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lunedì 19 agosto 2013

GIANNI PISANI Maestro del colore

Gianni Pisani è uno di quegli artisti che nel panorama dell'arte ha un posto a sé. La sua opera è un discorso personalissimo, di grande impatto visivo ed emotivo. Durante una fortunata carriera artistica iniziata da giovanissimo, ricca di soddisfazioni, nella quale ha avuto molti riconoscimenti: ha insegnato a Brera, ha diretto l'Accademia di Belle Arti di Napoli per 14 anni, organizzando mostre in città di grandi artisti da O. Dix a Man Ray a Duchamp, a Capogrossi, Pistoletto...., partecipato a mostre in tutto il mondo, sala alla Biennale di Venezia, vinto premi e i più importanti critici e storici dell'arte (G. Dorfles, C. Argan, R. Causa, L. Vergine, E. Sanguineti, A. Bonito Oliva, E. Evtusenko, N. Spinosa, F. Bologna e tanti tanti altri non meno importanti), hanno studiato e apprezzato il suo lavoro, Pisani ha portato avanti la sua vocazione, senza mai fermarsi, perché lui vive per dipingere, e credo che non abbia mai avuto una crisi creativa. Pisani ha perseguito la vocazione artistica come qualcuno che alla base non può farne a meno e non può fare altro. Infatti parla della sua attitudine (o talento) come di un “difetto”, rifacendosi ad un problema avuto da ragazzo che mise in evidenza un difetto congenito al cuore, che però non gli avrebbe creato alcun problema, come diagnosticò il famoso cardiologo Dogliotti. Questo suo “difetto” fu l'ispiratore del suo “Letto disfatto”, oggi esposto al Museo di Capodimonte, dando inizio al periodo 'oggettuale' in cui usò metallo e plastica. Ma dopo periodi fra pop arte e oggettualità, nei quali fece anche molto parlare di sé, è ritornato al suo grande amore: la pittura. Pisani è un narratore: di fatti, emozioni, paure, rabbie, fobie, gioie. Invece delle parole usa forme e colori, soprattutto colori. Una pittura che Gillo Dorfles ha definito espressionista e surreale. Credo che sia la definizione più centrata della pittura di Pisani. Pisani è napoletano ed il suo colore è sovente vivace, solare, ma ha anche un lato drammatico, per lo più arrabbiato, spesso furioso, e allora il suo colore diviene buio, cupo, senza speranza, da horror. Pisani parla della sua vita, delle sue esperienze, della sua infanzia, del suo primo dolore e della sua ultima disillusione, di ciò che ama e di ciò che aborre. Ha molto amato sua madre e ne ha parlato quando ha dipinto la Madonna della Sanità, in questa chiesa appunto, opera nella quale ha messo anche uno dei suoi amati gatti. Ne ha tre di gatti e spesso compaiono nelle sue opere. Ha raccontato di suo figlio, di sua moglie con una serie di tele ispirate a lei: Marianna. Ama suo padre (ha dedicato anche a lui una serie ed un libro), la sua città, il mare, gli uccelli, Capri, e sono tutti nelle sue opere. Odia chi tradisce l'amicizia, odia chi non ama l'arte, odia chi tradisce la propria vocazione per venalità, e allora si incupisce, diventa polemico, anche violento nelle sue immagini. Il suo racconto non può esaurirsi in un'opera, ha bisogno di riempire tele e tele, perché sono argomenti che non si possono concludere con un discorsetto. La sua pittura, nel racconto dei suoi sentimenti, sensazioni, accadimenti riempie tele a volte enormi, altre piccole, e urla, altre narra pacatamente, altre è delicatamente lirica. Ampie campiture di colore, immagini informalmente-realistiche o realisticamente-informali, traversate da scritte, alle volte anche lunghe che si articolano per tutta l'opera diventandone elemento pittorico oltre che narrativo. Opere che hanno un imprinting inconfondibile, un linguaggio unico, eppure non statico o ripetitivo, un 'Pisani' lo si riconosce subito, dote che hanno le opere dei veri artisti. E che Gianni Pisani lo sia è incontrovertibile. Man mano che scrivo questo pezzo mi rendo conto che non si può esaurire in poco più di una paginetta l'opera di un artista, meno che mai di un artista con un talento così ricco anche di sfumature ed curriculum così variegato e complesso come quello di Pisani. Ma su un blog non ci si può dilungare troppo, al lettore cala l'attenzione se il pezzo è troppo lungo, anche perché leggere sul pc è più faticoso che leggere la carta stampata. Magari un'altra volta ne riparlerò.
                                                                                                                              Maresa Sottile

giovedì 15 agosto 2013

TRA SOGNO E MITO (trascrizione dell'articolo del gennaio 2013 sul mensile Albatros)

