Visualizzazioni totali

venerdì 17 febbraio 2017

Edgar Degas, centenario della morte


                                        
Quest'anno cade il centenario della morte di Edgar Degas (1834/1917), uno dei grandi artisti tra '800 e '900 e tra i massimi esponenti dell'Impressionismo, il movimento artistico che rinnovò la pittura aprendo la strada ad una nuova concezione dell'arte pittorica L'Impressionismo fu un movimento quasi spontaneo in cui gli artisti portarono la pittura ad una nuova forma espressiva partendo dalla scoperta scientifica per la quale i colori si formano per associazione tra loro e che l'occhio umano li percepisce grazie alla luce, quindi la luce è l'elemento chiave: nasce così la pittura all'aria aperta, “en plein air” eseguita con pennellate veloci per non perdere la luce che cambiando cambierebbe anche i colori, senza la struttura del disegno di base. I paesaggi diventano i soggetti più amati e rappresentati.
Come tutti gli artisti nei primi anni Degas fa esperienza influenzato da ciò che altri hanno fatto, per poi trovare la propria strada.
Anche se diviene un importante rappresentante degli Impressionisti, i suoi soggetti sono spesso al chiuso: ritratti, scene di genere, cioè di vita quotidiana, il teatro e le ballerine, le corse dei cavalli. Inoltre in lui il disegno di base non scompare, anzi diviene elemento compositivo.
Degas amò soprattutto la pittura negli interni con scene domestiche, ritratti, le ballerine e il mondo del palcoscenico, che ebbero su di lui un fascino incredibile insieme a quello delle corse dei cavalli.  
Del gruppo degli impressionisti, ai suoi tempi, fu il più apprezzato da critica e pubblico, forse anche le sue origini di alta borghesia benestante lo aiutarono in ciò, comunque non mancarono critiche e perplessità sul suo lavoro da parte di pubblico e addetti. La cosa che lasciava perplessi erano i suoi soggetti: gente comune, per lo più lavoratori e lavoratrici, ambienti 'proletari'. Anche i suoi nudi, realizzati a pastello con grande perizia nel creare effetti di colore e di luce, sono piuttosto dissacranti: donne che si lavano, che si spogliano, lontane dal concetto di nudo del passato. Estemporaneità, contemporaneità e nessun tipo di idealizzazione e del bello, ma la semplice realtà del quotidiano. E le ballerine viste nelle pose anche più complesse, a volte quasi spiate dall'artista dietro il sipario o mentre si esercitano. Le ballerine gli ispirano anche una serie di sculture, opere che potremmo quasi definire, sia pure cum grano salis, il primo esempio delle attuali istallazioni. Questo perché sono di cera dipinta e Manet le veste con tulle, classico tessuto dei tutù, calze, scarpine e applica loro capelli veri. Alla sua morte verranno fuse in bronzo.
Degas ebbe, con Napoli e con l'Italia, un rapporto particolare. Il nonno paterno, un aristocratico fuggito dalla Francia durante la Rivoluzione Francese, sbarcò a Napoli, e diventato cittadino napoletano, quale un odierno rifugiato politico, 'borghesizzò' il proprio cognome e si diede ad attività bancarie che gli resero molto bene. Si stabilì vicino a piazza del Gesù nel palazzo Pignatelli di Monteleone, poi chiamato Palazzo Degas dai suoi nuovi abitanti, sposò un'italiana ed ebbe sette figli, quattro maschi e tre femmine. I maschi rientrarono in Francia, mentre le figlie sposarono degli aristocratici italiani. Il padre di Manet, Auguste ebbe a sua volta cinque figli di cui Edgar era il primogenito ed una sua sorella nacque proprio a Napoli. Edgar frequentò la città tanto da studiarvi e conoscere personaggi come Domenico Morelli; dalla città partì per il suo gran tour per l'Italia ed a Firenze eseguì una delle sue opere più famose: 'La famiglia Bellelli', cioè sua zia Laura col marito e le loro due figlie, che lì vivevano. Il rapporto di Degas con Napoli continuò nel tempo per poter badare ai propri interessi anche dopo la morte del nonno, dato che vi erano contrasti con la famiglia su questioni economiche. Le sue visite in città continuarono negli anni fin quasi alla sua morte perché, divenuto quasi cieco e non potendo più lavorare, le sue condizioni economiche non erano molto floride, e non poteva rinunciare agli interessi che aveva in città.
Il popolo ha sempre chiamato Palazzo Degas: 'il Palazzo del gas' e così è conosciuto ancora oggi da molti.
                                  Maresa Sottile

