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venerdì 21 ottobre 2011

San Giuseppe delle Scalze
Triste storia di una splendida chiesa
(e non solo............)
Pubblicato sul mensile Albatros del febbraio 2011
Nel cuore della vecchia Napoli, a Salita Pontecorvo, quando questa zona era tutta giardini, fu costruito Palazzo Spinelli sul quale Cosimo Fanzaco nel 1619 edificò la bellissima chiesa di San Giuseppe delle Scalze, con annesso convento, per le suore Teresiniane delle Carmelitane Scalze, passato poi nel possesso dei Padri Barnabiti quale Casa Madre dell'Ordine.
La chiesa è l'unica di cui Fanzago, oltre al progetto, si sia occupato della costruzione, facendola eseguire dalla propria bottega e seguendone l'andamento. Indubbiamente l'edificio è davvero bello ed originale con la doppia facciata per adattare il nuovo edificio al vecchio. La prima facciata ripartita in tre piani con al secondo tre grandi arcate aperte con statue del Santo, di Santa Teresa e di San Pietro di Alcantara. Al di sopra vi corrispondono tre grandi finestre di cui la centrale mistilinea propria dello stile del tempo, un timpano rettilineo ne anticipa un secondo curvilineo prettamente barocco. L'ingresso immette in un atrio con volte e botte e a crociera che con una scala a forbice, cioè con due rampe, porta al vero ingresso della chiesa che è quindi al primo piano, in corrispondenza con quello che era il salone da ballo del palazzo. Ma entrare nella vasta chiesa a croce greca è davvero sconfortante. Se la facciata e l'ingresso con le scale sono in pessimo stato e con ripari per eventuali cadute di calcinacci e quant'altro, l'interno non esiste quasi visto che oltre la struttura in forte stato di degrado non c'è altro. Nel 1980 il terremoto fece crollare il tetto dell'edificio che fu di corsa abbandonato dai Barnabiti che non vi fecero mai più ritorno. Le tele che la ornavano ora sono nei musei cittadini e la proprietà è condivisa tra Comune (infatti l'antico convento è diventato sede di scuole) e Curia. Affidata all'inizio ad un padre oblato di S. Maria Addolorata molto anziano che ogni tanto vi organizzava delle manifestazioni, alla sua morte restò del tutto abbandonata. Fortunatamente da varia anni sia l'Associazione Archintorno sia il Forum Tarsia cercano di creare movimento ed interesse intorno a questa chiesa con visite guidate, conferenze e manifestazioni di vario genere. Inoltre non è ancora certo se l'edificio rientri nel DOS, Documento Orientamento Strategico, dell'UNESCO che dovrebbe stanziare 240 milioni di euro per i monumenti di Napoli.
Purtroppo sorge il dubbio che l'UNESCO questi milioni non li darà mai vista la situazione della città di cui questa strada appare come un simbolo. Oltre la chiesa di cui fin qui sullo stesso lato c'è l'edificio dell'ex carcere Filangieri ormai chiuso e non adibito ad altre funzioni, che comprende nel suo edificio la facciata di una bella chiesa barocca usata come abitazioni in tutte le sue parti. Poco più su un'altra facciata barocca di un'ipotetica chiesa o forse di un palazzo anche questa costruzione adibita ad abitazioni. Lascio al lettore qualsiasi considerazione in merito a quanto riferito, aggiungendo solo che in città ci sono altri casi come o simili a questi. Maresa Sottile



mercoledì 12 ottobre 2011

Maria Algranati e Francesco Gaeta

Maresa Sottile
Rettifica e commenta un libro
Pieno di inesattezze molto sgradevoli