Marisa Ciardiello ha scelto un mondo espressivo difficile,la scultura, per esplicare le proprie doti artistiche, segno di una reale vocazione d'arte che non si ferma davanti a nulla. La Ciardiello ha una lunga carriera alle spalle ed una seria preparazione tra Liceo Artistico e Accademia di Belle Arti alla scuola di scultura di Emilio Greco, negli 'anni d'oro' pieni di fermenti e grandi personalità, vissuti all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Pur avendo partecipato a molte mostre, esposto in molte personali e vinto molti premi, come tante donne artiste in ogni campo, non ha avuto vita facile. Eppure è andata avanti con la sua vocazione e il suo discorso artistico molto personale. La Mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, conclusasi con successo lo scorso 3 dicembre, comprende per lo più piccole sculture in rame e bronzo, trattato come creta con una tecnica che lascia l'opera non compiuta, in un 'non finito' che spesso si conclude con uno o più riccioli di grande espressività anche estetica, e con dei piani ondulati che tormentano le lisce superfici. In questi corpi sdraiati, in piedi, qualche volta in strane pose, a volte dinamici nelle forme, si legge il segno fisico, di quello che il dolore fa al nostro essere, alla nostra anima. Nelle teste, le bocche quasi sempre aperte in un silenzioso urlo, parlano del dolore, che spesso devasta l'essere umano, quello creato, nel mito, da Prometeo. Persino i corpi degli animali, che a volte sono affiancati a quelli umani, condividono questo destino di dolore e sofferenza che devasta i loro corpi. Le opere della Ciardiello sono opere di grande modernità espressiva e nel contempo fanno pensare alla statuaria del periodo ellenistico della scultura greca e addirittura a certi casi di quella preistorica, che sono certamente i più vicini all'espressività e al linguaggio dell'arte contemporanea, nella quale la nostra cultura millenaria è rifiutata, pur lasciando una sua impronta, per un linguaggio concettuale e simbolicamente astratto, spesso disperato. In mostra anche molti splendidi disegni: nudi e volti in carboncino nero e graffi di sanguigna, che confermano la sua solida preparazione e la vocazione artistica, oltre alla forte espressività, sempre tormentata e dolorosa, delle sue opere.
                                                                         Maresa Sottile
Le fotografie sono di Maresa Sottile

sabato 10 agosto 2013

SOLARIS al secolo Giancarlo Ianuario un originale ceramista

Solaris, al secolo Giancarlo Ianuario, è un personaggio singolare. Ha studiato materie artistiche ma è laureato in psicologia. Predilige la ceramica e ha studiato la tecnica giapponese del raku. Una tecnica che ha a che fare col fuoco e che crea degli effetti affascinanti sul colore, effetti che Solaris conosce, ma che hanno sempre un margine di imponderabilità, e credo sia questo che affascini lo stesso autore. La ceramica è una delle attività umane più antiche, direi primordiali. Con essa l'uomo realizzò manufatti di utilità, ma quasi sempre sentì il bisogno di rendere quei manufatti 'gradevoli' decorandoli. La storia della ceramica è lunga quanto la stessa storia dell'umanità e nel tempo ha toccato punte di alta espressività. Gli artisti, da sempre, hanno creato opere splendide con questo materiale e con le varie tecniche che man mano si sono realizzate. Ci sono musei dedicati solo alla ceramica ed in uno dei più prestigiosi Solaris è stato invitato ad esporre la sua opera: quello di Faenza, indubbiamente uno dei più importanti che esistono, così ora l'opera di Solaris è accanto a quelle di grandi artisti, a volte meno noti altre famosissimi, come Della Robbia o Picasso. Solaris appare un artista visionario e la sua visionarietà è stata nutrita dai suoi interessi antropologici, la sua visionorietà è il risultato di un mondo culturale non molto noto ai più, che per questo fa apparire le sue opere a volte mitologiche e fiabesche, cariche di misteriosi messaggi. Cosa che la tecnica del raku, da lui prediletta, accentua. Ianuario ama la materia e con la più modesta: la creta, crea le sue opere che parlano certamente di mito, antico e futuristico, le immagini che realizza possono essere divinità ancestrali, e, nel contempo, aliene. Pensandoci bene Solaris è uno scultore che usa la ceramica. Le sue opere sono vere e proprie sculture, legate alla forma nello spazio nel quale si formano e si muovono con i loro pieni un po' 'agitati', e che si impongono con i propri volumi al vuoto circostante. E ha scelto la ceramica perché gli permette di usare anche il colore, come fanno i pittori. Tra l'altro bisogna dire che il colore ha fatto parte della scultura: colorate erano le antiche statue greche, romane e quelle policrome di legno nel Medioevo. Quindi è naturale che anche uno scultore sia intrigato dal colore. Ed è certo il colore una parte del fascino delle opere di Solaris. Un colore che ha effetti quasi metallici e variazioni sottili che danno risalto particolare ai volumi, agli incavi, alle fratture, al racconto delle opere di Solaris. Di certo gli studi di psicologia ed antropologia dell'autore hanno un loro peso nella visione artistica di Solaris: le sue immagini sono antiche e moderne nel contempo, figurative e informali, realistiche e surreali, spesso enigmatiche. Ci partecipano bellezza e armonia, ma nel contempo hanno un che di misterioso e oscuro.
                                                                                                               Maresa Sottile

