modesto in quell'ambiente sfarzoso confrontandolo con quelli dei presenti. I loro erano di tessuti preziosi, con passamanerie, colletti di trine, le poche dame indossavano gioielli sui vestiti e cuffie bellissime adorne di pizzi e veli. E quasi tutti avevano le sciarpe di tartan scozzese.
In mano teneva il dono che aveva portato, il suo lavoro migliore, un piccolo libro che aveva scritto con quella sua grafia ormai divenuta perfetta, elaborata e arricchita dai decori in rosso, blu e verde e dai tocchi di oro che sottolineavano le prime lettere e le decorazioni sui margini delle pagine. Ma le cose che rendevano il libro più prezioso erano la piccola misura e la copertina di seta verde che aveva ricamato con fiori e foglie con fili di seta colorati e d'oro. Davvero un gioiello quel piccolo libro, così particolare per quelle dimensioni minuscole.
Ma in quel momento le sembrava che quel piccolo dono racchiuso nel sacchetto della stessa seta con il ricamo delle iniziali del sovrano, fosse misero, nonostante suo padre le avesse detto che ormai era persino più brava della mamma e che quelle copertine e le piccole dimensioni rendevano i suoi libri unici. Temeva che il giudizio del padre fosse falsato dall'affetto che aveva per lei.


venerdì 24 agosto 2012


La Mortella a Forio d'Ischia
di
Lady Susana Walton
Uno dei giardini più belli d'Italia

La Mortella è un meraviglioso giardino a Forio d'Ischia, famoso nel mondo per la sua bellezza e per la sua storia particolare. Eppure tanti napoletani non l'hanno mai visitato e molti non sanno neppure della sua esistenza. E' un giardino che anni fa, nel 2004 fu eletto giardino più bello d'Italia per quell'anno.
Io l'ho visitato due volte e sono stata anche ad uno dei concerti che si tenevano una volta nello studio di William Walton e che ora si eseguono in un'arena costruita nel 2004 e inaugurata nel 2007.
Quando, una mattina (il 13) d'agosto del 2000, varcai la soglia della Mortella vidi una vecchia utilitaria rossa con una donna anziana al volante che veniva avanti nel viale e salutando con una mano il personale alla biglietteria uscì dal cancello.
Man mano che mi inoltravo nella verde frescura del giardino restavo sempre più incantata dalla bellezza del luogo. Di quel magico giardino non sapevo nulla, mi avevano solo detto che era molto bello e che valeva una visita.
Oltre che per la bellezza delle piante, dei fiori e dell'impianto del giardino, degli zampilli d'acqua ero incantata dalla cura dei particolari. Un esempio: le bocche d'acqua terminavano con piccole sculture in metallo con forme di animali. Da una zona rialzata su un terrapieno si affacciava una terrazza con tavolini riparati dal sole con ombrelloni pieghettati che facevano pensare alla Cina. Era il bar e mi proposi di andarci dopo un po' per riposarmi prima di completare la visita, e continuai ancora a girovagare per quei vialetti, ad ammirare ogni siepe, aiuola, fiore, pianta. Infine mi diressi al bar dove non immaginavo avrei trascorso un paio di ore indimenticabili.
Decisi di sedermi all'interno perché era più fresco. Il bar tutto in legno dipinto, era rusticamente semplice ma elegante e notai che le stoviglie erano cinesi con un decoro azzurro. Nel bancone erano in mostra delle torte, per lo più alla frutta, e mentre. seduta al tavolino bevevo un caffè, ne arrivarono alcune e la cameriera mi spiegò che erano tutte fatte in casa da persone del posto. Ad un certo punto entrò una donna piccola e minuta, un po' curva, i capelli biondi cortissimi con delle ciocche viola di lato, un vestito anch'esso viola di quelli lunghi, larghi, il genere di abiti che vendevano le botteghe indiane o giù di lì, e che adesso sono molto alla moda, le mani artritiche piene di anelli, le unghie laccate. La signora era sorridente, salutò le ragazze del bar e sedette al tavolino di fronte alla porta. Una delle cameriere le portò un piattino con una fetta di torta che lei assaggiò. L'avevo riconosciuta, era la donna che guidava l'utilitaria rossa e capii che era la “padrona del castello”. La torta infatti gliela avevano portata perché lei l'approvasse: doveva essere di qualche nuova 'collaboratrice' o una ricetta nuova. Per maggior sicurezza chiamai la cameriera e le chiesi conferma che la signora fosse chi pensavo. “Sì, è Lady Walton, la proprietaria.”
Ero così entusiasta di quel giardino che, superando la mia timidezza e riservatezza, mi avvicinai a lei e le dissi tutta la mia ammirazione per lo splendore di quel luogo. E fu una reciproca simpatia fulminante. Mi invitò a sedere e cominciammo a chiacchierare. E mi raccontò di tutto e di più. La sua vita e quella del suo giardino. Spero di essere stata una privilegiata, ma forse lei, che era una persona molto semplice, comunicativa, aperta avrà detto quelle cose anche ad altri visitatori, ma voglio credere che quella reciproca simpatia che provammo entrambe quel giorno non sia stata per lei così frequente. Tra i personaggi che nella mia vita ho potuto conoscere, credo che Susana Walton sia stata quella che mi ha ispirato più simpatia. Aveva degli occhi vivacissimi ed intelligente, un sorriso cordiale e dei modi molto affabili.
Ho saputo da lei tutto quello che poi ho letto nel libro che acquistai in quel bar, e che lei mi dedicò firmando Susana, e quello che oggi si può trovare su internet. E anche qualcosa che non c'era nel libro e non c'è su internet.
Mi raccontò il suo incontro con W. Walton quando lui andò in Argentina, suo paese natale. Lei era figlia di una ricca famiglia di alto livello sociale che non fu contenta di quel matrimonio con un uomo tanto più grande di lei, e capii anche che le origini di Walton facessero storcere loro il naso. Ma Susana Valeria Maria Gil Passo, donna di gran temperamento, non ascoltò nessuno. William Walton aveva ormai raggiunto notorietà e prestigio come musicista tanto che comporrà poi le musiche per l'incoronazione di Elisabetta II e sarà fatto baronetto.
Poco dopo il matrimonio, nel '49 la coppia viene ad Ischia. Abita prima in una casa in affitto e poi, avendo deciso di risiedervi per sempre, ne acquista una con un terreno che prende gran parte del promontorio che si affaccia sulla spiaggia di San Francesco.
La vita di Susana non è proprio piacevole. Il marito lavora sempre e quando lavora non vuole vedere nessuno. Susana è molto sola. Anche se hanno amici che li vengono a trovare. Come Laurence Olivier, grande amico di lord William che per lui scrisse le musiche per i film Enrico V e Riccardo III. Sono così amici con Laurence che quando lui si lascia, nel '58, con la moglie Vivien Leigh è da loro che si rifugia. Ricordo che nei cinegiornali dell'epoca e sui giornali si vedeva l'attrice ritornata sul lago di Como (o Garda o Maggiore chi se lo ricorda) dove era stata felice col marito, che in quel periodo nessuno sapeva dove fosse.
Ma la solitudine per Susana resta. Immaginate una giovane donna argentina dell'alta società moglie di un uomo famoso vivere d'inverno all'inizio degli anni '50 a Forio d'Ischia, con un marito che per giorni non si vede perché dorme anche nel grande studio che si è fatto costruire al di fuori della casa, formato da due vaste stanze. Sarà questa solitudine la 'causa' della nascita dei giardini la Mortella.
Mi disse che doveva fare qualcosa per occupare il proprio tempo, per crearsi uno scopo. E allora cominciò a pensare al giardino. Ma la 'terra' che avevano comprata era in realtà una colata lavica con un grande avvallamento e sarebbe costato una fortuna farne un giardino. Allora Susana, donna volitiva, d'ingegno e combattiva, ha un'idea su come riempire quell'enorme avvallamento. Abbassa la voce e mi parla come se non volesse che altri sentissero. Acquista camion di spazzatura sottobanco. Cioè senza farlo sapere a nessuno si mette d'accordo con chi conduce i camion dell' immondizia che invece di andare alla discarica, di notte e di nascosto, vanno a riempire il grande avvallamento. E su quel mucchio di spazzatura mette il terreno per il suo giardino. Di tutto questo non dice nulla a suo marito, che in realtà poco si interessa alla cosa chiuso nel suo studio, l'eremo che si è costruito in una parte alta della proprietà, dalla quale, oltre alla solitudine, può anche godere di un paesaggio certamente ispiratore per un artista.
Susana d'altra parte ha anche lei trovato uno scopo nella vita che oltre ad occuparla l'appassiona. Ma l'impresa è costosa e lei la fa quasi di nascosto, William paga senza saperlo. Così quando dice alla moglie che vuol fare un viaggio lei risponde che non ci sono soldi. “Ma come? devono essere arrivati i diritti d'autore di quest'anno!” Ma i soldi non ci sono. E non ci saranno per molto tempo. Niente da fare per lord William che vuole cambiare aria, riposarsi un po' dal suo impegno intellettuale. Tutto quello che ha guadagnato è lì, in quel giardino che sua moglie Susana sta facendo nascere. Poi nel '60 lei chiama addirittura Russel Page, famoso architetto di giardini, per sistemarlo, ma questo sarà solo per la parte di sotto quella che io ho già visitato, ma c'è quella 'a monte' nella zona alta che sarà tutta frutto del suo gusto, della sua fantasia. Li ci metterà molte piante esotiche e una piccola pagoda originale, autentica, che ha portato dalla Cina. Lei ha uno zio ambasciatore in quel paese e, in un viaggio nel quale va a trovarlo ed è sua ospite, vede e compra la pagoda. Però c'è una legge che le vieta di portarla fuori dal paese. Ma un ambasciatore ha mille scappatoie per riuscire a realizzare cose che i comuni mortali non potranno mai fare. Lei riparte senza la pagoda, ma la pagoda arriverà a Forio d'Ischia ed è in bella mostra lì alle Mortelle.
Le dico che quello che ha costruito è magnifico, stupefacente e che quelli di Forio le saranno certamente molto grati per aver arricchito il loro territorio con quel giardino incantato. No, non è così. Non l'hanno mai amata, non le sono grati, la ostacolano per ogni iniziativa e la criticano. Sono stupita. Allora mi racconta che quando, comprata la proprietà e la casa, che è una costruzione lunga e grigia in fondo al giardino completamente immersa nel verde, la dovette ristrutturare e lei pensò che la cosa migliore fosse mantenerne il carattere originario cioè quello di una vecchia costruzione rurale, applicò quello che ormai è prassi nel restauro storico, cioè cercare di non cambiare le caratteristiche del manufatto. Così Susana ad esempio conserva o rifà i pavimenti originali: una gettata di cemento e i locali si scandalizzano: dei ricchi forestieri forse dovevano usare marmi o almeno colorate ceramiche.
Suo marito riposa lì, un po' più su dello studio. Ha voluto così e c'è un monumento che lo ricorda. E sono venuti in tanti a visitarlo, anche Carlo d'Inghilterra.
Lei ha voluto creare un master per i cantanti e ci sono stagioni di concerti. Mi dice di venire a sentirne uno ed io lo farò, un po' di giorni dopo.
Si è fatto tardi e lady Walton ha ospiti a pranzo deve per forza andarsene. Ci facciamo fotografare da una delle cameriere, mi dedica il libro che ho comprato, mi abbraccia e bacia e va via curva, minuta ossuta e vitale come pochi.

