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lunedì 19 dicembre 2016

Cent'anni fa moriva Umberto Boccioni massimo esponente del Futurismo


                                                                 
Nell'agosto del 1916 moriva a Chievo, in provincia di Verona, cadendo da cavallo durante una esercitazione militare, Umberto Boccioni, il più importante rappresentate del Movimento Futurista, grande pittore e scultore. Aveva circa 34 anni.
Il Futurismo è stato il più importante Movimento Artistico italiano del '900, e ha influenzato gran parte degli artisti del periodo in tutto il mondo, inoltre è stato il Movimento Artistico di più lunga durata che ci sia mai stato.
Di famiglia romagnola, Boccioni nacque a Reggio Calabria, dove il padre era stato temporaneamente trasferito. Infatti per il lavoro del capofamiglia Umberto visse anche a Forlì, Genova, Padova, Catania, dove Umberto prese un diploma, collaborò a giornali e scrisse anche un romanzo, e infine nel 1901 giunse a Roma. Qui si iscrisse ad una scuola per cartellonisti e conobbe Gino Severini col quale frequentò lo studio di Giacomo Balla e conobbe Mario Sironi. Poi Umberto intraprese dei viaggi, Parigi e la Russia. Tornato si iscrisse alla Scuola libera di Nudo a Venezia che lasc per un altro viaggio che avrebbe dovuto riportarlo in Russia, ma giunto a Monaco di Baviera rientrò in Italia. Ormai Boccioni ha conosciuto il Divisionismo, il Simbolismo, a Monaco il movimento Sturm und Drang e si è dedicato totalmente alla pittura ma l'Italia e la sua situazione artistica lo lasciano insoddisfatto per il loro provincialismo.
Nel 1907 raggiunge la madre e la sorella a Milano, dove ora vivono. Qui arricchisce le sue conoscenze artistiche con nuove amicizie e visite a Musei. Viene a contatto con il Simbolismo e la Secessione viennese, restandone in parte coinvolto. Ma l'evento più importante è l'incontro con Marinetti ed il gruppo che si va formando intorno a questi. Ha venticinque anni e ha trovato la sua strada. Boccioni è il principale autore del manifesto della pittura futurista. Sì perché Marinetti ha fatto Manifesti per tutto, pittura, architettura, poesia… persino per una cucina futurista. Grande comunicatore, lancia il suo Movimento grazie alla pubblicazione del Manifesto Futurista sul Le Figaro di Parigi, ormai capitale dell'Arte, dopo la pubblicazione su più giornali in Italia, compresa Napoli, senza grande riscontro. Ma Parigi è Parigi.
Il Futurismo esalta la velocità, il movimento, il progresso, disprezza il passato in ogni sua forma in un modo che oggi chiameremmo politicamente scorretto. Ma è grazie all'esasperazione urlata delle sue idee che Marinetti e il Futurismo si impongono, fanno discutere, litigare, ma conquistano.
Boccioni, il massimo artista del Movimento, è certamente un grande artista. I suoi quadri sono nuovi, raccontano il movimento travolgente nelle forme e dei colori come in: La città che sale, Dinamismo di un ciclista, La strada entra nella casa, Stati d'animo serie II Gli addii, titoli molto pertinenti per opere che ti prendono nel loro turbinio di movimento e colore, e ancor più nella scultura nel magnifico, splendido: Forme uniche nella continuità dello spazio, nel quale il corpo in movimento si espande con un senso di movimento e spazio coinvolgenti, raramente raggiunti nell'arte. Boccioni è' talmente convinto della nuova svolta dell'Arte che ne scrive: “Pittura Scultura Futuriste” e “Dinamismo Plastico.”
Ma intanto scoppia la Prima Guerra Mondiale e come tanti, anche del suo gruppo, Marinetti compreso, che vengono richiamati o vanno volontari, Boccioni indossa la divisa. E così, in un incidente banale, perde la vita uno dei maggiori artisti del Novecento. Di lui restano le sue magnifiche e avvincenti opere, espressione di un mutamento che, con tante altre forme, idee, movimenti, esperimenti, ricerche, cambieranno l'Arte per sempre.
                                                                                     Maresa Sottile
Articolo pubblicato sul n.ro di Dicembre 2016 di Albatros Magazine