Tempo fa lessi in rete un articolo sul Corriere Adriatico nel quale qualcosa mi infastidì molto. Il Corriere Adriatico (15-4-2011) riprendeva delle notizie da un libro, inesatte e quasi offensive nei confronti di mia nonna, Maria Algranati. Scrissi una lettera di protesta e molto gentilmente il Direttore pubblicò la lettera e nella risposta, nella quale si scusava, diceva di aver preso quelle notizie dal libro Il conte di Montecristo di Miccinelli-Animato Ed. Mediterranee (1991?). Feci qualche ricerca sugli autori su internet, ma poi in quel periodo per gravi problemi personali accantonai la cosa.
Ora ho trovato le pagine del libro che parlano di Maria Algranati e ho potuto leggerle. Purtroppo è passato molto tempo dalla loro pubblicazione e non posso fare più nulla tranne che correggere e protestare e lo faccio. Davvero mi chiedo perché chi fa un certo tipo di lavoro non si documenti bene e mi chiedo perché questi autori si siano rivolti solo alla nipote di Francesco Gaeta e non anche alla nipote di Maria Algranati, cioè a me. Hanno trovato lei potevano trovare anche me. Tanto per cominciare avrebbero evitato di dire che Gaeta incontrò mia nonna a casa Galante. (pag 30) Francesco Galante e la moglie erano i migliori amici di mia nonna, ma fu in casa di Benedetto Croce che Maria Algranati e Francesco Gaeta si conobbero. Mia nonna era amica della famiglia del filosofo Croce e la stessa donna Adele quando Gaeta cominciò a corteggiarla non ne fu contenta per mia nonna, naturalmente, e neanche Alda Croce  amava molto il poeta, me lo disse durante una delle molte, tante visite che le ho fatto, inoltre si chiedeva cosa avesse trovato in lui, lei così affascinante e straordinaria, parole sue.
Maria Algranati non ha mai insegnato 'lavori domestici' presso l'istituto Ruggero Bonghi, (nota 9 di pag 30 del Conte di Montecristo) ma invece risulta dagli atti che fu direttrice artistica presso l'Istituto Mondragone, oggi Fondazione e Museo, all'epoca presieduto da Adele Croce, e vi lavorò per 12 anni e scrisse anche un libro: Storia dell'arte del ricamo edito da Le Monnier nel 1931. Inesattezze che denotano poca attenzione quando si fa un lavoro basato su ricerche di fatti veri, non di raccontini.
A pag. 23 del suddetto libro gli autori raccontano della secretazione che mia nonna fece sulla corrispondenza con il Gaeta, che le sorelle del poeta avevano venduto a sua insaputa alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Già vendere quelle lettere, quando oltretutto uno dei due protagonisti era ancora vivo, lo trovo, come dire, un po' indelicato. (Il nonno di mio marito, nipote di Francesco Mastriani, ha donate le carte Mastriani alla Biblioteca di Napoli. Ma in esse non vi è nulla che possa disturbare qualcuno. Ma ognuno la vede a modo proprio ed agisce di conseguenza.) Comunque tornando alla pag. 23 gli autori scrivono: ”Domanda logica: se l'Algranati non intendeva pubblicizzare il suo sentimento, perché non bruciò la corrispondenza?” Grande logica! Ma se le lettere Gaeta non le aveva restituite e le sorelle sappiamo che le vendettero, Maria Algranati che doveva fare? Sì, perchè Francesco Gaeta non le rese quelle lettere d'amore a Maria. E anche questo non mi appare un bel gesto, ma si tratta di opinioni personali. Il testo continua: ”Considerando per di più che nel 1978 contava 90 anni? Qualcuno parla di pudore, altri di arterio sclerosi.” (Aterosclerosi sarebbe il termine più esatto). Veramente nel '78, anno in cui morì, ne aveva quasi 93, e questo denota che stanno parlando di qualcuno su cui non hanno realmente fatto ricerche. In realtà pur avendo quell'età Maria Algranati, come capita spesso a coloro i quali tutta la vita hanno esercitato il cervello studiando, scrivendo, pensando, era molto in gamba e viveva sola perfettamente in grado di gestirsi, assolutamente senza tracce di 'arterio sclerosi'. Il testo continua: “Di certo l'ebrea - donna colta e intelligente, dicono – all'occasione mostrò calcolo, una scarsa capacità analitica. Non ipotizzò che molte altre lettere si trovassero presso qualche discendente del compagno.” Questa frase è davvero pessima incominciando da 'l'ebrea' parola scritta in un contesto nel quale ha una chiara connotazione offensiva, insultante. Che Maria Algranati fosse ebrea è un fatto reale, ma detto così ha un chiaro significato dispregiativo e irrimediabilmente razzista. Tra l'altro Maria, anche spinta dal Croce si convertì, ma la razza è razza, ovviamente. Come anche quel 'dicono'. E vorrei capire quale 'calcolo' dimostrò ed a proposito di che. Non è molto chiaro o forse anche io sono aterosclerotica. “Infatti la professoressa Pina Savarese ne possiede un centinaio. Ed alcune di esse risultano di somma utilità al nostro studio...”