Vado a vedere la pagoda che è su, nella parte più alta del giardino.
C'è anche una voliera con uccelli rari: ho visto il colibrì e ho intuito il suo volo.
Tutto quello che mi circonda non può che stupirmi per la sua assoluta bellezza, mi sembra di passeggiare in un luogo incantato, magico.
C'è una pianta, nella parte alta del giardino, che proviene dell'America del Sud: fiorisce una sola notte all'anno verso mezzanotte con uno stupendo fiore candido a campana che nasce sulla foglia e che dura credo meno di un'ora ed emana un profumo stupendo. Non ricordo il nome di questa pianta ma mi piacerebbe tanto saperlo. Magari faccio un'altra visita alla Mortella, non sarebbe una cattiva idea. Maresa Sottile
 Ho lo scanner bloccato, appena possibile aggiungerò le foto

martedì 3 luglio 2012

25/11/13 Giornata contro la violenza sulle donne


Celestina

Questa è una piccola storia vera di violenza e inconsapevolezza, spero finita bene perché di lei non ho saputo mai più nulla. Auguro a tutte le donne di ogni età e luogo, di incontrare rispetto negli uomini che incontrano nella vita e di avere consapevolezza di sé. La nuova domestica notte e giorno si chiamava Celestina. Era una ragazzona alta, dai capelli di un biondo sbiadito. Era un po' slavata, ma non era brutta. Non sembrava una meridionale. Aveva marito e una bambina piccola che vedeva la domenica quando aveva il pomeriggio libero, ma almeno una volta alla settimana lui veniva a trovarla dopo pranzo e la signora De Maria era d'accordo. Di solito veniva nei pomeriggi in cui Celestina stirava. Così pur chiacchierando col marito continuava a lavorare. Se la domestica era contenta, perché trattata bene, lavorava meglio ed era grata. Una politica costruttiva. La signora De Maria era molto democratica per gli anni cinquanta.
Celestina era una ragazza ignorante e sempliciotta ma di indole buona e molto innamorata di suo marito. Lui sì che si vedeva subito che era un meridionale. Aveva il viso un po' affilato, occhi e capelli neri, ondulati e lucidi di brillantina che gli scendevano con un ricciolo ribelle sulla fronte. Aveva sempre in viso un'espressione cupa e non sorrideva mai. Quando se ne andava dopo quelle visite nei pomeriggi di stiro, Celestina diceva con gran convinzione che il marito l'amava tanto. Infatti, aggiungeva, la picchiava spesso perché l'amava troppo.
Lo seppero così che quel fosco buzzurro era manesco con la moglie. Nel periodo che Celestina rimase in quella famiglia cercarono di spiegarle che non funzionava così: non si picchia qualcuno che si ama, ma Celestina era molto ferma nella sua convinzione e nessun ragionamento la smuoveva. L'atavica ignoranza era talmente radicata e la sua capacità di ragionamento autonomo così inesistente che restò abbarbicata alla sua certezza. Non si rendeva neppure conto che il marito in realtà la sfruttava mettendola a servizio giorno e notte e non facendola stare a casa a crescere la loro bambina, che, naturalmente, veniva cresciuta dai nonni materni. Se fosse andata a mezzo servizio avrebbe guadagnato meno e inoltre mangiato a casa almeno la sera.
Ma Celestina non vedeva né capiva nulla. La sua era una condizione comune a tante sue amiche e parenti, perciò giusta. Era la sua normalità, come anche le botte. Lui gliele dava perché era geloso per amore, o perché lei faceva cose sbagliate e lo faceva soffrire. Tutta colpa sua. Celestina non avrebbe mai concepito un piccolo e semplice pensiero: suo marito era uno sfruttatore violento che invece di metterla sulla strada la metteva a servizio giorno e notte. Forse non gli piaceva essere cornuto.                     Maresa Sottile

lunedì 18 giugno 2012


                                 Elogio della MODA
                                  specchio della vita
La moda è ed è sempre stata sinonimo di frivolezza. Ma non c'è cosa peggiore delle etichette e dei luoghi comuni. Se ci fermassimo un attimo a pensare ci accorgeremmo di quanto essa sia inserita nella vita sociale, di quanto sia lo specchio di una società, di un modo di essere, di vivere, di pensare.
La influenzano il clima, le condizioni sociali, economiche e persino religiose, il bagaglio di civiltà di un popolo. Come tutte le arti, perché è anch'essa un'arte anche se minore, rispecchia la sua epoca e contribuisce a crearla. E non è un paradosso, soprattutto se si guarda alla sua vera essenza: cioè all'arte di creare abiti che oltre al primario scopo di coprire e difendere dal clima, si inseriscano in tutto il contesto della vita del momento.
Basterebbe fare un parallelo tra costumi, arredamento, arti figurative nei secoli ed ecco che la moda non è più una cosa frivola, ma un'espressione oltre che un'esigenza sociale.
La tunica greca è l'esatto prodotto di un mondo estetico che è a sua volta l'espressione di un mondo che, oltre a tutta la sua parte sociale, pratica, è anche espressione di un mondo spirituale. E può diventare opera d'arte - oltre che causa dell'arte stessa - nella statuaria ionica o del periodo classico, può riallacciarsi al discorso architettonico della colonna del tempio e si inserisce perfettamente tra quelle sedie, quei letti, quei tavoli, che costituivano l'arredamento della casa greca, come ci è giunta tramite le pitture vascolari. Sarebbe assurdo far sedere una dama con sontuoso abito cinquecentesco su quelle sedie, farle aggirare tra quelle pareti architravate nelle quali si ignora la linea curva. Quando tornò un periodo molto legato al mondo classico, durante l'epoca Napoleonica e Neoclassica, anche l'abbigliamento femminile ritornò a forme scivolate che riprendevano le forme dell'abbigliamento classico. E in una stanza quattrocentesca fiorentina tra cassoni, madie, savanarole intagliate, quei broccati, quelle sete, le vesti e le sopravvesti, gli ornamenti ricchi, sono pienamente coerenti.
Un dipinto spagnolo del '600 si distingue subito da uno fiammingo dello stesso periodo, grazie anche all'abbigliamento: specchio di un mondo.
Non a caso l'abbigliamento è elemento importante della pittura, ed a sua volta viene studiata grazie alla pittura.
Quindi l'abito è un valore di linguaggio ed espressione storica e non disvalore di frivolezza e capriccio.
Che poi ci siano delle concessioni a certi ghiribizzi, che ci sia un colore di moda più di un altro, questo è cronaca, ma anche la storia, quella seria e approfondita, è fatta anche di cronaca. Per cui la cronaca è storia.
La coerenza col tempo che rappresenta, l'inserirsi continuamente nella pittura e nella scultura, sono la chiara dimostrazione della importanza e serietà dell'abbigliamento, quindi della moda.
Oggi essa nelle arti figurative, che hanno un linguaggio del tutto sganciato dal realismo figurativo, non ha più il valore che poteva avere in una tela del Bronzino o di Velasquez, tanto da divenire parte del linguaggio pittorico.
Nel nostro tempo creare la moda per donne e uomini ci appare solo un business. Vi è certo una grossa verità in ciò, ma questo non fa che rafforzare il discorso. La moda è uno dei simboli del nostro tempo, delle sue esigenze, della sua mentalità, dei suoi valori socio-economici.
Ma non è cosa facile vestire donne e uomini. Oltre che studiare la moda nel tempo, bisogna capire le istanze della gente, bisogna anche saper guardare la street fashion (moda di strada). Bisogna essere persone preparate, intelligenti, fantasiose e sensibili agli stimoli del mondo circostante, avere conoscenza o spiccato senso della psicologia di massa.
Potrei dire molte altre cose e approfondire ulteriormente l'argomento, molto interessante, ma penso che forse i miei scritti sono troppo lunghi per un blog, quindi vi lascio. Maresa Sottile