mercoledì 8 febbraio 2017

Lavinia Teerlinc alla corte di Londra


Lavinia Teerlinc, nata Bruges (Belgio) 1510/20-1576. Figlia di Simon Bening o Benninc, veniva da una famiglia di famosi miniaturisti. Prima figlia di cinque femmine, il padre vide forse in lei il maschio che non aveva e la iniziò all'arte della miniatura. Così Lavinia lavorò col padre. Nel 1545, con il marito inglese George Teerlinc, si trasferì in Inghilterra a Blankenberge dove fu anche allieva di un famoso orafo e miniaturista: Nicholas Hilliard e certamente dovette farsi un nome se fu invitata da Enrico VIII quale pittrice di corte a sostituire Hans Holbein il Giovane venuto a mancare. Si trasferì, quindi a Londra con il marito, e andò a lavorare alla corte di Edoardo VI quale pittrice di corte, dove venne pagata con uno 'stipendio' superiore a quello percepito a suo tempo da Holbein il Giovane, anch'egli pittore di corte. Lavorò quindi sotto Edoardo VI, Maria I ed Elisabetta I, i tre figli di Enrico VI, succedutisi sul trono inglese. Delle due regine fu anche dama di corte, come era usanza per le pittrici assunte dalle corti. Quale ritrattista e miniaturista, ritrasse gran parte delle gentildonne e gentiluomini del tempo. La Teerlinc rimase in Inghilterra sino alla morte, e tutta la vita ricevè il pagamento reale e ricchi doni.
 Bisogna dire che in Inghilterra era il ritratto l'argomento pittorico di maggior interesse e che al tempo né la pittura religiosa né quella mitologica interessava molto la committenza della Gran Bretagna.
Naturalmente restano miniature e ritratti delle due regine da lei eseguiti. Fu inoltre suo, pare, il disegno del primo sigillo che Elisabetta usò, che però era stato disegnato e fatto per la regina Maria. Molte delle sue opere non sono conosciute o a lei attribuite perché non le firmava e soprattutto perché frutto di committenza privata e non erano quindi di pubblico dominio. Anche se la sua fu una carriera quasi 'maschile' perché retribuita a lei personalmente, cosa che non sempre avveniva, è ancora non del tutto nota. Le molte opere giunte a noi, soprattutto ritratti, non sempre sono certe nell'attribuzione perché ancora il suo lavoro è poco studiato.
                                                   Maresa Sottile