Ritornando alla pagina 30: “Le lettere di Maria pulsano di passione, di richieste di… doni non disgiunte da una certa ingerenza negli studi del Gaeta.” Chiariamo subito che Gaeta, pur provenendo da una famiglia borghese aveva 'tagliato' i ponti con parte di essa, e non possedeva una lira, non aveva neanche di che mangiare a volte se non provvedeva la madre. Non credo proprio poi che Maria Algranati chiedesse doni, 1) perché sapeva che lui non aveva denaro, 2) perché non era nel suo carattere. Mi chiedo perché gli autori siano così malevoli quando parlano di lei. La denigrano tanto per denigrarla e non se ne capisce il motivo, anche perché è dimostrato che di lei sanno poco. Per quel che riguarda ”una certa ingerenza negli studi di Gaeta.” che significa? L'ingerenza è l'intromissione abusiva di qualcuno in qualcosa o con qualcuno, presumibilmente per cambiare le cose a proprio vantaggio. Allora? Oltretutto la Algranati e Gaeta parlavano di tutto, leggevano insieme Baudelaire, avevano interessi comuni e che lei possa essere andata a curiosare nelle sue carte di studio è una cosa davvero naturale, non parliamo di una donnetta, ma di una poetessa colta e raffinata. Non vedo né l'indiscrezione né l'interesse, ma di che genere di interesse stiamo parlando? Erano così diversi come persone e come artisti che davvero non vedo altro. Che poi lei nel seguito della lettera gli dica di aver sbirciato le carte dell' 'Hortolus' e gliene chieda scusa, spiegandogli che lo ha fatto per un proprio appagamento culturale, mi pare una cosa molto carina, educata e dimostrazione di sincerità.
Maria Algranati era affascinata molto dalla testa di Gaeta, dalla sua cultura, lo ammirava per questo e quando erano insieme parlavano molto di poesia, religione e cose del genere. D'altra parte la modesta prestanza fisica ed il difficile carattere di Gaeta potevano essere superati solo per il fascino della sua mente. Altra chicca è la raccomandazione che Maria chiede a Francesco per “ ...il Provveditore Massimo...” La cosa detta così non è molto chiara, anche perché Maria Algranati ebbe da ben altri personaggi raccomandazioni, il primo fra tutti fu Croce, e Gentile, Ojetti... in realtà erano presentazioni non raccomandazioni. Gaeta non aveva alcun potere oltre quello culturale e fu Maria Algranati, su sua richiesta, ad andare dal Croce perché gli trovasse un posto fisso che lo mettesse al riparo dal bisogno quotidiano e lo facesse continuare a lavorare ai suoi studi e scritti. Pur stimandolo Groce disse di no: non ne aveva i titoli. Non era infatti laureato, Maria invece si, infatti ha poi insegnato alle superiori francese. Poi cercò di lavorare per il futuro suocero, cioè il mio bisnonno, dato che voleva sposare Maria ed andò a presentarsi in casa. Ma non era adatto al lavoro che gli veniva offerto...
A pag 31 infine sempre del suddetto testo “La seconda missiva dell'Algranati contiene il “Testamento del suicida”: è del '21. Quale macabro gusto, se realmente Gaeta avesse maturato fin da allora propositi suicidi! Si potrebbe giustificare (per cosa?) la donna, ove si consideri l'estinzione dell'amore da parte di Francesco dimostrato con simili invettive : 'Se non la smetti con la tua insolenza e petulanza avverrà quanto segue: 1) L'avventura dell'oscena Gina (sorella di Maria (n.d.a.) sarà data in pasto ai nemici politici del disonorevole. 2) Sarai resa celebre in un interessante lavoro intitolato “Una famiglia ebrea”. 3) La maledizione di Dio cadrà (omissis).
A questo punto mi cadono le braccia. 1) è definitivamente chiaro che gli autori vogliono proprio infangare la figura della defunta poetessa Maria Algranati. E questo perché riportano stralci di lettere senza alcuna ragione né importanza per il loro testo continuando a fare commenti ed insinuazioni sgradevoli contro di lei. Visto che hanno potuto visionare ben 100 lettere nelle mani della nipote di Gaeta è possibile che solo queste frasi insultanti li abbiano interessati, ed a che pro per il loro testo? 2)Secondo me non rendono un buon servizio neanche a Francesco Gaeta, perché un uomo che scrive simili cose alla donna che ha amato e che lo ha lasciato, perché fu Maria a lasciarlo per le sue continue scenate di gelosia, per la sua possessività, e perché maledisse la sorella di Maria, morta di parto ad Ischia, essendo la sua amata andata col padre da lei. In Gaeta deflagra la disperazione-odio per questo presunto abbandono e bisognerebbe leggere la lettera che ha avuto da Maria per capirci qualcosa di più e non estrapolarne qualche frase ad effetto. 3) Il disonore “dell'oscena Gina”, famosa studiosa, donna coltissima, storica, amica di tutta l'intelligentia italiana del tempo, e non una squallida donnetta peccatrice, come vorrebbero farci credere gli autori, sono fatti che non interessano né agli autori né ai loro lettori, sono privati e niente affatto osceni checche ne scriva Gaeta. Comunque riferirò anche ai suoi eredi di tutta la faccenda. Sul Gaeta a questo punto non esprimo giudizi per rispetto ai suoi discendenti ed anche perché chi legge realizza da sé.
Inoltre, a parte il fatto che il libro minacciato non l'ha scritto perché non poteva, era stato accolto gentilmente e affettuosamente in casa Algranati anche se il mio saggio bisnonno aveva subito capito che non era certo un buon partito per la figlia, visto il fatto che alla sua età non aveva un lavoro e non sapeva far nulla. Quanto alla maledizione finale davvero gli autori hanno fatto un cattivo servizio a Gaeta riportandola. Non credo che sia una cosa che ne illumini la memoria. Quindi forse gli autori ce l'hanno anche con lui o volevano soltanto qualcosa di piccante che attirasse il pubblico e se la sono presa con tutti, chi coglie coglie.
Gli autori potrebbero leggere “Tavola Calda” per chiarirsi un po' le idee su Maria Algranati e anche su Gaeta, ed acculturarsi un po' meglio su questa storia. E forse anche in generale!
 