P.S. Vedo che in tanti leggete, mi piacerebbe qualche commento, (magari anche positivo), grazie comunque di leggermi.
                                                            Maresa Sottile

mercoledì 16 maggio 2012


La pittura metamorfica
di Michele Roccotelli
a Villa Bruno S. Giorgio a Cremano
24/3/2012

Cifra dell'opera pittorica di Michele Roccotelli è certamente il colore. Un colore apparentemente astratto ma che può divenire forma, immagine in una geometria metamorfica, dove lame mobili di colore diventano per lo più paesaggio, rocche salde come il suo territorio, rivisitato nel ricordo amoroso dell'autore.
Ho conosciuto vari anni fa il Maestro Roccotelli ad una mostra a Napoli nella quale esponeva le sue Open Window e la sua pittura mi colpì subito.
Mi piacque l'idea di quelle finestre reali, da lui recuperate chissà come e chissà dove, e già questo era affascinante, vecchie, vissute, coi loro lucchetti ormai improbabili, e quei paesaggi quasi aerei che travalicavano lo spazio, finendo sugli stipiti, sulle gelosie, anche sul loro lato esterno. Le trovai poetiche, con un sapore di antico, quasi una rivisitazione dei polittici medioevali.
Ho visto anche altre sue opere, e le ho trovate sempre interessanti. Le Carte, come lui chiama i disegni, sono fascinose nelle soluzioni grafiche e coloristicamente quasi monocromatiche, con accenni materici. Come ogni artista non disdegna le arti cosiddette minori: la ceramica dove coniuga anche qui l'antico delle forme con la decorazione astratta, che può sconfinare nel figurativo nella metamorfosi delle pennellate ed evocativa dei colori della natura che ama. Quindi un artista a tutto tondo.
E' molto interessante il suo modo di rielaborare la propria esperienza culturale, personale, poetica, nel racconto del legame con la sua terra, ma ancor più con la natura in genere, che certamente ama smodatamente.
Nella sua pittura finora è mancata la figura umana, ma secondo me la sua introduzione è ininfluente, solo in un'opera troviamo un piccolo uomo, che si nota appena, e che appare perso nell'immensità della natura. Mi ha fatto pensare ad un Primo Uomo, solo nella natura sconfinata che lo circonda.
Però non è vero che l'Uomo è assente dall'opera di Roccotelli, è invece spesso presente nei suoi paesaggi: un Uomo che ha operato senza insultare il territorio, in osmosi con esso. L'uomo è presente quando il suo operato si fonde con la natura, col paesaggio circostante divenendone parte, arricchendolo. Questo accade quando dalle lame di colore, memori dell'esperienza futurista, poi cubista, traslate in immagini geometricamente astratte, con accenni di pointillisme post-impressionista, nascono poetici paesaggi che si trasmutano in agglomerati (a volte di obliqui palazzi) ma soprattutto di bianche case dominate dalle chiese romaniche di Puglia,
La pittura di Roccotelli è metamorfica, perché sotto i nostri occhi il colore si trasforma in altro colore, la forma in altra forma, è una pittura in movimento, come lo è ciò che si trasforma, dalla quale si resta affascinati e presi.
La cifra primaria è quindi la metamorfosi: una spatolata o una pennellata di colore può diventare tronco, uccello, pianta, farfalla, casa, chiesa, palazzo. Il colore ci porta in un racconto che di reale ha poco, i suoi paesaggi sono trasmutati da una astratta memoria poetica.
E il colore è certamente l'anima della sua opera, un colore, a volte caldo, solare, estivo, autunnale, altre volte più freddo soprattutto negli azzurri del cielo e del mare. Ma non solo le forme che crea il colore sono in continua mutazione, esso stesso si trasforma, mai eguale con una grande inventiva e sensibilità cromatica, in una tavolozza che a volte diviene anche materica, un colore che non è casuale che crea accordi cromatici significativi.
Altro elemento significativo nell'opera del maestro è il forte senso compositivo. La composizione delle forme e dei colori, nulla è casuale, e ne nasce una composizione complessiva che spesso segue un andamento circolare, i colori si snodano, compongono intorno al centro che può essere il mare, il cielo, le case, o magari un un colore clou nel quale si riassumono, convergono, si rappresentano tutti. La pittura di Roccotelli è quella di chi sa cosa sia e la frequenta con sicurezza, quella sicurezza che può dare solo il vero talento, ma anche la conoscenza culturale del mondo in cui si opera.
Maresa Sottile

martedì 10 aprile 2012

  
MUSEO NAPOLI NOVECENTO
A Castel Sant'Elmo
A Castel Sant'Elmo c'è un nuovo polo museale per la città con una 'mostra permanente in progress' che racconta con 170 opere di quasi 100 artisti, non solo napoletani, dal 1810 al 1980 più di centocinquant'anni di cultura, arte e storia della città e del suo contributo all'arte italiana, qualche volta a quella internazionale.
Voluta da Nicola Spinosa questo 'museo' si avvale di opere provenienti da altri musei come la Galleria d'Arte Moderna di Roma, ma anche di donazioni e di opere date in comodato da privati. Anello di congiunzione tra il Museo (classico, anche con una sezione di esposizione di avanguardia) di Capodimonte ed il Madre (ed anche gli 'eventi' del Pan), riempie finalmente un vuoto generazionale di artisti e di stili, movimenti, sperimentazioni.
E l'esposizione conduce il visitatore, con ben strutturati pannelli esplicativi, attraverso il passaggio da quell'arte, che pur avendo abbracciato le innovazioni dalla seconda metà dell'800, non si distaccava ancora da una pittura in parte ancora prettamente “figurativa” verso tematiche nuove che consideravano sempre più l'arte moto interiore, psichico, sociale, ricerca materica e iconografica; nei rapporti degli artisti di Napoli con rappresentativi personaggi dell'arte italiana ed estera e delle nuove esperienze internazionali, attraverso dettagliate notizie, considerazioni su eventi, artisti, incontri, mostre, movimenti, nel corso del tempo. Vi sono infatti i rappresentanti dei Movimenti e Gruppi storici che si sono succeduti nella città e nel Novecento dalla Secessione del '23 ai Futuristi, al Neorealismo, al Gruppo M.A.C., all'Informale, al Gruppo '58.......
Pregevoli opere di Vincenzo Gemito, Eugenio Viti, Tommaso Marinetti, Fortunato De Pero, Francesco Cangiullo, Umberto Mastroianni, Giuseppe Capogrossi, Emilio Notte, Armando De Stefano, Emilio Greco, Augusto Perez, Gianni Pisani, Carlo Alfano, Bruno Starita, Luigi Mazzella e tanti altri raccontano l'apporto ed il ruolo di Napoli nella storia dell'arte del '900.
                                                                    Maresa Sottile








