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sabato 8 settembre 2018

Duecentocinquana anni fa moriva il grande paesaggista Canaletto


Giovanni Antonio Canal, nasce a Venezia nel 1697. E' figlio d'arte, il padre, infatti, dipinge scenari teatrali e, così, lui ed il fratello seguono il mestiere paterno, collaborando con lui. Giovanni Antonio ha ventun' anni quando, con loro, si reca a Roma per realizzare le scene di un'opera di A. Scarlatti. Qui viene in contatto con famosi paesaggisti, tra i quali Gaspar Van Wittel, padre di Luigi Vanvitelli, che è uno dei primi vedutisti. Il paesaggio fino ad allora era stato usato soprattutto come fondale, scenario, per le figure, anche se già proprio i pittori veneti, da G. Bellini a Giorgione, gli avevano dato grande rilevanza nelle proprie opere.
Come nel Seicento Caravaggio aveva dato inizio alla grande tradizione delle 'nature morte' (anche se qualche altro artista ne aveva già dipinto), nel Settecento il paesaggio assurge a protagonista della pittura. E, certamente, G. A. Canal diverrà il più grande vedutista del tempo e non solo.
Rientrato nella sua città l'interesse per il nuovo genere pittorico lo spinge a contattare e frequentare i pittori paesaggisti ed a dedicarsi al vedutismo. Ha successo tanto che anche importanti collezionisti italiani e stranieri richiedono sue opere. Esegue anche opere celebrative della città come il famoso: Il Bucintoro al Molo il giorno dell'Ascensione, che rappresenta lo sposalizio della città col mare.
Diventato quindi molto noto in città, e non solo, la sua fama non può sfuggire ai turisti, in questo caso inglesi. Venezia è meta turistica dei ricchi europei impegnati nel famoso Gran Tour, e così le opere di Giovanni Antonio, diventato il Canaletto, per distinguerlo dal padre, colpiscono un ricco inglese, Joseph Smith, che è anche il console britannico in città. Smith diviene suo collezionista e lo fa conoscere ai suoi danarosi amici amanti dell' arte. Così Canaletto si fa un nome in Inghilterra e quando la guerra del 1740/48, sconvolge mezza Europa, e le commissioni non gli piovono più come prima, se ne va a Londra. Ma non sarà facilissimo il suo percorso. Dovrà conquistare un pubblico un po' riluttante, intessere rapporti con personaggi importanti, ma riuscirà a conquistare l' aristocratica e ricca clientela anglosassone, appoggiato da Smith, divenuto suo agente.
Rientrato a Venezia definitivamente dopo una decina d'anni, nella sua città riceverà committenze importanti. Negli ultimi anni dipinge anche 'capricci', un genere pittorico nel quale l'artista gioca tra realtà e fantasia. Ormai riconosciuto e stimato Canaletto lavorerà fino alla morte nel 1768.
Denigrato dagli storici dell'arte quasi duecento anni, solo dal 1946 in poi viene riconosciuta la sua grandezza, primo tra tutti, dallo storico e critico dell'Arte Roberto Longhi. Il suo lavoro per quasi due secoli è stato denigrato ed incompreso. Gli fu persino imputato di aver usato la 'camera oscura', pratica adottata da tantissimi artisti e non solo per i paesaggi. La camera oscura, matrice della macchina fotografica, conosciuta ed usata sin dall'antica Grecia, rendeva più veloce il lavoro di un vedutista, soprattutto quando raccontava paesaggi ricchi di architetture, e non perché non fosse in grado di eseguirli. Il punto è che i paesaggi di Canaletto, sono ricchi di un'atmosfera che incanta, quasi in un mistero di bellezza e leggera melanconia, soprattutto nelle opere della maturità. Vedere dal vivo un suo paesaggio tocca l'anima, trasporta in un 'oltre' indefinibile con le parole. Ed è questo che deve fare l'Arte. Non importa come lo fa, quali tecniche, forme, colori, materiali, vengano usati. L'arte deve andare oltre, farci provare qualcosa, darci qualcosa. Nell'arte dobbiamo sentirci toccati nell'anima, provare cose che altrimenti non proveremmo.
Le opere di Canaletto sono nei grandi musei e certamente in Gran Bretagna vi è una delle maggiori collezioni, raccolta da Smith e venduta al re Giorgio III.
Maresa Sottile
   Questo articolo è stato pubblicato sul mensile ALBATROS di settembre 2018

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