lunedì 12 dicembre 2016

Donatello o della presa di coscienza dell'Uomo


    Il 13 dicembre di cinquecentocinquanta anni fa moriva Donato di Niccolò, da tutti
conosciuto come Donatello, uno dei grandi maestri dell'Umanesimo. Scultore, architetto, orafo, fu uno dei geni del '400, il secolo che segnò la presa di coscienza di sé dell'uomo, prodromo del Rinascimento, in realtà già Rinascimento.
La triade Brunelleschi, Masaccio, Donatello, è quella che ha portato l'Arte italiana a vette incredibili, chiudendo al Tardo Gotico, e aprendo le porte ad una nuova visione dell'Arte e dell'Uomo.  
Donatello ebbe una vita ed una carriere molto lunghe, visse infatti ottant'anni e, come era normale a quei tempi iniziò la sua carriera giovanissimo, pare, come orafo. Poi per due anni andò a Roma con un amico, Filippo Brunelleschi, per studiare le rovine romane.
Non voglio però ripercorrere tutte le tappe della sua carriera, ma parlare di quello di nuovo e rivoluzionario ha fatto.
L'apporto della scoperta scientifica della 'prospettiva', cioè della rappresentazione geometrica-matematica dello spazio e delle forme nello spazio, fece fare un balzo avanti alle arti figurative ed ogni artista del tempo si confrontò con essa e con le sue possibili varianti. Lo stesso Donatello, che essendo scultore lavorava già in tre dimensioni, la usò nei bassorilievi, inventandosi lo 'stiacciato', cioè un rilievo molto basso che grazie alla prospettiva riesce a rappresentare grandi profondità.
Le opere di Donatello sono molte e splendide, ma parlerò solo di alcune che sono punti cardini della sua arte e dell'Arte. Una di esse è il famoso Davide. Donatello rappresenta l'antico eroe come un ragazzo molto giovane che ha già ucciso Golia, infatti ha la sua testa sotto il piede, eppure ha il viso e lo sguardo rivolti in basso, non ostenta la sua vittoria, non è trionfante, come lo sarà quello di Michelangelo orgoglioso di sé ancora prima di portare a termine la propria impresa. Il Davide di Donatello è pensoso, quasi stupito della propria vittoria: ne sta prendendo coscienza. E' l'Uomo che prende coscienza di sé, anche se usa gli stilemi dell'arte classica: il chiasmo che è la contrapposizione: braccio teso - gamba opposta a riposo, braccio a riposo - gamba opposta tesa. Nel San Giorgio, poi crea il movimento in una figura a riposo dissassando l'asse dello scudo da quello del corpo, così la figura ferma ha in sé un movimento che le dà forza e senso, perché l'uomo del Rinascimento è dinamico, ha in sé il movimento delle idee e del fare.
Per il Campanile di Giotto Donatello scolpì due Profeti: i volti, soprattutto quello di Abacuc, sono scavati e sofferenti: il profeta è un uomo tormentato dalla propria ricerca di Dio, dalle cose che sa, che deve condividere, si parla quindi di una ricerca psicologica del personaggio, altra grande novità. A Padova Donatello realizzò la statua equestre del Gattamelata, capitano di ventura, militare al servizio di chi lo pagava di più, come usava al tempo, uomo quasi rozzo ma militare di valore, comandante carismatico che sa comandare, affascinare i suoi uomini per farsi seguire incondizionatamente. Donatello ce lo presenta così: fa il suo ritratto psicologico. Infine voglio ricordare la Maddalena: una “bruttissima” immagine di un personaggio con una pelle di capra addosso, i capelli sporchi a ciocche anche sulla fronte, il volto scavato, il corpo denutrito. Donatello non racconta la solita Maddalena, bella e giovane, la sua è una immagine tormentata come l'animo della donna peccatrice che sconta i suoi peccati ed è tormentata da essi. E' la rappresentazione dell'animo, dell'interiorità della Maddalena, quindi un rappresentazione psicologica, al limite dell'Espressionismo, certo non esteriore ed estetica. Siamo davanti ad un innovatore, ad un grande artista che ha dato voce all'Uomo e al suo tempo, che ha aiutato a crescere e a diventare uno dei secoli d'oro della Cultura e dell'Arte Italiana e dell'Umanità.
                            Maresa Sottile