mercoledì 1 febbraio 2017

Il Museo Correale di Sorrento Un incanto tra verde e mare

Bisogna dare onore al merito, l'aristocrazia e la Chiesa, quelle che nel passato in effetti hanno detenuto il potere, nel bene e nel male, e hanno preso a larghe mani, (e la parte di loro che è sopravvissuta, forma ancora oggi una elite privilegiata), hanno anche lasciato molto. Ad esse dobbiamo gran parte del nostro patrimonio artistico. In effetti chi deteneva il potere era anche mecenate e collezionista e ha lasciato al paese: castelli, palazzi, ville, musei colmi di opere artistiche. Cosa che i miliardari di oggi non fanno. E i musei sono nati così. Re Tolomeo I creò quello d'Alessandria d'Egitto che fu il primo museo, anche se non era inteso proprio come lo intendiamo noi. Dai Musei Vaticani agli Uffizi al Museo di Villa Borghese a quello di Capodimonte e tutti gli altri nascono da un nucleo di opere di qualche nobile ricco e potente mecenate-collezionista, al quale nel tempo si sono aggiunte donazioni e acquisizioni. E così è stato, naturalmente, anche per il Museo Correale di Sorrento, Museo giustamente piuttosto famoso sia per ciò che contiene sia per la sua posizione: è immerso in un aranceto e ha un panorama splendido. La famiglia Correale ha una storia antica intrecciata con quella di Sorrento e del suo territorio. Nel 1535 Onofrio Correale sposa Ippolita de Rossi, sorella della madre di Torquato Tasso. Nel '700 Pompeo Correale acquista dei vasti terreni ad aranceto e si fa costruire dall'architetto reale G.B. Nauclerio una villa-palazzo. I suoi discendenti Alfredo e Pompeo all'inizio del '900, essendo senza eredi diretti, creano una Fondazione, che poi approvata dalla Giunta della città trasformerà la loro proprietà e le collezioni che contiene in Museo, che si arricchirà nel tempo con donazioni da altre famiglie nobili. Il Museo fu inaugurato nel '24 dall'allora Ministro della P.I. Giovanni Gentile. Durante la II° Guerra Mondiale fu requisita dagli alleati e fu riaperta dopo lavori per i danni subiti nel '53. Tra restauri e riorganizzazioni varie il Museo, che è privato, è diventato una perla della città. Interessante e anche affascinante il giro per i tre piani del Museo, bella la salita per lo scalone che ad ogni ballatoio incornicia con un grande arco un luminoso panorama di verde, di mare, del Golfo di Napoli, incantevole e rilassante la passeggiata nel giardino che termina con uno spettacolare ed ampissimo Belvedere a strapiombo sul mare che domina tutto il Golfo, compresa la stessa Costiera Sorrentina. Nella nostra regione non è l'unico Museo il cui edificio è già di per sé un luogo incantato circondato dal verde e con un panorama spettacolare. Basti ricordare, giusto per restare in zona, i Musei di Napoli, da Capodimonte, a Sant'Elmo, alla Floridiana. Era tanto che volevo fare questa visita, ma quando le cose sono troppo vicine finiamo col non andarci. Finalmente ce l'ho fatta e ho trascorso una gratificante mattina tra bellissimi mobili antichi e oggetti di pregiati legni lavorati a intarsio da grandi ebanisti sorrentini del passato, oggetti antichi lavorati con un gusto e una perizia che non esistono più, reperti archeologici di varie epoche, anche la base egizia di un monumento al faraone Sete I del 1300-1200 a.C., antiche macchine fotografiche, orologi, libri in antiche e rare edizioni tra i quali quelli del Tasso ovviamente, ceramiche di più parti d'Italia, porcellane di Capodimonte, Meissen, Sèvres..., tele del '600, '700 e '800 di autori famosi, da Artemisia Gentileschi a Bernardo Cavallino, da Lanfranco a Micco Spadaro, da Pitloo a G. Gigante. Scene sacre, ritratti, paesaggi, nature morte. C'è 'L'uva cornicella' di G.B. Puoppolo che a guardala si sente il suo sapore dolce e di sole in bocca, una Madonna che allatta così vera e materna come non se ne trovano molte. C'è un Albero Genealogico della Famiglia Correale su un albero dal tronco obliquo in un paesaggio un po' misterioso. E un'affascinante tavola dipinta da F. Celebrano con il gioco del Biribisso. Una Sala degli Specchi con delicati ialini lampadari di Murano. In un luminoso salone ricavato nel sottotetto vetrine piene di preziose porcellane e ceramiche di ogni provenienza e di ogni forma. Ogni pezzo un gioiello e ci vuole davvero molto tempo per goderseli tutti. E poi ci sono lo scalone, il giardino e il panorama a completare il piacere di questa visita, che immerge in un mondo silenzioso e incantato che unisce l'armonia dell'opera di artisti sensibili e quella di una natura luminosa e fertile.
                                                     Maresa Sottile