lunedì 9 aprile 2012


La Certosa di San Martino di Napoli

La Certosa di San Martino fu costruita per volere di Carlo d'Angiò (figlio di Roberto) nel 1325. Morto prematuramente Carlo, il padre ne continua la costruzione che completò poi la figlia Giovanna con finanziamenti di vari mecenati (banchieri).
Tra i costruttori il famoso Tino da Camaino, che fu il protomastro e alla cui morte ne seguirono altri.
I frati certosini ne presero possesso nel 1337, ma la chiesa fu inaugurata nel 1368 e fu dedicata a Maria Vergine e a San Martino vescovo di Tours.
Nell'ultimo ventennio del '500 il fiorentino Antonio Dosio iniziò i lavori di ampliamento e abbellimento, seguito poi da Gian Giacomo Conforti e infine da Cosimo Fanzago che vi lavorò per 35 anni. (bergamasco venuto a Napoli con la madre, studia da scultore ma sarà anche architetto, sue opere: la Certosa, palazzo Donn'Anna, la Chiesa dell'Ascensione a Chiaia, San Giuseppe delle Scalze). Ci troviamo quindi in pieno barocco.
I frati ebbero molte vicissitudini e più volte furono scacciati dalla Certosa, nel 1800 accusati da Ferdinando, di ritorno dall'esilio, di Giacobinismo, ritornarono nel 1804 e due anni dopo furono di nuovo scacciati per ritornare nel 1836, mandati via definitivamente nel 1866 la Certosa fu destinata a museo. Durante la guerra fu anche sede alleata e solo nel '47 si potè risistemarla per riaprirla al pubblico.
Nell'atrio vi è l'epigrafe del 1871 in memoria dei tre giorni del luglio 1547 nei quali si lottò per tenere lontana da Napoli l'Inquisizione, e Napoli fu l'unica città nella quale non prese piede questa nefandezza.
Nel primo cortile si apre l'ingresso della Chiesa, che è uno dei monumenti meglio conservati della città ed un vero museo dell'arte barocca, infatti tutti gli artisti del tempo, che hanno lavorato in città, vi hanno profuso la propria opera facendone un gioiello impareggiabile del Barocco.
Il Porticato è opera del Dosio. Il Pronao della Chiesa è del Fanzago del 1631. Splendida la cancellata di ferro della fine del '600. Lo arricchiscono gli affreschi di Belisario Corenzio e Giovanni Baglioni e di Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro (1644)con : La Distruzione della Certosa d'Inghilterra (Enrico VIII)
La chiesa oggi è ad unica navata (nel Medioevo ne aveva 3)
Il Pavimento notevole è opera del certosino Bonaventura Presti (1666).
E' coperta da volte a crociera affrescate da Giovanni Lanfranco con: L'Ascensione, Angeli, Beati, Abele e Noè con figli, Giovan Battista Elisabetta e Zaccaria, Isacco Rebecca Esaù e Giacobbe, Dio e Cristo. A destra Lazzaro ed Abramo tra Tommaso e Pietro, Giacobbe con i figli di Giuseppe. Nelle lunette Cristo e i figli di Zebedeo, Cristo e Pietro salvato dalle acque, Profeti e patriarchi vari di Giuseppe de Ribera detto Lo Spagnoletto ed anche Mosè ed Elia sulla parete d'ingresso.
La tela con la Pietà è di Massimo Stanzione del 1638.
Fanzago ha eseguito gli Angioletti sugli archi delle cappelle e sulla Parete d'ingresso in basso S Giov. Battista e S. Zaccaria.
L'Altare Maggiore fu eseguito su disegno da Francesco Solimena e è suo anche il dipinto della Resurrezione. Stucchi dell'altare di Francesco Jevoli (1702).
Giuseppe Sammartino aggiunse decorazioni e Angeli.
La Balaustra dell'altare di marmi pregiati fu eseguita da Niccolò Tagliacozzi Canali e da Sammartino.
Nella volta del coro si trovano affreschi del Cavalier D'Arpino (Giusep. Cesari). Lunetta sup. di Giovan. Lanfranco. Pareti del coro di G. Lanfranco, a sinistra lo Spagnoletto, Natività di Guido Reni (1642) e Lavanda dei piedi di Battistello Caracciolo. Statua della Purità di Pietro Bernini. Cena di Gesù di Massimo Stanzione.(1639).
Sulla porta del Capitolo Cena degli Apostoli di allievi del Veronese.
Coro con 40 stalli in legno del 1629, leggio (forse del Presti), pavimento di Cosimo Fanzago
Cappelle di dx:
Cappella di S. Martino: S. Martino di B. Caracciolo, altri affreschi di Paolo Domenico Finoglia e tele di Solimena. Decorazione marmorea di Sammartino: statue della Carità e della Fortezza
La statua di S. G. Battista è opera di C. Fanzago e gli affreschi sono di M. Stanzione ( Virtù e vita del santo) e opere di Paolo De Matteis, le sculture sono di Lorenzo e Domenico Vaccaro.
Cappella di S. Ugone: sul'altare Andrea Vaccaro(1652) sull'altare M Stanzione, statue di Bottiglieri(1720). Tavolini intars. di Fanzago.
Cappella del Rosario: scultura di Domenico Vaccaro, tele di B. Caracciolo(1632).
“ “ di S. Brunone con dipinti di M. Stanzione sulla vita del santo (certosino)
Cappelle di sx:
Cappella di S. Gennaro: opera di A. D Vaccaro anche le statue dei 4 Evangelisti (1720) dipinti di Battistello Caracciolo, di cui di interesse storico il vicerè Monterey e il card Buoncompagni dipinto eseguito per ricordare l'eruzione del Vesuvio del 1631.
Cappella di S. Giuseppe: Quadri di De Matteis (1718-19) decoraz in stucca di D. A. Vaccaro. Decor in marmo di Fanzago. Penitenza e solitudine statue di Lorenzo e Dom. Ant. Vaccaro. Statua in argento di Biase Monti(1636)
Cappella dell'Assunta: tele di Francesco De Mura, volta di Batt. Caracciolo. Decorazione e statue di G. Sammartino.
Cappella di S. Nicola: dove c'era l'antica sacrestia, affreschi di Pacecco De Rosa (1686) Martiri di S. Agata e S. Caterina di Belisario Corenzio (1632).
La Sagrestia fu affrescata dal Cavalier d'Arpino: Passione Cristo, Vecchio Testamento, Crocefissione (1592), Passione di Cristo e sibille profeti di Lazzaro Cavarone genovese, Negazione di S. Pietro attrib in passato a Carvaggio. Cristo che lascia la casa di Pilato è di Fanzago, Stanzione e Codazzi.
Il Passetto, per andare al Tesoro, fu decorato da Stanzione con scene del Vecchio Testamento, Evangelisti, scene vita di Cristo. Andrea Malinconico Gli ebrei che lasciano l'Egitto, Luca Giordano: S. Pietro,S. Matteo, 4 Virtù e gliAngeli.
Il piccolo ambiente per andare al Tesoro detto del tesoro vecchio fu affrescato da Micco Spadaro, il pavimento disegnato dal Fanzago.
Il Tesoro: decorato da Luca Giordano: Trionfo di Giuditta (1704), figure femminili del Vecchio Testamento e allegorie Virtù e angeli. Deposizione di Giuseppe Ribera (1637) è anche la sua ultima opera.
Chiostro Grande è di Fanzago sull'antico progetto del Dosio. Di Fanzago anche pavimento, porte e busti che le sovrastano: Santi, alcuni anche di Dom. Ant. Vaccaro. Il Pozzo è opera di Felice De Felice-(1578)
Piccolo Cimitero rimesso a posto da Fanzago.
Chiostro dei Procuratori di Giov. Ant. Dosio. Il Pozzo è opera di De Felice.
Vi sono esposte nell'atrio coperto che va al giardino 2 carrozze: la Carrozza della Città (usata dai rappresent. Città), usata ultima volta nel 1861 quando il regno si unifica con l'Italia; e quella Reale è del 1840.
Nella Certosa vi sono esposte opere pittoriche di varie epoche che rappresentano la città e grandi avvenimenti storici di ogni tipo. Molte opere sono di artisti stranieri che si sono stabiliti in città per un certo tempo o per sempre.
Bella la Donazione Orilia: porcellane piccoli oggetti, boiserie. (Chiusa)
Interessante il Museo della Marina con imbarcazioni reali restaurate e modelli di imbarcazioni.
La Certosa di San Martino è sulla sommità della Collina del Vomero, accanto sorge il famosissimo Castel Sant'Elmo ed è uno dei monumenti più belli della città. Vi si gode un panorama incredibile sia dalle finestre che dal giardino a terrazze che scende verso la città.
                                     Maresa Sottile