martedì 13 settembre 2016

: Maria Sibylla Meryan:l'artista scienziata


Maria Sibylla Meryan (1647-1717) Nasce a Francoforte sul Meno e muore ad Amsterdam. E' stata un caso molto particolare ed affascinante nel panorama delle arti figurative, perché fu nel contempo naturalista e pittrice. Figlia di un incisore famoso, Matthaeus Meryan il Vecchio, alla sua morte ebbe un patrigno anche lui pittore, e un marito pittore, la figlia Johanna Helena sposò a sua volta con un pittore, infine la seconda figlia Dorothea Henrica fu sua principale collaboratrice. Interessata sin da bambina agli insetti e alla loro evoluzione, cominciò a disegnare ciò che studiava, creando splendidi disegni di piante e insetti con i quali illustrò i libri di scienze naturali che scrisse usando penna, acquerelli e puntasecca. Vivendo in un ambiente artistico così intenso acquisì le tecniche del disegno, della pittura, dell'incisione. Afflitta da problemi economici aprì una scuola di ricamo per signore. Pubblicò da sé alcuni dei suoi libri. I rapporti col marito non erano buoni e lei con le figlie si trasferì in una comunità labadista, una setta religiosa calvinista. Il marito non condivise quella scelta e chiese il divorzio ponendo fine ad un matrimonio mal riuscito. Donna indipendente, quando la comunità chiuse tornò ad Ammsterdam dove lei e le figlie guadagnarono disegnando fiori e insetti. Inoltre è a contatto con tutto il mondo scientifico come autrice di libri scientifici ed ha accesso a collezioni di fiori e insetti. Nel 1701 affrontò con la figlia Dorothea un viaggio molto avventuroso per i tempi andando per due anni nell'America del Sud nel Suriname, all'epoca colonia olandese, viaggiando nel paese, per studiarne gli insetti, la loro evoluzione ed il loro habitat, ma anche le piante ed i loro effetti medicamentosi, usate dagli indigeni. Nessuno finanziò il suo viaggio, fosse stato un uomo sarebbe stato diverso, penso. I suoi studi furono molto importanti, nel suo tempo gli insetti erano definiti 'le bestie del Diavolo' e la Meryan aprì la scienza verso questi studi. Le illustrazioni che mise nei suoi libri sono ritenute dei capolavori pur nella loro precisione scientifica. Raggiunse la fama ma non la tranquillità economica. Il suo volto è stato messo sulle banconote da 500 marchi e su un francobollo, ed il suo nome dato ad una nave per ricerche nel mar Baltico.
                                                                                      Maresa Sottile

domenica 21 agosto 2016

La Grotta di Seiano e la villa di Pollione nella meraviglia di Posillipo


     
A Napoli c'è una zona collinare affacciata sul mare e sul panorama della città che si chiama Posillipo, nome originale Pausillipon che significa: pausa dal dolore. Nome che in realtà era della villa di Pollione e poi fu esteso a tutto il sito.
Posillipo sale dal mare nella zona ovest della città. Sin da epoca romana fu molto apprezzata per la sua bellezza. Ancora oggi la zona è molto bella con un panorama splendido di tutto il Golfo fino a Capri, l'isolotto di Nisida, Procida ed Ischia, ma certo doveva essere paradisiaco nell'epoca in cui i maggiorenti romani vi costruirono le loro ville a picco sul mare. Quelle ville non ci sono più per molte ragioni: la costa è stata in parte sommersa dal mare, nel tempo c'è stata molta incuria e infine molte nuove costruzioni sono sorte sulla costa. Insomma oggi lo stato della costa è molto diverso e probabilmente meno bello di come era in epoca romana, ciononostante è un luogo bellissimo.