venerdì 7 ottobre 2011

Da: TAVOLA CALDA Autobiografia di Maria Algranati Ed ALBATROS Na 2009 pag.355-356

Colloquio con mia madre


Ero certa” dico e non aggiungo ‘che saresti venuta’, non ce n’è bisogno. E non dico nemmeno ‘mamma’, non siamo più madre e figlia se mai lo fummo, io specialmente per lei, io, l’anatroccolo della sua meraviglia. Ero certa, la sentivo, la sognavo la notte nella nostra vita di un tempo, la migliore, quella della sua gioventù, quando ancora la sua sorte di madre di un solo non l’aveva trasformata in nemica e la sua predilezione non ci aveva abolite. E’ qui, certamente, anche se non la vedono gli occhi della fronte, altri occhi percepiscono quel suo sorriso amaro, tra di rassegnazione alla disfatta e di constatazione dell’ingiustizia della vita. Il nostro colloquio è più d’intesa che di parole, perché io parlo con un’ombra ed ho l’esatta percezione di ciò che sia uno spirito.
Anche se è stato necessario per me dire tutto quello che c’era da dire, credi pure che non solo tutto il torbido si è depositato, ma che non mancano né le attenuanti per te, né i rimorsi per me, siamo di fronte, limpide, io penso, come acque chiare. Io misuro quanto sei stata infelice con la tua anima tragica. Ma questa tragedia è insita in noi, nel nostro sangue, in tutta la storia che è il destino della nostra gente e io discendo da te oltre che dai tuoi insegnamenti, i tuoi componenti li riconosco in me stessa, anche se qualcosa che mi ha veramente formata viene direttamente da altro di immanente e che era fondamentalmente mio.’
Ho l’impressione che si illumini.
Anche io non sono stata fortunata e nessuno lo sa meglio di te. Ma non affliggerti, la sfortuna non è l’infelicità e posso dire che sono stata veramente felice, la mia felicità non è dipesa dagli altri, era in me e nessuno me l’ha potuta strappare. Ricordi come dicevi? Dicevi: ‘se torno a nascere’. Forse veramente torniamo a nascere e penso che sarebbe fatale per me essere ancora sempre quella che sono stata. Tuttavia un certo ardore mi ha purificata e resa più flessibile come il ferro nel fuoco. Troppo tardi, lo so. Anche in questo sei entrata tu, inconsapevolmente, con la tua cultura, l’impegno per la nostra educazione, le letture che ci hai permesso (ricordi Ben Hur, Renan), con la grande scuola che hai scelto per noi. E i nostri discorsi liberi dopo le letture? Credevi di persuaderci e invece hai aperto lo spiraglio alla curiosità che ha permesso il mio vagabondaggio. Sai, uscire dal recinto è un’escursione meravigliosa, come se di notte nel silenzio si fosse spinto un cancello…purtroppo ha cigolato! Ma fuori, il mondo, mamma, quanto è grande! E si viaggia e si ritorna con il bottino. Ma si ritorna. E di nuovo, purtroppo, quel benedetto cancello, aperto quel tanto per lasciarti passare.’
Lei sorride, come sorrideva delle mie trovate, ma so che è contenta.
Puoi dirmi’ le dico in un soffio ‘se ci rivedremo?’
Forse è la luce dell’alba che la cancella e non so se ha risposto.