domenica 25 marzo 2012

Una Famiglia napoletana molto interessante: i MASTRIANI

Nell'800 a Napoli vive ed opera la famiglia Mastriani, una famiglia borghese, di non grandi mezzi economici, ma di grandi interessi culturali ed artistici come dimostra il fatto che nel suo ambito troviamo tre notevli personalità che si esprimono in questi ambiti. Il primo personaggio di un certo rilievo è Raffaele, funzionario borbonico: Segretario del Consiglio di Abbigliamento nell'Amministrazione Generale dei Dazi Indiretti, disegnatore, scrittore umorista per divertimento e corografo, con Ferdinando De Luca, di fama europea ai suoi tempi. La corografia è lo studio del territorio antropico e storico relazionati tra loro. Di lui restano i suoi lavori corografici alla Biblioteca Nazionale di Napoli e gli scritti donati da un nipote che hanno formato il Fondo Mastriani. C'è una bella stampa che lo raffigura. E che la sua effige sia stata riprodotta in stampa col suo nome ci testimonia che fosse un personaggio noto e stimato.
Vi è poi il più noto Francesco nato il 23 novembre 1819 e morto il 7 gennaio 1891, scrittore.
A questo punto c'è un piccolo giallo molto complicato. Francesco Mastriani è il personaggio della famiglia certamente più noto. Risulta da Wikipedia figlio, insieme a Ferdinando e altri fratelli e sorelle, di Filippo, ingegnere con due matrimoni e molti figli, ma tale paternità non risulta né da enciclopedie né dall'unica biografia su di lui di Gina Algranati.
 Dall'archivio storico anagrafico la notizia parrebbe confermata, ma... nella famiglia Mastriani i nomi si ripetono e anche Raffaele ha un figlio Francesco ed uno Ferdinando, ma la cosa non finisce qui. Nelle Carte Mastriani, donate da un erede, della Biblioteca Nazionale di Napoli, ci sono delle lettere nelle quali Francesco e Ferdinando scrivono a Raffaele chiamandolo padre, inoltre l'erede che ha donato le carte era il figlio di Pia Mastriani e Francesco, lo scrittore e Ferdinando, il pittore, erano i fratelli della madre, ma Filippo non ha nessuna figlia di nome Pia, Raffaele sì.
Tali ricerche saranno ulteriormente approfondite e spero di riuscire a risolvere questo piccolo mistero. Comunque di chi siano figli i nostri due personaggi è relativo dato che sono loro i nostri protagonisti.
La fama di Francesco Mastriani credo che travalichi l'ambito strettamente napoletano. Autore di più di cento romanzi, tra i quali 'La cieca di Sorrento', del quale credo che tutti abbiano sentito parlare. E' oggi ritenuto anche il padre del giallo nel nostro paese per il suo romanzo: Il mio cadavere. Scrisse anche molti articoli ed è considerato un grande esperto di 'napoletanità' nel senso più importante: usi e costumi della città furono da lui immortalati e chiunque sia interessato ad essi si rifà per lo più a quello che lui ha raccontato.
La fortuna non arrise mai allo scrittore, che visse una vita molto misera. Ritenuto un autore popolare nel senso dispregiativo della parola, fu in realtà sfruttato da editori e giornali che vissero della sua opera e della sua popolarità, dando a lui le briciole e l'indigenza perseguitò questo figlio misconosciuto della città. Negli anni '70 del Novecento, un altro napoletano, il regista Ugo Gregoretti, gli ridiede qualche notorietà molto tardiva con lo sceneggiato televisivo tratto dal suo romanzo 'I vermi'. Più recentemente è stata messa in scena la Medea di Portamedina con Giuliana De Sio e Cristian De Sica.
L'opera di Mastriani è stata paragonata a quella di Sue, ma sempre dicendo che la sua è molto inferiore a quella dell'autore francese.
Quando morì la città lo pianse e finalmente qualcuno, Matilde Serao, scrisse su di lui un bell'articolo riconoscendogli un valore che in vita gli era sempre stato negato. Anche Benedetto Croce apprezzò Mastriani tanto che volle che Gina Algranati scrivesse la sua biografia, che l'autrice dedicò al filosofo e che credo sia l'unica, perché comunque Francesco Mastriani è tornato nel mondo dei dimenticati, il suo nome non dice niente ai più al di fuori del mondo degli studiosi e di qualcuno interessato alla storia della città o particolarmente acculturato. Persino la strada che la città gli ha dedicato è poco più di un breve vicolo in una zona popolare e periferica, anche se può consolare che nella stessa zona una strada è dedicata a Pier delle Vigne.

Nel 1838 nasce all'ingegnere Filippo (?) un altro figlio, Ferdinando, nel 1850 all'età di 12 anni viene iscritto all'Accademia di Belle Arti: evidentemente anche Ferdinando dimostra delle doti artistiche.
Della sua carriera artistica non si sa molto. Reperirne notizie non è impresa da poco, ed è sconosciuto anche agli appassionati, pur avendo legato il proprio nome a varie mostre nazionali del suo tempo non solo a Napoli.
Dai primi titoli che troviamo ci si rende conto che il Mastriani segue la pittura accademica sia nei soggetti che nella tecnica. Le opere di questo primo periodo non sono certamente esaltanti, così accademiche nei personaggi e nelle forme.
Nella 5° Mostra della Promotrice di Belle arti di Napoli nel 1867 troviamo una sua opera dal lungo titolo: “Nello della Pietra credendo vera l'infedeltà della moglie Pia dei Tolomei le toglie l'anello nuziale”, opera alla quale Tito Dal Bono non risparmia critiche, ma non sul soggetto in riga col gusto corrente ma sulla composizione e l'anatomia, ma poi la loda per una figura di spalle 'per eleganza e garbo'. Nell'esposizione del 1871 poi sappiamo di un'opera intitolata 'La curiosità', nel '72 il titolo dell'opera che espone è: La confidenza; nel 1874: Il mio album; nel '75 Mariella; nel '76: Ortensia; nel '78: Il mio Modello nel '79: Fosmà. Sembra chiaro che si tratti per lo più di ritratti e che Mastriani si sia allontanato dallo stile Neoclassico.
Nel 1882 sappiamo che ha dipinto una pala per la Cappella del Pio Sodalizio del Cimitero di Nola: La Congrega dei Preti venera S. Sossio, quadro che negli anni '90 del Novecento è stato rubato e non se ne conosce una immagine. Siamo comunque lontani per i soggetti da una pittura che possa realmente stimolare soprattutto oggi. Mastriani ha poi eseguito ad Ischia, per la chiesa di Santa Restituta a Lacco Ameno, una serie di dipinti con la storia della Santa. Si tratta di una pittura modesta invero, di tipo popolare. I colori sono chiari, le immagini abbastanza ingenue: un racconto popolare ed una pittura popolare. Non si nota una vera drammaticità e il linguaggio è ancora legato ai modi accademici, sembrano più delle illustrazioni di un libro che degli affresci o tavole. I personaggi non hanno pathos, non hanno anima. E' un racconto dal quale l'artista non è coinvolto, un racconto svolto con diligenza da un pittore modesto.
E qui sta il punto: Ferdinando Mastriani negli anni '70 ha una svolta nella sua pittura e questo lavoro commissionatogli non lo ha realmente ispirato, è lontano dai nuovi parametri ai quali è oramai  interessato.
Presso vari privati, invero discendenti della famiglia Mastriani, vi sono delle tele e delle tavole tutte di dimensioni modeste, nelle quali Mastriani si rivela un pittore intimista, il suo è un mondo di sentimenti, studia l’essere umano in una serie di ritratti, alcuni molto ben riusciti sia per qualità pittorica sia per espressività del personaggio che spesso si racconta, e in una serie di quadri d’interni. Non conosciamo paesaggi, tranne un paio: uno di Ischia ed un paesaggio alpino, nei quali pare che non si faccia affascinare dalla bellezza dei luoghi: non appartiene alla scuola di Posillipo o a quella di Resina, come la maggior parte dei suoi colleghi napoletani, è più interessato alle espressioni dei volti, a figure in interni che emanano una sottile malinconia.
Non si sa se abbia avuto contatti con gli impressionisti, come ipotizzò il maestro Armando De Stefano, osservando delle sue opere. Certo si è distaccato dal genere accademico neoclassico non solo nei soggetti, ma anche nella tecnica pittorica, con cui aveva iniziato il proprio percorso artistico. Ha abbandonato quella pittura precisa, piena di dettagli calligrafici, da cui proviene per formazione e per costume del tempo e si è avventurato nel terreno di una pittura che si affida alla pennellata più rapida e meno puntuale, ma molto più espressiva e di maggiori contenuti. Abbandona i soggetti storici per raccontare il mondo quotidiano che lo circonda, dal proprio studio alle persone che lo attorniano, che gli sono care.
Certamente con questa svolta la sua pittura assume una fisionomia più intensa e personale e vi sono delle opere che davvero arrivano ad un alto livello qualitativo ed espressivo, molto superiore a quello di alcuni suoi colleghi ancora visibili in libri e per i collezionisti.
Nell’esame attento delle opere del Mastriani, che ho potuto studiare, purtroppo però si riscontra una certa volubilità nel lavoro. La resa non è omogenea, mentre in alcune tele davvero ci troviamo davanti ad opere di un alto livello pittorico ed espressivo, altre volte appare più svogliato nell’esecuzione. Conoscendo poco o nulla della sua storia personale ed artistica, restando quindi difficile stabilire, sia una cronologia del suo lavoro sia le sue vicende, si può ipotizzare o che abbia avuto periodi di svogliatezza artistica o di disinteresse per il soggetto da rappresentare e di poca sintonia con esso. Oppure dobbiamo datare i suoi lavori meno riusciti come i primi passi della sua avventura pittorica nel distacco dallo stile neoclassico.
Certo sono frutto di una maturità artistica ormai raggiunta il Ritratto di donna con velo, o il Ritratto maschile che presumibilmente raffigura il fratello Francesco, o ancora quello della sorella Pia.
Si riscontra una stranezza nel lavoro di questo artista. Le opere che vengono da un membro della famiglia e sono in una collezione privata, non sono firmate, tranne un ritratto di Garibaldi, del quale non si sa naturalmente se fu eseguito dal vero o da una fotografia. E non si sa dove siano finite le opere da lui esposte, opere delle quali si hanno anche dei titoli, ma non si sa se siano quelle di cui siamo a conoscenza, (cosa poco probabile per la mancanza, appunto, della firma) o siano in altre collezioni private, dubitiamo molto che siano in musei.
Probabilmente proprio il fatto che sono opere rimaste ad una sorella ha fatto sì che non le firmasse. Potrebbe anche essere un simbolo della poca fiducia nella comprensione del pubblico per il suo nuovo linguaggio pittorico, oppure non dare un valore adeguato al proprio lavoro, forse perché l’apprezzamento pubblico non è rilevante. Naturalmente questa è solo un’ipotesi che facciamo per darci una risposta plausibile. E ce ne viene un'altra: non abbiamo date, questo potrebbe anche dire che Mastriani ad un certo punto era troppo avanti coi tempi per essere compreso in questa sua nuova visione pittorica.
Una cosa è certa, Ferdinando Mastriani è un pittore certamente quasi sconosciuto e certamente non studiato, inoltre la reperibilità delle sue opere è quasi impossibile. Però sappiamo che le opere che abbiamo visto sono di rilievo e la nostra opinione è stata condivisa da qualche altro esperto d'arte.
Si resta, a questo punto, un po’ interdetti per il suo mancato successo in vita ed il totale oblio dopo la morte. Verrebbe da pensare che la sorte sia stata beffarda con questi due talentuosi fratelli, uno morto in miseria nonostante fosse molto noto e molto amato dal popolo napoletano e avesse lavorato tanto, producendo una quantità davvero immane di scritti e non solo di letteratura popolare, ma giornalistica di rilievo, tanto che è uno degli autori più citati per quanto riguarda usi, costumi, tradizioni, eventi della storia cittadina (sono davvero tanti persino i siti in internet che lo citano e ne riportano interi articoli), l’altro morto quasi dimenticato nonostante di lui si dica che fu a lungo operante in città, pur essendo le sue capacità artistiche di un certo rilievo e pur avendo partecipato a molte mostre in tutta Italia. E’ infatti presente oltre che a Napoli nelle mostre della Società Promotrice di Belle Arti a Torino, Firenze, Milano, Genova.
                                  Maresa Sottile