La strada che la percorre fu fatta costruire da Gioacchino Murat e finita da Ferdinando II, tra il 1812 e il 1840 espropriando e demolendo ciò che trovava sul suo percorso. Va da Mergellina fino a Capo Posillipo da cui si scende verso Coroglio e lungo questo tratto di strada si trova l'ingresso della Grotta di Seiano che è un traforo di epoca romana realizzato per rendere più comodo l'ingresso alla villa Pausylipon di Publio Vedio Pollione ed ad altre, agevolando la vicinanza con i porti di Pozzuoli e Cuma e che prende il nome dal prefetto romano dell'imperatore Tiberio, Lucio Elio Seiano che la fece allargare nel I sec. d.c..
La Grotta è lunga quasi 800 m., è piuttosto alta, ma altezza e larghezza variano durante il percorso che è anche fornito di aperture per dare aria e luce, da cui si vede il mare. Devo dire che la trovo spettacolare per la sua altezza e la sua fattura. Il lungo percorso è premiato da quello che si trova uscendo sul complesso architettonico che si trova, dalla bellezza del luogo sul mare e dal panorama spettacolare.
Publio Vedio Pollione era un liberto che era riuscito a fare una gran carriera e ad accumulare una immensa ricchezza. Decise di finire la vita a Napoli e si fece costruire nel I sec a.C. una 'villa' a Posillipo tra la Gaiola e Trentaremi, due cale della costa, fino a Marechiaro, altro sito famoso di Posillipo. Quello che resta di un complesso di costruzioni molto fastose è poco purtroppo. Ci sono due anfiteatri, uno più grande (2000 posti) con la postazione per l'imperatore Augusto, del quale Pollione era un fedelissimo tanto che alla morte gli lasciò il sito, anche se negli ultimi tempi l'imperatore lo aveva un po' allontanato perché davvero personaggio particolare e piuttosto crudele. Infatti si narra che Augusto si fosse infuriato con lui perché durante un suo soggiorno alla villa uno schiavo ruppe un vaso prezioso e Pollione per punirlo voleva fosse gettato in pasto alle murene che allevava nell'enorme vasca di fronte all'anfiteatro, cosa che Augusto non permise, anzi pare che facesse distruggere tutti i preziosi vasi di vetro che Pollione possedeva.
I resti della villa sono in parte sott'acqua, in parte distrutti, ma resta ancora parte dell'enorme edificio posto su un'area molto vasta che raggiunge Marechiaro nelle cui vicinanze ci sono i resti del Palazzo degli Spiriti che faceva parte del Ninfeo della villa. Ci sono escursioni che permettono di ammirare i resti sotto il livello del mare, come ad esempio uno splendido pavimento. Nel sito fu rinvenuta la bellissima scultura di una Nereide ora al Museo Nazionale. Di fronte alla baia del sito vi sono due isolotti collegati da un ponticello con una villa, decisamente più recente e molto romantica che è stata di proprietà di grandi personaggi italiani e stranieri, oggi anch'essa malridotta.
Sempre in questa zona pare ci fosse anche 'la Scuola di Virgilio', il poeta mago che visse molto a Napoli, proprio nella zona di Posillipo, e volle esservi sepolto. Virgilio che  in questa villa si dice abbia letto i suoi versi dell'Eneide Pare inoltre che il nome del sito Gaiola, più precisamente Cajola, venga proprio dal latino Caveola, cioè cava che Lucullo aveva fatto scavare per ripararsi dalle tempeste, questo almeno a quanto scrive il Celano nel '600 sull'etimologia del nome. Certo è che Posillipo fu molto amata dai romani e poi da chiunque vi approdasse in ogni tempo. Ancora oggi, oltre ai purtroppo trascurati e scomparsi resti romani, vi sono ville splendide a picco sul mare avvolti da magnifici parchi, come villa Rosbery, residenza in città del Presidente della Repubblica, dopo esserla stata dei Savoia.
                               Maresa Sottile 