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Maria Algranati

Maria Algranati

Ritornerò

Alba dei galli, bianca, silenziosa,
diuturna novità
che disciogli pian piano
le tenebre del giorno,
alba, tu sei il ritorno,
la certezza assoluta del ritorno.
Tutto ritorna e tu non tornerai”
dice la voce inquieta che non si cheta mai.
Ritornerò, so che ritornerò!
Ritornerò con l'empito
della terra, che vuole
un fiore.
Ritornerò col mio fratello vento,
l'eterno viaggiatore,
come me innamorato dello spazio,
con le povere cose, che ringrazio
di non aver pensiero,
con le vite di un'ora
nate da un raggio tepido,
con tutto ciò che ignora,
passa,
vive senza parole
nella beatitudine del sole.
Ritornerò tutte le volte, quando
un'anima, sognando,
raccoglierà il sospiro
che lascio sulla terra nel mio canto.

Da: I Giorni
Poesie
Edizioni Scientifiche Italiane
1968



Ho seminato, questo mi rimane
se non raccoglierò, raccoglieranno
gli altri al felice termine dell'anno
che muta il gesto benedetto in pane.
Ho seminato e non per un'annata,
nella bisaccia ebbi buona semente
e non m'importa se non ne avrò niente,
so che l'ho sparsa, so che l'ho donata.
La buona pianta, ne sono sicura,
se Dio vorrà con la pioggia e col sole,
la buona pianta verrà per chi vuole.
Nè ho provveduto alla sola pastura,
perché al frumento ho mescolato i gigli,
che li trovino i figli dei miei figli.