giovedì 8 marzo 2012

 IL Futurismo
Nel 2008 Parigi, ha iniziato i festeggiamenti per il centenario del Futurismo, essendo la pubblicazione del Manifesto Futurista avvenuta il 20 febbraio 1909 su Le Figaro, come cercasse di appropriarsi di questa Avanguardia culturale, che tanto scalpore fece e tanta influenza ebbe sulla cultura ed arte del '900. Ciò è lusinghiero per il Futurismo e per l'Italia, che con questa vanguardia artistica uscì dall'ombra in cui era relegata da cento anni, dopo secoli di gloria.
Ma la pubblicazione del Manifesto è solo l'acme di un lungo lavoro preparatorio intrapreso da Filippo Tommaso (il suo vero nome era Emilio Angelo Carlo) Marinetti da svariati anni.
Nato ad Alessandria d'Egitto nel 1876 in una famiglia benestante, formatosi culturalmente in un collegio gesuita italo-francese, parla e scrive perfettamente anche in questa lingua. Si trasferisce poi con la famiglia a Milano e frequenta molto Parigi.
A Milano trova un clima culturale e sociale che influisce sulle sue idee e sulla sua formazione. Vi è il retaggio della Scapigliatura: una stagione orientata alla ribellione per la ribellione, inoltre la città si sta trasformando da artigianale ad industriale, creando nuove istanze sociali, ma anche un clima del tutto diverso dal provincialismo che si respira nel resto del Paese.
Marinetti, già laureato in lettere alla Sorbòna a soli 18 anni, si iscrive col fratello Leone a legge all'università di Pavia. Leone a soli 22 anni muore e questo sarà per Marinetti uno dei più grandi traumi della sua vita.
Si laurea anche in legge, ma subito dopo si dedica alla sua vera vocazione, la letteratura. Scrive e pubblica già nel 1902 poesie, opere teatrali, romanzi in francese sia in Italia che in Francia dove diventerà piuttosto noto. Vince il concorso letterario dei Samedie populaires con 'Vieux Marins'
Nel 1905 fonda, con Sem Benelli e Vitaliano Ponti, la rivista Poesia, a cui collaboreranno anche Carducci, Pascoli e D'Annunzio, e da qui partirà il suo lavoro preparatorio anche attraverso una operazione di aggregazione, e che dopo il '909 sarà l'organo ufficiale del Movimento. Posto poi preso, alla chiusura di Poesia, dalla rivista Lacerba di Giovanni Papini e Ardengo Soffici, a cui lui collaborerà, finendo poi con l'appropiarsene. L'idea del Manifesto Futurista non nasce quindi dall'oggi al domani ma da una lunga incubazione dovuta a tutte le esperienze socio-culturali del suo ideatore. In effetti la stessa parola “futurismo” non è sua, fu usata per la prima volta “Nell'augurio dell'Italia futura” più di 60 anni prima da Gioberti.
E già prima della pubblicazione su Le Figaro il famoso Manifesto del Futurismo era uscito su quasi tutti i giornali italiani, integralmente (come a Napoli su Tavola Rotonda dell'editore Bideri il 15-02), o parzialmente o riassunto, dato che M. lo aveva inviato a tutti, riscuotendo per lo più commenti ironici. Il primo a pubblicarlo integralmente fu la Gazzetta dell'Emilia di Bologna il 5-2. (In realtà Marinetti aveva ritardato la data del suo attacco sul fronte dell'arte e della società contemporanea a causa del terremoto di Messina.)
Ma è a Parigi da cui si deve partire per conquistare l'attenzione del mondo, da un secolo è infatti il centro culturale e artistico dell'occidente.
Sfruttando le sue conoscenze, corteggiando la figlia di un amico egiziano del padre (Mohamed el Rachi) azionista del Le Figaro, ottiene la pubblicazione del suo Manifesto, compreso il proemio preparatorio, sulla prima pagina del famoso giornale parigino, impegnato culturalmente e molto importante.
L'Italia è frattanto impantanata in una cultura troppo legata al passato, che non si rende conto di quanto sta accadendo intorno a sé: nuove tecnologie, scoperte scientifiche stanno cambiando il volto del mondo e quindi nuovi valori vanno formandosi e ci sono urgenze nuove che la cultura e l'arte non possono ignorare e non si può continuare a glorificare un mondo che non c'è più. Tutte idee che già circolano, ma il grande comunicatore Marinetti le urla a perdifiato e crea scalpore.
Marinetti ha compreso e usato la comunicazione di massa e l'impatto dell'eccesso scandaloso: bisogna far parlare di sé magari male, anche contro.
Ciò significa creare curiosità, notorietà, su un terreno già preparato negli anni dagli scritti suoi e dei suoi seguaci.
E il lavoro non si ferma, Manifesti, volantini coloratissimi, Serate Futuriste, conferenze, articoli, per cercare proseliti, che a loro volta facciano altri proseliti, contatti, lettere, un vero Public Relation Man. Marinetti girerà mezzo mondo con le sue performance, le sue opere, suscitando polemiche, risse, entusiasmo e disprezzo, curiosità, rifiuti, critiche, ma certo facendo parlare di sé e del Futurismo. Coinvolgerà nelle sue idee artisti di tutto il mondo, soprattutto giovani.

Ma cosa dice questo famoso manifesto che tanto fa parlare di sé e del suo autore?
Sono 11 punti o articoli (l'11 è il nro fortunato dei futuristi) in cui si propugnano tutte le nuove tecnologie e la loro bellezza: l'automobile viene detta più bella della Nike di Samotracia; in cui si vogliono distruggere tutti i musei; in cui si esalta la velocità e si condanna chi è legato al passato, si esalta la partecipazione dell'operaio come dell'artista, l'azione e la violenza e si definisce la guerra 'unica igiene del mondo', si proclama il disprezzo per la donna. E specifica che ciò che proclama viene dall'Italia.
A primo acchito tutto è piuttosto sgradevole, anche perché queste dichiarazioni sono espresse così violentemente che irritando non fanno troppo riflettere.
Le sue idee non sono solo sue, all'inizio lo stesso Croce, poi Bergson, Sorel, Nietzsche, saranno suoi ispiratori, e sono idee che molti condividono a cominciare da quelle della guerra, dell'azione anche violenta; quello che fa scandalo invece è il rifiuto del passato. Quanto all'entusiasmo per le macchine e la velocità già altri se ne erano fatti propugnatori: Mario Morasso giornalista e saggista che gode di grande fama e stima anche all'estero alla stregua di Bened. Croce, poi fondatore della rivista ”Motori, Aereo, Cicli eSports”, aveva già affrontato molti dei temi che tratterà M.
Anche il concetto di verso libero, che assieme alla parolibera, Marinetti propugnerà anche nelle sue opere, vedi 'ZAM TUMB TUMB, non è il primo ad usarlo, ma fu il poeta Gian Pietro Lucini, che poi collaborerà anche lui alla rivista Poesia.