domenica 7 agosto 2016

La Reggia di Capodimonte ed il suo Museo Nazionale


Bisogna proprio dirlo: i Musei di Napoli oltre le opere che contengono, sono di per sé opere d'arte e luoghi di grande bellezza: San Martino, antico convento con una ricca collezione d'arte e una delle più belle e preziose chiese colma di opere artistiche (ved. Art.del 9/4/13) ed un panorama magnifico della città su cui si affacciano le finestre ed il giardino; La Floridiana, la bella villa neoclassica col museo della ceramica Duca di Martina col suo parco affacciato sul golfo (ved. Art.11/5/12), Il Museo Novecento sulla sommità di Castel Sant'Elmo da cui si gode un panorama della città e dintorni a trecentosessanta gradi (ved. Art.24/2/16). Ed anche il maggior Museo, quello nella Reggia di Capodimonte, oltre a contenere grandi capolavori artistici, posto in zona collinare, circondato da un bellissimo parco e affacciato su un panorama splendido della città, è esso stesso un'opera d'arte. Voluta da re Carlo di Borbone, prima solo come Casino di Caccia, fu poi destinata a sede reale. I lavori iniziarono ne 1738 in un luogo allora irraggiungibile per mancanza di strade e terreno accidentato. Infatti fu estremamente complicato portare i blocchi di piperno da Pianura per costruirla. Inoltre la collina non aveva impianto idrico.
La storia della reggia, nata per contenere la vasta Collezione Farnese ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese, è lunga e complessa. Il grande disagio per raggiungere il sito ha avuto la sua parte, l'enormità del progetto anche, senza parlare del modesto interesse del successore di Carlo tornato in patria. Nonostante ciò grandi e famosi architetti hanno collaborato al progetto: Giovanni A. Medrano, Antonio Canevari, Ferdinando Fuga, Ferdinando Sanfelice occupato a sistemare il parco. Il famoso parco conteneva di tutto e di più oltre a viali immersi in splendida vegetazione: la fabbrica di ceramiche (che Carlo alla sua partenza smantellò portando con sé macchinari e personale), una fabbrica di tappeti, una stamperia, una fabbrica di armi, una chiesa. Inoltre nel territorio preso per realizzare il parco preesistevano delle fattorie.
Nella Reggia nel 1755 viene aperta anche la Reale Accademia di Nudo diretta dal famoso pittore G. Bonito e nel 1758 vengono portate le prime opere destinate alla collezione. E oltre alla Collezione Farnese, l'organizzatore del Museo, G. M. della Torre, fece acquistare la Collezione di Giovanni Carafa che era la migliore delle collezioni private che si potesse trovare, e fu anche eseguito il restauro delle opere che ne avevano bisogno.
L'edificio è a pianta rettangolare e include all'interno tre cortili identici, la struttura è sottolineata dalla pietra grigia (piperno) aggettante a contrasto delle mura rosso pompeiano, tutto il piano nobile è balconato. Al primo piano c'è l'appartamento reale, visitabile e pieno di mobili, quadri soprammobili di gran pregio.
Ma Ferdinando I succeduto a Carlo III, non amò Capodimonte.
Alla fine del decennio francese la reggia, residenza di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat, fu saccheggiata. Infatti nel 1799 i francesi lasciarono la città, ma il generale Championnet depredò il Museo, nonostante la strenua difesa di un popolano: Pagliuchella. Fortunatamente le opere furono recuperate dopo poco a Roma e riportate a Napoli. Anche i nazisti depredarono il Museo. Durante la 2°guerra mondiale le opere erano state nascoste nell'Abbazia di Cava dei Tirreni e poi di Montecassino, ma i tedeschi egualmente riuscirono a trafugarne parte, che, ritrovate nascoste in Germania alla fine della guerra, furono restituite all'Italia. Nel 1861 la Reggia divenne di proprietà dei Savoia, ma divenne poi residenza degli Aosta. Infine nel '920 passò al Demanio e nel '50 si passò al progetto a cura di Bruno Molajoli, allora Sovrintendente.
Quando Il Museo fu ufficialmente inaugurato era, per tecnologia (trattamento dell'illuminazione e apparecchiature deumidificanti ed anche per la sistemazione delle opere), il più all'avanguardia d'Europa. Il Museo contiene opere che vanno dal romanico fino alla nuova sezione che include opere di grandi del '900: Masaccio, Bruegel il Vecchio, Raffaello, Tiziano, El Greco, Parmigianino, Gemito...Warhol, Paladino… Così qualche nome tra i più noti a tutti.
E poi ci sono la sala degli arazzi del XVIII sec., il Boudoir delle porcellane della regina Amalia portato dalla Reggia di Portici, il pavimento della villa di Tiberio a Capri, anche questo trasferito dalla Reggia di Portici… E dalle splendide sale in cui si ammirano queste opere straordinarie, si può guardare il panorama della città dall'alto del lato nord-est. Arte, natura e carattere di una città speciale in un mix davvero unico, tutto in un edificio dalle sale barocche ma dall'esterno neoclassico.      
Fare una visita al Museo di Capodimonte non è solo andare a vedere delle opere artistiche, ma si visita la storia di una città che per secoli è stata una capitale di un regno molto importante e agognato da molti re europei. Questo vasto edificio rosso nel verde, costruito in modo che una delle sue facciate lunghe, goda di un panorama splendido, contenga opere d'arte, e sia anch'esso un monumento artistico scenografico avvolto dal suo parco chiamato in città Bosco.
Nel mese di luglio, all'ombra delle sue mura nel Parco si tengono splendidi concerti di musica classica.
         Maresa Sottile
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mercoledì 27 aprile 2016

Il Campanile della Pietrasanta e cenni sulla Chiesa di Santa Maria della Pietrasanta


