Quest'anno ricorre il IV centenario della morte di Domenikos Theotokòpulos, è questo il nome di un pittore che tutti conosciamo come El Greco (Isola di Creta 1541, non è certo se a Fodele o a Candia - Toledo 1614). La Spagna ricorderà questo evento con mostre sia al Prado di Madrid che a Toledo con opere provenienti da tutto il mondo; sia con una mostra itinerante “Tra il cielo e la terra. Dodici sguardi su El Greco. E opere esposte nei luoghi per cui furono eseguite. Un gran fermento in tutta la Spagna per questo suo figlio adottivo che tanta arte le ha donato.
Pittore piuttosto originale, studiò ed esercitò nell'isola, dove era iscritto anche alla Gilda, fino al 1560 c. poi approdò a Venezia, dove venne a contatto con la pittura ed i Manieristi veneti, ma anche con Tiziano e, forse, fu per breve periodo suo allievo.
Naturalmente l'ambiente artistico veneto è tutt'altra cosa da quello cretese. E' vivace e ricco di grandi artisti che lo affascinano.
Prima influenzato dalla pittura bizantina, dipingeva icone a Creta, ora subisce ovviamente lo splendore dei colori e della luce dei pittori veneti, Tintoretto e Jacopo Bassano, lo conquistano più dello stesso Tiziano, che è di lui che forse scrive a Filippo II dicendo: ”...molto valente mio discepolo”.
Ma sarà più sensibile alla ricerca manieristica che al gigante del colore che forse frequenta come allievo.
Nel '70 va a Roma, e vive un'altra esperienza importante. Vede ovviamente l'opera di Michelangelo, che però non stima come pittore. Certo Michelangelo in ogni sua manifestazione artistica è fortemente scultoreo e forse questo non intrigava un uomo come El Greco, anche perché già a quel tempo il 'vero' colore del grande fiorentino era offuscato dal fumo grasso delle candele, tant'è che forse neppure Giulio II forse vide i veri squillanti colori del grande Buonarroti.
Né deve averlo particolarmente colpito la pittura calda, la composizione ampia di Raffaello, la sua intima serenità anche nelle composizioni drammatiche, mai veramente tragiche.
El Greco viaggia per l'Italia e infine approda in Spagna a Toledo.
Ha completato la sua maturità artistica, ha visto tante cose, ha trovato quelle che si avvicinano più al suo spirito tormentato. Ha formato il suo stile.
La luce è uno dei problemi, delle sfide, delle ricerche dei pittori. La luce è una delle protagoniste più importanti della pittura del '500/'600, e El Greco uno degli artisti che ha fatto della luce un uso particolare rendendola protagonista della sua pittura.
Ha visto Tintoretto dipingere i contorni con un raggio di luce, Tiziano impastare il colore con la luce, Veronese invadere di luce le sue composizioni grandiose. Lui illuminerà le immagini con guizzi luminosi che renderanno le sue figure allungate e movimentate, drammatiche e surreali. Dopo di lui Caravaggio illuminare le sue scene con proiettori invisibili, fasci di luce che metteranno in evidenza l'azione, la drammaticità e il senso dell'opera. Due modi diversi che portano ad uno stesso risultato in un certo senso: la luce attrice principale delle loro scene fortemente e teatralmente drammatiche. Eppure non potrebbero essere più diversi formalmente. Caravaggio ha alle spalle Cimabue, Giotto, Mantegna, El Greco il mondo bizantino. Le sue composizioni saranno sempre convulse, più verticali che orizzontali ed i suoi colorir lividi.
Sperò molto, El Greco, di conquistare la corte spagnola, ma al re non piacque il suo lavoro, che dopo avergli commissionate due tele: l'Allegoria della Lega Santa e il Martirio di San Maurizio relegò quest'ultima nella Sala Capitolare invece che nella Cappella per la quale era stata commissionata.
Rimase a Toledo ed ebbe commissioni importanti, ma il sogno di lavorare per il re e raggiungere quindi il riconoscimento più importante che gli avrebbe portato fama e gloria, svanì.
Le figure allungate, tormentate, le luci guizzanti che colpiscono i corpi, la pittura sfaldata, i cieli tormentati da nubi apocalittiche, l'inquietudine che c'è nelle sue composizioni, creano una cifra unica nella pittura. E' ciò che contraddistingue i grandi artisti: l'inconfondibilità del loro lavoro.
Tra le sue opere più famose Il seppellimento del duca di Orgaz (Toledo S. Tommaso), L'Adorazione dei pastori al Prado di Madrid, Il sogno di Filippo II a Madrid all'Escorial, la Natività alla Galleria Barberini Roma... e i magnifici ritratti di grande acutezza psicologica. Davvero tanti e bellissimi.
Maresa Sottile
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mercoledì 23 aprile 2014
giovedì 10 aprile 2014
RENE' MAGRITTE un artista Surrealista-Metafisico
La pittura surrealista ha due nomi che credo tutti conoscano: Salvador Dalì e Renè Magritte. Certo non sono gli unici surrealisti, ma di sicuro i più noti. E anche molto diversi. Il primo è molto più drammatico, a volte cupo, non molto ironico, quasi barocco. Spagnolo.