La sgradevolissima frase sul disprezzo della donna in realtà è il rifiuto verso il tipo della 'donna ideale' romantica, esaltata in quel tempo, da D'annunzio in testa, che Marinetti non ama e che ormai detesta da quando si è proclamato Vate, alla morte di Carducci, lontana dal suo reale valore di donna che deve essere pari all'uomo, come infatti egli riterrà sempre la compagna e poi moglie Benedetta. I futuristi, cantori della forza e del dinamismo, detestano il romanticismo, il chiaro di luna e cose simili. Ma anche lo scandaloso distruggere i musei è soprattutto provocazione, perchè in realtà ce l'ha con chi resta ancorato a quello che è stato ed è cieco alle istanze del proprio tempo.
Ed è interessante a questo punto vedere come M, che rifiuta e contesta la cultura ufficiale italiana, scriva a Croce per averne consenso, magari adesione. Ma il filosofo si astiene dal rispondergli, forse presago dei contrasti futuri fra le idee del poeta e le proprie. Idee che toccano l'argomento più sensibile: la politica.
E qualche tempo dopo la vendetta dei futuristi: De Pero e Cangiullo inscenano il funerale di Ben. Croce durante una famosa serata futurista a Roma.
Inizialmente ispirato dal socialismo, proprio come Mussolini, Marinetti corre su binari convergenti col Fascismo (Croce dirà che il Futurismo fu il germe naturale del fascismo): l'esaltazione dell'azione, la partecipazione attiva delle masse operaie, anche violenta se occorre, la necessità della guerra........
Oggi si tende a rivalutare la figura di M. a proposito della sua adesione al fascismo, è infatti vero che se ne allontanò quando salì al potere cambiando il proprio volto, come è vero che scrisse una lettera (a suo tempo non divulgata) in cui protestava contro le leggi razziali e contro coloro che profittandone erano corsi ad accaparrarsi i posti importanti lasciati vacanti da insigni personaggi che avevano il torto di essere ebrei; ma se ne allontanò anche perché era mal visto dagli ambienti intorno al Duce, allontanandosi addirittura dall'Italia.
Però poi ci si riavvicinò molto opportunisticamente, quando il suo successo a livello europeo andò scemando e si mise al suo servizio. Lavorò per il Regime, fu fatto Accademico d'Italia e certo il fascismo non aveva cambiato il proprio volto né la propria strada.
Le idee futuriste investirono tutti i campi della cultura e dell'arte: dalla musica alla fotografia, dalla pittura all'architettura, dal cinema alla letteratura, alla musica e valicarono tutte le frontiere. Ed è interessante vedere come i suoi detrattori o critici in apparenza irriducibili, piuttosto rapidamente cambino idee e si leghino a Marinetti e al futurismo. Apollinaire per tutti, che apostolo del cubismo inizialmente s'indigna del futurismo e lo osteggia, poi si avvicinerà a Marinetti ed ai futuristi e ne dirà bene. Come nel contempo esperienze futuriste vengano disdegnate dai futuristi stessi quale quella fotografica di Anton Giulio Bragaglia, del tutto ingiustamente (i pittori ce l'hanno sempre avuta con la fotografia dalla sua comparsa).
Il punto di forza del Futurismo, nato come movimento letterario, fu certamente l'adesione del mondo dell'arte figurativa, Boccioni, Balla, Carra, Severini, Russolo, Sant'Elia e poi De Pero e tanti altri fanno esperienze futuriste anche se poi alcuni se ne allontaneranno per sempre.
Quando si dice Futurismo quindi è indubbio che tutti pensino all'arte figurativa e non ha torto, perché è la manifestazione futurista che resta più pregnante nel mondo culturale ed artistico, quella che più di tutte verrà seguita, imitata, che porterà più di ogni altra l'Italia sulla ribalta mondiale dell'arte, facendola uscire dal pantano della tradizione.
Fu fortuna o destino che fece sì che i pittori che bussarono alla porta di Marinetti a via Genova 2 a Milano, sua abitazione e quartier generale, per aderire al Manifesto fossero delle grandi personalità oltretutto sinceramente e fortemente coinvolte dalle idee Futuriste? Boccioni, Balla, Carrà, Severini, Russolo che nel suo salotto subito scrissero il Manifesto della Pittura Futurista a cui si unì Antonio Sant'Elia, che purtroppo per la prematura scomparsa in guerra, quella guerra tanto glorificata dai futuristi, ci ha lasciato solo disegni delle sue ardite architetture che guardate oggi sono davvero precorritrici della grande metropoli, anche più ardite, razionali e futuristiche di quelle reali. Un piccolissimo esempio, li avrete visti nei film americani e se andate al Centro Direzionale ne potrete prendere uno: parlo degli ascensori tutti di vetro che scivolano sulle pareti esterne degli edifici. Perchè gli ascensori non devono più 'nascondersi nelle viscere dei palazzi' scriveva Sant'Elia.
E voglio anche ricordare un personaggio come Russolo, musicista, poeta e pittore e anche delizioso disegnatore, che con il suo 'intonarumori' sarà in certo senso un precursore in Italia della musica dodecafonica di Schomberg, e addirittura di quella elettronica.