   
Rara testimonianza a Napoli di costruzione risalente all'XI sec. il Campanile della Pietrasanta si erge nel Centro Storico della città nello spiazzo davanti alla omonima chiesa, che però non è più quella originale.
Percorrendo via dei Tribunali venendo da Portalba, dopo Piazza Miraglia, sulla sinistra vi è un'altra piccola piazzetta con la chiesa di Santa Maria Maggiore, affiancata dalla Cappella del Pontano, e così chiamata per distinguerla da altre due della città con la stessa denominazione. La strada è ricca di costruzioni notevoli, interessanti e di pregio
La  costruzione della Chiesa risalirebbe al VI sec. per volontà del Vescovo della città: Pomponio. Pare sia stata eretta su un tempio romano della dea Diana, che si narra fosse eretto a sua volta su uno precedente greco della dea nera Iside. Papa Giovanni II, che la consacrò, la elesse diaconia e fu la più importante delle sette chiese della città del tempo. Ebbe nel IX sec. come diacono un santo: San Atanasio, per cui divenne meta di pellegrinaggio. Fu elevata a basilica nel e in questo frangente prese il nome di S. Maria Maggiore.
Passata ad un ordine monastico, fondato da un nobile napoletano, venne ricostruita sui resti della chiesa paleocristiana tra il '653 e il '678 da Cosimo Fanzago, il più importante architetto e scultore napoletano e tra i massimi del '600 italiano.
Nell'800 dismesso l'ordine monastico fu sede della Compagnia Napoletana dei Pompieri. La chiesa, bombardata durante la II° Guerra Mondiale, è stata restaurata negli anni '70/'80.
La chiesa ha anche il nome di S. Maria della Pietrasanta perché pare vi fosse una Pietra che dava l'Indulgenza a chi la baciava, pietra che però non è stata ritrovata. Invece sono stati ritrovati i resti dell'antico edificio sotto di essa, che fanno ora parte della Napoli Sotterranea, meta di turisti.
Sulla chiesa vi è ancora da dire, ma voglio parlare del suo interessantissimo campanile
Il Campanile, discosto dalla attuale chiesa, è sul limitare tra la via e la piazzetta, e come dicevo, risale all'XI sec. ed è l'unico edificio di epoca romanica della città. Epoca nella quale Napoli è avvolta in una nebbia storica per quanto riguarda le fonti dei monumenti del tempo. Ne viene che questa costruzione dell'XI sec. È davvero un pezzo unico e raro da ammirare e conservare con cura.
Non tutta la costruzione del campanile è puramente romanica in quanto appare alquanto originale la disposizione delle colonne intorno alla costruzione in laterizi. In origine le colonne dovevano essere quattro e collocate agli spigoli della costruzione quadrangolare. Da un punto di vista statico il campanile è elegante sia per lo slancio delle colonne sia per la loro posizione, perché appunto tagliando gli spigoli della costruzione tolgono all'edificio la rigidità dell'esatta quadratura.
La base del campanile ha ancora un fregio floreale di pietra bianca su un lato, che forse correva lungo tutti i lati, ma del quale resta solo la parte sul lato che dà su via dei Tribunali, ma potrebbe anche trattarsi solo di un inserto di spoglio come le varie sculture inserite a decorare la torre campanaria. Ricordiamoci che nel sito vi erano templi pagani e che i materiali 'di risulta' (presi da edifici precedenti) venivano molto utilizzati nel periodo sia paleocristiano sia romanico. Il campanile è a tre piani con finestre arcuate. però al primo piano tamponate ed al terzo sostituite da una grande bifora anch'essa creata da una colonnina bianca.
La copertura del campanile è costituita da uno slanciato tronco di piramide con delle strette finestre con arco a tutto sesto, la sua forma non è geometricamente squadrata ma ammorbidita nelle sue linee da curve leggere. Questa particolare soluzione ricorda le coperture 'a dorso d'asino' che caratterizzano le costruzioni del tempo nel sud e di vaga memoria araba a riprova delle commistioni di stili che nel tempo hanno caratterizzato il romanico.
La facciata nella parte bassa della torre è aperta e sormontata da un grande arcone in laterizi che evidentemente costituiva l'ingresso al campanile e che consentiva il passaggio dei pedoni.
I materiali usati, laterizi rossi e pietra bianca, danno al Campanile un tocco vivace che fa risaltare la sua presenza nell'antica strada in cui dominano il grigio e il bianco dei materiali di costruzione. 
                                   Maresa Sottile

 