Renè Magritte è belga, un'anima diversa, e questo ha il suo peso a mio parere. Il surrealismo di Magritte si avvicina alla metafisica, sotto l'impatto della pittura di De Chirico. E la sua pittura è spesso anche ariosa, luminosa, in qualche caso a primo acchito quasi divertente nella sua grande ironia. Chi dipinge una pipa e scrive sulla tela “Ceci n'est pas une pipe”, ha ragione èd è ironico e divertente, e mette in discussione molte cose.
Magritte nasce a Lessin nel 1898 in una famiglia borghese. Ma per lui il destino ha una brutta sorpresa. Nell'età più delicata della vita, l'adolescenza, non ha ancora quattordici anni, sua madre si suicida gettandosi nel fiume Sambre, e cosa ancora più terribile è presente al ritrovamento del suo corpo: quando la ripescano la camicia le copre il volto, lasciando il suo corpo nudo.
Una esperienza del genere non la si dimentica e condiziona per sempre. Anche se Magritte non vorrà parlarne, minimizzerà l'influenza del fatto. Ma non sarà vero. Non sarà mai uno spirito allegro, anche se la sua non sarà una vita molto problematica o infelice, e la sua pittura metafisica-surreale (credo che sia più giusto 'etichettarla' così che semplicemente surrealista) ricorderà spesso nelle sue opere, più che l'evento in sé di quell'episodio terribile, ciò che gli sconvolse la vita: il trauma dell'abbandono, dell'incomprensibile dolore, dell'incomprensione del mondo.
Magritte farà regolari studi artistici iscrivendosi all'Accademia di Belle Arti di Bruxelles, e, come qualsiasi artista subirà le influenze del suo tempo e dell'arte del suo tempo: Cubismo e Futurismo, anche se in lui c'è già la vena Surrealista. Grande influenza avrà su di lui la visione di un quadro di Giorgio de Chirico: Canto d'amore.
E fino a tarda età, con un breve periodo negli anni '40 in cui si darà all'Impressionismo, racconterà nei suoi quadri un mondo spesso onirico e nel contempo molto realistico nella sostanza pittorica, e metterà in evidenza l'incongruenza delle cose, del sentire, del mondo con i suoi interrogativi.
La Metamorfosi sarà un'altra sua caratteristica: scarpe che diventano piedi o piedi che diventano scarpe, umani che diventano altro. E ci saranno bare sedute che riprendono quadri di altri artisti, come Prospettiva: Madame Récamier di J.L.David che riprende quello di David o Prospettiva: il balcone di E. Manet, che sempre con bare sedute al balcone ripiglia l'opera dell'impressionista che ritrae una famiglia borghese al balcone. Ma anche sonagli da soli che volano o nei corpi, nelle piante: metamorfosi di che? Le interpretazioni della critica e degli storici sono tante, ma forse ognuno guardando deve dare la sua, perché le opere di Magritte sono tutte misteriose e da interpretare, parlano all'inconscio ed anche alla mente di ognuno, e ognuno è diverso dall'altro.
E sono belli e luminosi i suoi cieli dove si stagliano nuvole luminosamente candide, omini di spalle in bombetta che vi volano, o vi si staglia una coppa da champagne in cui sosta e straborda una nuvola.
Sono stata al Museo di Capodimonte stamane e, improvvisamente, sono stata colpita da un enorme quadro in uno dei saloni dell'appartamento reale, ora tutto diventato Museo. Il quadro è di Jean Jaoseph Xavier Bidauld (1758-1846) e si chiama: Castello al chiaro di luna. E' un bellissimo paesaggio rischiarato dalla luna, con sullo sfondo un castello con alcune finestre illuminate. E mi è subito venuto alla mente il, bellissimo anche questo, dipinto di Magritte molto affascinante: L'impero delle luci, tema che l'artista riprese in più tele (cosa che accade per molti suoi dipinti), che ha una discreta somiglianza con quello del Bidauld in questa 'notturnità' illuminata da un fanale davanti all'edificio e le finestre illuminate che rilucono sul nero dei muri, ma il cielo è diurno con nuvole bianche. Il punto è che all'inizio non ci si rende nemmeno conto del non-sense. E mi sono ancor più convinta che già tutto è stato fatto, detto, vissuto. Eppure tutto è diverso da tutto.
E ci sono i quadri dell'angoscia, quelli avvolti dal panno bianco che nasconde i volti o che 'vestono' parti di corpi nudi.
Ci sono immagini di cose e oggetti monocrome perché tutti della stessa materia, che nulla ha a che vedere con essi. E ci sono i quadri ironici, come La notte di Pisa, dove in un paesaggio non paesaggio la Torre di Pisa è sorretta nella sua pendenza da una morbida piuma.
Maresa Sottile
Maresa Sottile
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