venerdì 2 agosto 2013

Luigi Mazzellla Passionario della scultura

Lo studio di Luigi Mazzella è un luogo davvero particolare. Sito in una villa storica del Vomero, Villa Hass, è molto vasto, dai soffitti voltati, tutto bianco. Lo ha ereditato dal suo Maestro, lo scultore Tomai, personaggio singolare e affascinante di gaudente gentiluomo-artista. Luigi nasce, si potrebbe dire, predestinato. La sua è una famiglia di artisti. Suo padre dipinge, e i suoi due fratelli Rosario ed Elio dipingono anche loro. Luigi, invece, sin da ragazzino è affascinato dalla materia e dalla sua lavorazione: pietra, legno, ma soprattutto metalli. Luigi fa la scelta più difficile: la scultura è un'arte faticosa, costosa e di difficile interesse e comprensione da parte degli acquirenti. Ma Luigi è affascinato dai materiali solidi e dalla loro lavorazione per quanto complessa e faticosa possa essere. Luigi è diverso dal suo Maestro, del quale ancora parla come di un personaggio unico e che ancora ammira e al quale è ancora grato. Ennio Tomai, stravagante viveur giramondo che un bel giorno si è fermato a Napoli, lo prese sotto la sua ala. Parola opportuna perché Tomai era appassionato di ornitologia e il suo studio era diventato il rifugio degli uccelli della zona. E Luigi è stato 'contaminato' dall'amore per i volatili, anche per lui diventano soggetti di studio e protagonisti di molte opere. Ma c'è qualcosa di più. Gli uccelli, il loro volo hanno influenzato molto l'opera di Luigi Mazzella. Le superfici delle sue opere, anche quando non rappresentano i volatili, vibrano nell'aria e nello spazio come le ali degli uccelli. Tutta l'opera di Mazzella vibra nell'aria e vi si espande nella ricerca di spazio e movimento. Dicevo che Luigi Mazzella ama la materia, ama i metalli, e loro lo ricambiano, rispondendo al suo amore con risultati affascinanti. La materia lavorata da Mazzella prende vita, si muove nello spazio. Il gioco delle forme, delle luci e delle ombre, è sapiente, frutto di una personalità artistica che ha percorso la sua strada con cognizioni ed esperienze culturali e tecniche di grande spessore. Ma nel contempo ha tutto filtrato con la sua creatività e talento che gli ha permesso di creare un linguaggio personale, che rende le sue opere subito riconoscibili. Da sempre l'umanità ha cercato di modellare creta, pietra, metalli. E' un valore ancestrale che nel tempo si è raffinato raggiungendo alti valori artistici, e a ciò contribuisce anche Mazzella con le sue opere nelle quali esprime il suo spirito, la sua ricerca di libertà, di equilibrio, la sua fantasia che insegue il volo degli uccelli, il volo della sua anima nello spazio alla ricerca della 'forma', quella che esprima la sua ricerca, il suo anelito, il suo spirito. E' un uomo semplice e alla mano, Luigi, gentile e a volte un po' svagato. No, non è svagato, quando lo sembra, certamente, sta seguendo un suo pensiero su qualche opera che sta realizzando o che realizzerà. La prima volta che Luigi Mazzella mi fu presentato fu durante una sua grande mostra a Villa Pignatelli nel giugno 1983, un vero evento. Luigi aveva tutte le carte e gli appoggi: di lui era entusiasta Palma Bucarelli e di lui scrivevano Carlo Argan, Carlo Munari, Carlo Levi, Dino Buzzati, Marcello Venturoli, Luigi Compagnoni, Carlo Barbieri e tanti tanti altri. Ha fatto mostre in tutt'Italia e sue opere sono un po' dovunque. Ma come altri artisti napoletani, Luigi non volle allontanarsi dalla sua città, da Napoli. Sono certa che se Luigi fosse andato via oggi il suo nome avrebbe una risonanza molto maggiore, perché è davvero un artista ricco di talento e di amore per quello che fa.
                                   Maresa Sottile