Da: I GIORNI
Poesie
Edizioni Scientifiche Italiane
Napoli 1968

martedì 4 ottobre 2011

Abbiamo visto, sia pure superficialmente, che metalli e pietre preziose hanno avuto grandi e svariate valenze nel corso della storia. Prima fra tutte una valenza di omaggio verso la divinità e questo in ogni religione, in ogni luogo e in ogni tempo. Si rende alla divinità omaggio con quei materiali così preziosi, e nel passato così misteriosi, che ha donato all'umanità. Ad esempio nell'antico Egitto la massima divinità era il sole (Ra) e l'oro il suo simbolo e il faraone la sua l'espressione terrena, da ciò l'oro era solo per il faraone, solo lui poteva indossarlo, solo per lui poteva essere usato. Nella religione cristiana continua la valenza ed il simbolismo dei materiali preziosi, pensiamo alle aureole di Cristi, Madonne, Santi che per secoli saranno e sono d'oro, già dall'arte bizantina, per significare la divinità dei personaggi raffigurati, si usa il fondo d'oro. Nella stessa Bibbia oro e gemme vengono molto nominati da Dio stesso che detta, ad esempio, la Sua volontà su come edificare Gerusalemme che sarà d'oro e nomina anche le gemme che dovranno essere usate, gemme che hanno in sé valori simbolici. Lo stesso vale per il pettorale di Aronne nel quale le dodici tribù di Israele vengono rappresentate da altrettante gemme. E anche la letteratura parla di oro e gemme, lo fa persino Dante e, naturalmente, sempre con valori simbolici, ma anche per rendere più suggestive le descrizioni. Nel Medioevo, i famosi secoli bui, che poi bui non sono, ma qui il discorso sarebbe un altro e non è questo lo spazio per occuparsene, oltre l'architettura di castelli e monasteri, l'arte figurativa si occupa di oreficeria. In ogni libro di storia dell'arte è l'arte orafa l'argomento trattato per le arti figurative oltre ai libri copiati, decorati e miniati da amanuensi, per lo più monaci e monache, che usano oro per decorare lettere e miniature. Bisogna anche pensare che l'oreficeria non è solo formata dai monili che indossano donne e uomini, ma comprende tantissimi oggetti: dalle brocche alle else delle spade, dalle pale d'altare ai reliquiari, dalle corone alle coppe.
Nel '400 spesso vengono rappresentate con una collana, una catena d'oro, le persone ricche e potenti: l'oro è il simbolo di ciò che sono. Le Madonne della pittura per lo più non indossano gioielli, ma spesso si, e saranno le perle ad ornare le Madonne. Perché la perla è ritenuta simbolo di perfezione per la sua forma sferica, ma anche perchè simboleggia la purezza. La perla viene dal mare e nasce, secondo le credenze del passato, ad esempio, per un baluginio celeste in modo puro quindi, o è la lacrima dell'ostrica che dopo averla prodotta muore, quindi pura. Perciò la perla era la gemma degna di ornare le Madonne, ma anche il corallo che per il suo colore rosso ricorda il colore del sangue diventando così, attraverso una serie di interpretazioni, invenzioni di autori di lapidari, personaggi assai dotti e stimati e studiati fino al '600 persino da grandi uomini di ogni campo,  simbolo del sangue di Cristo, per cui, spesso, nella pittura Gesù Bambino porta al collo un rametto di corallo o regge in mano un rosario di corallo, e altrettanto la Madonna. Attraverso una serie di elaborazioni il corallo diviene simbolo di Cristo ed anche di buon augurio, tanto che una volta si regalava ai neonati un rametto di corallo. Nonché protettiva e scaramantica quindi, da qui poi nascerà il famoso corno di corallo contro il malocchio.
Bisogna anche pensare che per secoli la cultura scientifica come la intendiamo ai nostri giorni non esisteva. Sappiamo tutti che è con Galilei che nasce il concetto di scienza verificata e sperimentata, come si intende oggi. Un tempo la 'ricerca scientifica' si basava sulla semplice osservazione e su tesi fantasiose che gli studiosi elaboravano, elaborazioni sempre condizionate dalle religioni, dalle leggende, dalle credenze popolari. Bestiari, erbolari e lapidari insieme agli importantissimi studi astrologici (empiricamente astronomici) ai quali i lapidari in particolare sono molto collegati, erano basi culturali assai importanti che si influenzavano tra loro e tutto influenzavano. Qui parliamo di oro, gemme e oreficeria che hanno valori simbolici nell'arte figurativa, ma si può più o meno affrontare la rappresentazione della flora o degli animali che hanno anche loro una simbologia. Certamente l'argomento dell'oreficeria è più ricco di valenze, ma già se pensiamo alle pecore vicino al Cristo delle rappresentazioni paleocristiane e bizantine, o alla colomba, o all'uva, simboli cristiani per eccellenza, o all'ulivo, ci rendiamo conto che quello che vedono i nostri occhi spesso non basta, bisogna anche decodificare ciò che si guarda, il messaggio che si cela magari in un ciondolo al collo di una dama, un bracciale sul braccio, e così via. Ad esempio un ciondolo al collo di una dama solitamente indica un pegno d'amore soprattutto se vi è un rubino. Quindi la dama raffigurata non è solo ricca perché possiede un bel gioiello anche costoso, ma è una donna sposata o almeno promessa.
Come l'oro e le varie gemme hanno dei significati simbolici, anche le forme dell'oreficeria assumono significati simbolici e anche scaramantici. Le forme dei monili nascono già dalla preistoria con significati complessi: religiosi, di status, scaramantici, protettivi, oltre a quello di ornamento che è il simbolo anche della umana vanità. L'anello ad esempio, nella sua forma circolare rappresenta la compiutezza, l'unione, diventerà quindi il simbolo d'amore e d'unione per eccellenza. Se poi lo adorniamo con un diamante, la pietra più bella e preziosa, che tra le sue tante valenze comprende quello della perfezione, ma anche dell'indistruttibilità, possiamo capire perché viene usato come pegno e simbolo d'amore ancora oggi. La parola anello viene da anus e qui credo che tutti ne sappiate il significato, non per niente si dice di chi è fortunato che ha ......
Maresa Sottile