mercoledì 24 febbraio 2016


Castel Sant'Elmo

Uno dei quattro Castelli

di Napoli


Napoli ha ben quattro castelli ancora efficienti e visitabili: Castel Nuovo o Maschio Angioino, Castel dell'Ovo, Castel Capuano, Castel Sant'Elmo.
Il Maschio Angioino è nel centro della città, vicino al mare. Ha una mole possente, un bellissimo portale firmato dal Laurana un museo cittadino, locali usati per esposizioni ed eventi, uffici, e la famosa Sala dei Baroni, sede del Consiglio Comunale, con spettacoli estivi nel suo grande cortile. Il Castel dell'Ovo, nato come convento su una lussuosa villa di Lucullo e diventato poi baluardo difensivo, è in mezzo al mare e dai suoi spalti si gode un panorama spettacolare del golfo. Vi si fanno mostre d'arte in vari locali. Castel Capuano, nel XVI sec. trasformato nel Tribunale detto della Vicaria, è nel cuore della Città e per secoli è stato tribunale cittadino, ora sede della Pretura, ha una gloriosa biblioteca in splendide sale.
Infine Castel Sant'Elmo, sulla collina del Vomero, ha il privilegio di dominare la città ed il territorio circostante a trecentosessanta gradi sorgendo sul punto più alto del Vomero. Il Vomero è, con Posillipo, un quartiere posto nella parte alta dell'anfiteatro del golfo di Napoli.
Fu infatti scelto questo sito per poter avere una visione totale del territorio, sia dal mare che da terra. Il Castello aveva infatti funzione di sorveglianza e difensiva. Non è infatti un castello dove abitare anche se aveva un castellano che lo governava.
Accanto vi sorge il complesso del Convento di San Martino, con la chiesa più rappresentativa del Barocco Napoletano (v. art. blog) con un giardino dal panorama splendido e un bellissimo Museo.
Il Castello sorge dove pare ci fosse già dal XII sec. una torre d'avvistamento detta Belforte. Fu costruito per volere di Roberto d'Angiò all'inizio del '300 ed uno dei suoi primi architetti fu Tino da Camaino, grande architetto e scultore che per molto tempo lavorò a Napoli. Il Castello fu costruito in una quindicina d'anni e finito sotto la regina Giovanna I. Il nome del Castello è un mistero perché Sant'Elmo non esiste, infatti inizialmente era detto di Sant'Erasmo, comunque nonostante varie ipotesi non si sa con certezza da cosa venga il nome.
Il Castello è stato edificato su uno spuntone di roccia, infatti le sue mura sembra che 'nascano' dalla trasformazione della roccia stessa su cui si poggia. La sua forma a stella, realizzata nel rifacimento del '500 per volere del Vicerè aragonese Pedro de Toledo dall'architetto spagnolo Scrivà, fu molto criticata. Si dimostrò invece pratica e funzionale.
Rampe, sale immense, una struttura complessa e affascinante in tufo e piperno, porta fin sugli spalti del castello, una volta sede della polveriera che nel 1587 saltò in aria per un fulmine causando gravi danni e 150 morti.
La storia del castello è complessa: da luogo di gite di re Alfonso e la sua coorte per la bellezza del luogo e del panorama, a bastione assediato, a luogo di congiure, a prigione politica: vi furono rinchiusi infatti i componenti della fallita Repubblica del '99: tra i più bei nomi dell'aristocrazia e della intelligentia della città.
Ma su tutto, storia, architettura, e quant'altro, quando si sale fin sul 'tetto' e si guarda il panorama della città tutta e del suo golfo, del golfo di Pozzuoli, dell'entroterra, si resta senza fiato e non ci sono parole per descrivere la sensazione di stare così in alto da non avere confini in quello che si vede se non nel cielo e nel mare.
Dal 1993 in un edificio su questi spalti c'è la Biblioteca Bruno Molajoli di Storia dell'Arte. Vi è inoltre una chiesetta che non si può visitare ed il Museo Napoli Novecento, molto interessante, con opere dal 1910 al 1980 di artisti napoletani contemporanei.
Il castello, il luogo in cui sorge, il Museo, gli antichi spalti e la vista che vi si gode fanno di Castel Sant'Elmo uno dei più suggestivi e bei siti della città.
                              Maresa Sottile

mercoledì 6 gennaio 2016

A Napoli la Cappella Sansevero e il Cristo Velato, per volere e opera di Raimondo de Sangro principe di Sansevero

                 