Ciò che soprattutto vogliono rappresentare i pittori futuristi è il movimento e tutto quello che ciò implica, e la simultaneità delle azioni e della sua memoria nel tempo in cui si attua, le emozioni che ne derivano, la partecipazione di chi guarda che viene posto al centro dell'opera con le sue sensazioni e non più al di fuori. E sarà Boccioni il più grande interprete di quell'elain vital (slancio, impeto vitale) di cui parla Bergson, filosofo a cui molto devono sia i cubisti che i futuristi. Ed è certo che sono questi ultimi i migliori interpreti del suo pensiero. Come è certo che la scultura di Boccioni 'Forme uniche nella continuità dello spazio' è il massimo capolavoro del futurismo e uno dei più grandi dell'arte in genere. Il dinamismo delle forme piene e vuote, delle linee dinamiche nello spazio hanno dato vita, a mio avviso, ad una delle opere più significative ed emozionanti della storia dell'arte di tutti i tempi.
I pittori futuristi partono tutti da esperienze divisioniste, allora in voga in Italia, (derivate dal pointillisme), cioè l'uso del colore puro messo a piccoli tocchi ravvicinati, che ha la proprietà di dare un effetto di maggiore luminosità del colore, tecnica che nasce da scoperte scientifiche nel campo dell'ottica e che in parte continueranno a sfruttare. E la luce è uno degli obiettivi dei futuristi, ma non quella naturale bensì quella elettrica. Via la luna viva i fanali.
Naturalmente le mostre dei Futuristi creeranno scompiglio, polemiche e critiche. Alla prima mostra dei futuristi a Parigi 'La risata' di Boccioni verrà sfregiato. Ma l'influenza di questa nuova Avanguardia artistica toccherà molti. E dal suo tronco possente nasceranno ramificazioni futuriste di ogni tipo e in ogni luogo.
Nascerà il futurismo russo, in Inghilterra il Vorticismo, il cubismo e gli stessi Picasso e Braque ne verranno sia pur per breve tempo coinvolti con esperienze cubo-futuriste, ma le opere cubo-futuriste verranno molto criticate e Delanuy fu associato ai futuristi per la sua 'Figura che scende le scale', anche se asserisce di averla dipinta prima che apparisse il Manifesto, protesta e si dissocia, ma ancora molti ce lo rifilano come tale, e questo ci fa ancor meglio comprendere come il pensiero futurista fosse nell'aria. Nascerà l'Orfismo, quello che potremmo definire un ibrido tra esperienze cubiste e futuriste.
L'opera di divulgazione marinettiana e dei suoi continuerà a battere incessantemente tutta Europa, persino il Sudamerica, non dimenticando però l'Italia, con eventi di ogni genere, pubblicazioni di Manifesti persino dell'arte culinaria.
E' questo il periodo del Futurismo Eroico, la prima stagione del Futurismo che finita la Grande Guerra vivrà un periodo di dimenticanza in quanto nuove avanguardie si affacceranno alla ribalta e molte idee andranno cambiando dopo la terribile esperienza di una guerra devastante che ha costretto il mondo ad esperienze mai prima vissute facendo morire in molti certi entusiasmi, utopie e anche smargiassate proprie di questo Movimento di pensiero e di azione.
Tornato Marinetti in Italia non cesserà mai la sua opera di divulgazione del Futurismo, facendo aprire una nuova stagione di quest'Avanguardia che intanto è stata superata da altri concetti e avanguardie quali il Dadaismo, il Surrealismo, l'Astrattismo, il Concretismo e così via. Bisogna dire anche però che le idee artistiche futuriste hanno ancora una valenza concettuale e molti pittori delle nuove generazioni vi si avvicineranno facendo vivere la stagione del Secondo Periodo Futurista, quello inaugurato dall'Aeropittura nel '29, nuova passione di Marinetti è l'aereo, e che finirà nel '44 con la morte di Marinetti. Stagione chiusa proprio ufficialmente con una cerimonia e l'apertura di un centro che conservasse le memorie del Movimento.
Non si può negare che questa seconda stagione ebbe molti adepti, ma anche che i futuristi di questo periodo risentono delle esperienze delle altre avanguardie, soprattutto di quella cubista.
Quale fu sin dall'inizio il rapporto di Marinetti con la nostra città e della città con lui?
Napoli, come tutte le città del Paese ebbe le sue serate futuriste, le sue polemiche, le sue risse, i suoi adepti e i suoi critici. Tra l'altro Futurista della prima ora fu Francesco Cangiullo, personaggio poco noto oggi forse perché non eccessivamente messo in luce da Marinetti che però lo 'usò' molto. Poeta e pittore che divenne quasi il braccio destra di Marinetti, che lo seguì dovunque e che compose un'operetta: Piedigrotta piena di suoni onomatopeici e con strumenti quale il putipu, lo scietavaiasse e il tricaballacche, strumenti che con i loro suoni violenti piacevano molto a Marin. Ma in genere l'accoglienza al Futurismo della classe colta e di potere non è né di troppa simpatia né di troppo interesse. Roberto Bracco se ne distanziò quasi con sdegno, anche se poi i suoi rapporti mutarono (come sempre abbiamo visto accadere) tanto che Marinetti lo salvò con altri dal carcere, data la sua posizione nel Fascismo.
C'è un personaggio molto interessante: l'editore Casella, che ha rimesso in sesto la propria casa editrice lasciatagli da padre in cattive acque e sarà poi il primo editore di Kaput di Malaparte, che resta affascinato da Marinetti e dal Futurismo e nei suoi locali di Piazza Municipio si terrà la prima mostra del Futurismo a Napoli. Casella diventerà molto amico di Marinetti con cui trascorrerà anche varie vacanze a Capri. Marinetti ama Napoli anche se ha parlato piuttosto male della città e dei suoi cittadini, ma c'è qualcosa che lo attira: il Vesuvio per lui è un simbolo di latente forza violenta, anche distruttrice e questo ovviamente gli piace; e scrive una poesia 'Spiralando sul golfo' dopo averlo sorvolato col suo idrovolante; Boccioni dipingerà 'Sotto la pergola a Napoli, gli piacciono gli scugnizzi che vuole nazionalizzare, gli piace la parola in sé, che viene da 'scugnare' (rompere) dal latino excuneare, e la usa dicendo: “a Croce opponiamo lo scugnizzo italiano”.
E infine ama Capri a cui non vorrà mai far toccare la sorte che vorrebbe per Venezia, riducendo il Canal Grande ad arsenale militare per dominare il 'Lago Adriatico' dopo averne raso al suolo le inutili testimonianze del passato. Marinetti e i futuristi amano molto l'isola dove si rifugiano spesso, fanno mostre, trascorrono periodi molto gradevoli e ne parlano bene entusiasticamente. La sua natura primigenia gliela fa amare. Anche a Napoli Marinetti viene comunque altrettanto volentieri. Un altro editore: Sprovieri di Roma, che vorrebbe prendere il posto di Casella per i futuristi, ma, con poco successo, apre una galleria d'arte omologa a quella romana: la Galleria Sprovieri a palazzo Spinelli in via dei Mille dove si faranno le mostre futuriste. Marinetti segue molto tutti i suoi seguaci in ogni luogo, anche quelli napoletani spronandoli, intrattenendo rapporti epistolari e amichevoli, proteggendoli ed aiutandoli.
Uno dei futuristi del primo periodo (1916) fu Emilio Notte. Notte era originario della Puglia ma per motivi familiari nel 1907 si trasferisce in Toscana e qui verrà a contatto con molte personalità artistiche e di alto livello culturale, a partire da Fattori, e tra cui Malaparte, Prezzolini, Soffici, e Marinetti dal quale sarà introdotto nel salotto milanese di Margherita Sarfatti. Dal '16 era ormai nelle file futuriste. Insegnò dal '24 al '26 a Roma nella Scuola Libera del nudo e dal '29 ebbe la cattedra di pittura a Napoli.
Con lui iniziò un metodo di insegnamento che rinnovò l'ambiente artistico napoletano dai vecchi stilemi imperanti post-ottocenteschi. Non poteva essere diversamente: un artista che aveva partecipato ad una delle avanguardie più importanti del tempo, conosciuto i più grandi pittori e uomini di cultura, non poteva che portare un soffio di rinnovamento. Ma non fu ben accolto, neanche lui, anzi piuttosto osteggiato e isolato per molti anni. Ma non dai suoi allievi di cui aveva la stima e l'ammirazione.
Dalla sua scuola usciranno poi artisti quali, Leone, Persico, Pisani, Del Pezzo. Emilio Notte è una di quelle figure un po' dimenticate, anche se di grande valore, e ci auguriamo che in futuro lui e la sua opera vengano studiate e valorizzate.
E' nel secondo periodo del Futurismo che Napoli è più coinvolta e gli artisti che vi operano sono anche influenzati da altri movimenti innovatori (es. Il Cubismo) per cui questo periodo si diversifica dal precedente.
L'elenco dei futuristi napoletani è piuttosto corposo, Piscopo, Buccafusca, Lepore, Jappelli, tra loro alcuni fondarono il Circumvisionismo, che si distaccava dal Futurismo per il rifiuto degli ideali di tipo fascista e dalla idea esasperata della macchina. Altri dettero vita all'UDA: Unione Distruttivisti Attivisti, Paolo Ricci, Mario Vittorio. E come in altre città nasce il Blocco Forze Futuriste Napoletane.
Nomi importanti fanno esperienze futuriste da Pierce a Ricci, a Pepediaz, a Buccafusca.....
Parlerò di alcuni di essi, anche perché ho avuto l'onore, ma soprattutto il piacere di conoscerli personalmente e non da lontano come mi è capitato con Notte o con Ricci quando ragazzina frequentavo il Liceo artistico.
Il primo che ho conosciuto fu Vittorio Piscopo. Ma la nostra non fu una conoscenza per motivi d'arte, almeno non di quella figurativa. Ci conoscemmo all'Auditorium della Rai nella stagione dei concerti sinfonici, la nostra fu una simpatica amicizia ma in realtà confesso che allora, ancora molto giovane, poco sapevo di lui oltre che era un pittore. Era molto più grande di me e non entrava nel mio panorama allora legato a De Stefano, Pisani, Alfano, ecc., amici, maestri, esperienze che entravano nella mia storia. Sapete come si è quando si è giovani: un po' superficiali e molto a senso unico. Per me il Futurismo si studiava, ormai contestualizzato, l'oggi era altro.
Piscopo scrisse: “...il Futurismo si qualifica come un nuovo principio filosofico...” Ed oggi non posso che concordare anch'io pienamente con questa sua definizione.
Poi ho conosciuto Roehrssen, ho visto le sue opere: mi invitò a visitare il suo studio in via Giotto. Ho trovato Roehrssen un uomo incredibile per la vivacità con cui mi parlava del suo lavoro e sappiamo tutti che fino alla fine ha lavorato anche ad opere impegnative fisicamente. Ma quando l'arte brucia dentro...non voglio essere retorica ma Roehrssen, come il Maestro Leone sono esempi che l'artista che è in loro non invecchia a dispetto del tempo che passa. Roehrssen appena ventenne nel '33 partecipò alla sua prima mostra futurista con successo. La seconda guerra mondiale lo allontanò dal suo lavoro e poi la morte della moglie e di un figlio lo fecero smettere di dipingere. Solo nel 1988, ormai settantenne riprese con incredibile lena ed entusiasmo e per vent'anni ha lavorato alacremente riallacciando forse quel discorso interrotto per eventi così difficili e dolorosi.
Infine il Maestro Antonello Leone, che tra l'altro è stato direttore dell'Istituto d'Arte Boccioni a Napoli. Anche col Maestro Leone ho una nota personale oltre che di conoscenza di lavoro. Una sera abbiamo scoperto che lui e sua moglie, l'indimenticata pittrice Maria Padula, erano cari amici di mia Nonna. Antonello Leone come artista invece l'ho conosciuto qualche anno fa presentando un suo lavoro digitale in una collettiva, stupendomi della sua vitalità e voglia di sperimentazione. Poi ho visto il suo lavoro e ho scoperto un artista impegnato in una costante ricerca espressiva. Ricerca che lo ha fatto notare dal critico Philippe Daverio che lo ha definito il 'caso Leone' e finalmente la città l'ha onorato con una grande mostra al Castel dell'Ovo. Sempre distratti i napoletani..... Anche lui, secondo me, come altri è stato penalizzato dal fatto di non essersi mai trasferito dal Sud.
Leone aderì al Futurismo entusiasticamente dopo aver assistito ad una delle  famose Serate di Marinetti. Marinetti lo affascinò, cosa che accadeva a molti giovani che hanno in sé sempre la voglia di nuovo, di sperimentare, il senso della ribellione. Leone ha superato il suo periodo futurista, però credo proprio che per lui sia stata una grande esperienza, molto vitale.
Voglio concludere con alcune riflessioni: la prima è che sono tante le cose non dette ma l'argomento è estremamente vasto anche perché il Futurismo è l'avanguardia che ha avuto la vita più lunga nella storia delle avanguardie, che hanno invece solitamente la proprietà di sparire o trasformarsi in tempi brevi, e che più di ogni altra ha avuto una risonanza eccezionale, lasciando un segno indelebile.
E' certo che la figura di M., anche nelle sue contraddizioni, è estremamente interessante e ci sarebbe ancora tantissimo da dire, per non parlare degli artisti più famosi, ma anche di quelli meno noti.
Ma del fondatore del Futurismo bisogna dire che esaltava un futuro più scattante, 'moderno' ma si esprimeva in modo roboante e retorico, ce l'aveva con la cultura ufficiale, ma voleva diventare lui e le sue idee la cultura ufficiale. Di contro bisogna ammettere che ciò che lui ha enfatizzato, esaltato, amato non è scomparso. E' stato il profeta di un futuro che è il nostro presente sia nel contenuto che nella forma. Il mondo si è sempre più meccanizzato forse come nessuno avrebbe previsto, e la velocità è diventata un elemento della nostra vita a cui non facciamo nemmeno più caso. La società, la vita di tutti sono cambiate per le cose che lui esaltava anche smodatamente. E soprattutto aveva capito più e prima di chiunque il valore della informazione di massa urlata, violenta, provocatoria e di quello che si può ottenere attraverso di essa. Addirittura ispiratore di grandi pubblicitari, precursore di quello che accade ormai ogni giorno ovunque e in tutti i campi.
Immaginate cosa avrebbe potuto fare se avesse potuto avere a disposizione anche la televisione ed Internet.
Maresa Sottile