Nel cuore della Napoli antica, il centro storico, partendo da piazza San Domenico si imbocca la salita San Domenico Maggiore e nella traversa a destra si trova uno dei luoghi più straordinari della città: la Cappella Sansevero, un gioiello del '700 napoletano e luogo di leggende.
Da fuori la Cappella non fa neppure lontanamente immaginare i tesori particolari che si troveranno entrandovi. Una volta era collegata con un piccolo ponte al palazzo che aveva di fronte del quale era la Cappella: Palazzo Sansevero di Sangro eretto nel XVI sec. dal Principe di Sansevero don Paolo de Sangro. La famiglia Sansevero è un'antica famiglia nobiliare napoletana con una lunga storia e legata anche al Museo Duca di Martina nella Villa Floridiana. La cappella, divenuta chiesa nel 1608 per accogliervi le spoglie dei de Sangro, fu chiamata Santa Maria della Pietà per la Madonna posta sull'altare che era parte di un affresco prima nel giardino del palazzo, o La Pietatella, per la leggenda legata ad essa: un ladro sorpreso e arrestato, pentito chiese la grazia a quella immagine della Madonna di salvarlo e siccome fu realmente scarcerato dopo poco, caso assai raro, a quell'immagine, e quindi alla chiesetta in cui era stata trasferita, venne dato quel nome.
La Cappella fu costruita da Francesco de Sangro nel 1590, per essere stato guarito dopo aver pregato la stessa immagine della Madonna che fece così trasferire nella Cappella, ma fu don Raimondo de Sangro, personaggio affascinante e particolare, nel 1750 a renderla quella che oggi ammiriamo. .
La figura di Raimondo di Sangro è avvolta da mistero e leggende. Certo è che era un uomo con molti interessi piuttosto particolari. Si occupava di alchimia, ideò una carrozza 'galleggiante' della quale resta un bellissimo disegno che la vede nel mare, e si dice che ci andasse 'a spasso' nelle acque del golfo. Il popolino non lo amava, lo temeva e diceva che nei sotterranei del suo palazzo facesse esperimenti pericolosi e 'diabolici' uccidendo persone e bambini rapiti, e lo chiamava Principe Diavolo. Ai suoi tempi interessarsi di certe cose era abbastanza pericoloso, la scienza confusa con l'occulto. Di certo era una persona con molte curiosità e una genialità non comune, personaggio unico ed eccezionale, massone, astronomo, inventore, si interessò di palingenesi, il suo campo di interessi era illimitato. Su di lui e le sue scoperte o invenzioni ancora c'è poca chiarezza e certezza. Famoso già ai suoi tempi, creò a Napoli uno dei monumenti più belli, ricchi e pieni di mistero della città, ma anche del paese per non dire del mondo.
La Cappella, costruita da un antenato, era accanto al palazzo collegata ad esso con un arco, che Raimondo arricchì con un orologio racchiuso in una edicola, arco successivamente abbattuto perché poco stabile anche per il peso aggiuntivo dell'orologio.
Se esternamente la costruzione è quasi anonima, appena se ne varca l'ingresso si è colpiti dal fasto interno. Non vi è un centimetro quadrato che non sia ricoperto di decorazioni marmoree e pitture per non parlare delle statue che ne arricchiscono gli spazi. Certamente un luogo ben rappresentativo del Barocco Napoletano. Il de Sangro chiamò a lavorarvi tra i migliori artisti ed artigiani che operavano in città. Ma il regista dell'opera fu lui. Si dice che la Cappella sia organizzata seguendo schemi massonici, alchemici, esoterici. Un discorso dettagliato sarebbe troppo lungo e complesso e si allontanerebbe dal discorso dell'arte che è indubbiamente il più importante. La Cappella accoglie il visitatore sfoggiando tutto il suo splendore di marmi policromi, pitture e statue in un'unica navata con quattro finte Cappelle laterali poco profonde, alle quali si accede da quattro grandi arcate, e sormontate da ampie finestre quadrate. Dietro l'altare un abside semicupolato, il soffitto è voltato. La volta è affrescata con una fastosa e complessa Gloria del Paradiso da Nicola Maria Russo, che inserisce nell'affresco scenografici effetti architettonici. Le Cappelle laterali contengono i complessi sarcofagi della famiglia, e tra cappella e cappella sono poste grandi statue, il pavimento e di marmi policromi, anch'esso, pare, eseguito su disegno del de Sangro. Molte delle opere, anche di artisti noti come quella del Celebrano di Cecco de Sangro, pare siano state eseguite su disegno del de Sangro.
Al centro della Cappella vi è l'oggetto più famoso, prezioso e stupefacente: Il Cristo Velato di Giuseppe Sammartino. Si tratta di una statua che rappresenta il Cristo morto disteso e coperto da un sudario velato. G. Sammartino è tra i maggiori scultori del '700 italiano, ma anche qui pare che il de Sangro lo istruisse e guidasse nell'esecuzione dell'opera da lui voluta. La cosa stupefacente è quel velo da cui il nome. Infatti ha un effetto di trasparenza che sbalordisce. Si vedono le vene, i muscoli come se davvero un velo coprisse il corpo dolente di Cristo morto. E naturalmente ci sono leggende su questo velo. Si narra che il de Sangro avesse inventato un modo per 'pietrificare' il tessuto, che però resta trasparente, insegnandolo al Sammartino. Nella Cappella ci sono altre statue di cui alcune straordinarie: la Pudicizia e il Disinganno di F. Quierolo e se nella prima, che pare raffiguri la madre del principe, si ripete la trasparenza di un altro velo, nel Disinganno composto da un uomo (l'ingannato) che si libera da una rete che lo ingabbia ed un fanciullo, (l'intelligenza), anche qui si resta stupefatti perché rete e uomo sono un unico blocco di marmo, ma la rete è distante dalla figura e ci si pone subito la domanda di come abbia fatto lo scultore. Anche per questa opera si dice che il bozzetto sia del de Sangro. E ancora una lapide di marmo rosa, di un rosa unico che probabilmente è stato creato ancora da Raimondo che la scolpì anche.
Infine nella Cappella sono custoditi due corpi in una teca, oggi, in un armadio un tempo. In realtà i due corpi non esistono più, di loro c'è lo scheletro e il sistema arterioso in blu e venoso in rosso, una volta anche quello di un feto, come metallizzati.
Anche qui la storia è misteriosa. Forse due servitori uccisi per l'esperimento? Di certo c'è che i due sistemi sanguigni sono esatti e completi e non si è ancora oggi potuto accertare come il de Sangro abbia potuto ottenere questo risultato. Molti studiosi li hanno esaminati senza giungere a nulla.
Di certo c'è che questa Cappella delle meraviglie è piena di misteri, segreti e domande senza risposte. Ed è anche bellissima.
                                 Maresa Sottile