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domenica 26 giugno 2011

Armando De Stefano
Un artista che onora Napoli
Il nome di Armando De Stefano è uno dei più importanti nel mondo dell’arte della nostra città, e non solo, vista la sua presenza in musei anche all’estero ed alle sue mostre in mezzo mondo; e noto se non a tutti almeno a quanti abbiano un minimo di interessi culturali, anche perché restano eventi le sue mostre a Palazzo Reale, l’ultima nel 2002, infine al Pan nell'autunno del 2009 con una mostra antologica molto ricca e molto visitata. Ha tenuto per molti anni la cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Napoletano verace, non ha mai voluto lasciare la sua difficile città che ama con tutto il suo carico di bene e di male.
Allievo del Maestro Emilio Notte, è passato attraverso le esperienze ed i fermenti artistici che si succedevano nei suoi anni giovanili, soprattutto il realismo insieme a Guttuso, ma anche l’influenza dall’espressionismo. Sensibile e partecipe degli eventi sociali e politici, sempre più, già dagli anni ’60, si avvarrà della figura per il suo racconto pittorico che si snoderà nel tempo in grandi cicli, dall’Inquisizione, a Masaniello, Odette, La Rivoluzione del 1799, L’Eden degli esclusi, Dafne, solo per citarne alcuni. Legato alla pittura del ‘600, che a Napoli ebbe grande rilevanza anche per la permanenza di Caravaggio, De Stefano reinventa un linguaggio denso di significati, di metafore, estremamente concettuale e al contempo teatrale e immaginifico, di una qualità e di un livello pittorici rari e coinvolgenti. Chi crede che oggi l’immagine figurativa non abbia più molto da dire non ha mai visto le figurazioni di De Stefano. In composizioni complesse, spesso di sapore teatrale, le immagini di De Stefano ci raccontano gli umani conflitti, le umane efferatezze, ingiustizie, passioni, con un linguaggio ricco e sintetico ad un tempo, in un’invenzione compositiva affascinante nella sua atemporalità. Il colore sapiente ora cupo, ora leggero, talvolta freddo ed acido completano un discorso di alta levatura etica.
Nell’ultimo ciclo del Maestro, quello di Dafne, il discorso dell’artista si fa più interiore, la sua attenzione più intima e lirica. Con raffinate tecniche miste, in cui si fondono in modo straordinario grafica e pittura, scruta il tormento dell’animo, le sue metamorfosi e trasfigurazioni con il simbolismo del mito che da sempre è stato mezzo di narrazione metaforica dell’umano.
Al Maestro De Stefano, di cui fui allieva, credo che questa città debba essere molto grata, perché con la sua opera ha reso omaggio ad essa, alla sua storia ed alla sua gente, con opere che certamente resteranno molto più di tanti tentativi di ricerca di nuovi linguaggi che spesso si sono rivelati vacui e intelligibili per i più, e molto perituri. Maresa Sottile

mercoledì 22 giugno 2011

Il nido

Nina aveva una bella cameretta con la finestra che affacciava sulla campagna essendo uno degli ultimi palazzi della città. Non era una gran campagna e c'erano pochi alberi, uno solo abbastanza alto ma arrivava al secondo piano e lei abitava con la famiglia al terzo. La finestra aveva la serranda montata al limite esterno del davanzale e un angolo rotto che lasciava uno spiraglio triangolare sulla destra e fu da quella fessura triangolare che due uccellini entrarono e lo scelsero per nidificare. La mamma di Nina capì subito che era l'inizio di un nido e non toccò l'agglomerato di sottili sterpi e ramoscelli. Per Nina che aveva cinque anni fu qualcosa di davvero eccitante. Gli uccellini fanno il nido tra i rami degli alberi, le rondini sotto i tetti. Non aveva mai visto un nido da vicino anche se andava in campagna dai nonni.
Il nido prese la forma di una palla. L'ingresso era stato lasciato dal lato che dava verso il muro, nascosto allo sguardo, ben protetto. Un giorno, mentre loro svolazzavano tra i rami, la mamma scostò il nido e videro l'interno tutto foderato di piumette bianche. Chissà da dove venivano quelle piume perché loro non erano bianchi.
Con gli uccellini nacque una vera amicizia. Con la mamma dopo pranzo mettevano bricioline sul davanzale e loro vi si soffermavano ormai senza alcun timore. Un mattino becchettarono contro il vetro come per chiamarla e da allora ogni mattino svegliavano Nina con quel ticchettio sul vetro. La madre le aveva detto che era una cosa eccezionale quella storia e Nina si sentiva speciale perché succedeva a lei. Per una bambina di cinque anni era una grande e bella avventura. Soprattutto dopo la brutta cosa che aveva visto tempo prima andando con la mamma all'ufficio del padre. La stanza affacciava in un cortiletto stretto, per fortuna era all'ultimo piano ed era luminosa. Dal piccolo balconcino c'era poco da vedere oltre un tetto di tegole e il cielo. Sotto al balcone correva un piccolo cornicione su cui era acquattato un gatto rossiccio e più in là c'era un canarino.
Nina aveva chiamato i genitori che si erano affacciati con lei. Anche se era piccola aveva capito le intenzioni del gatto.
Lo vuole mangiare.” disse la mamma e battè le mani per farlo fuggire.
Anche il papà lo fece. Il canarino svolazzò nel perimetro del cortiletto ma non riuscì a trovare la via di fuga e si riposò sul cornicione. Allora i genitori di Nina e anche lei batterono ancora le mani ripetutamente. L'uccellino svolazzò di nuovo tra le pareti del cortiletto ma inutilmente così di nuovo si posò sul cornicione. Il gatto fece un balzo velocissimo e fu sulla preda. I genitori la tirarono via dal balcone.
Adesso invece poteva prendersi cura di quegli uccellini e renderli felici dando ospitalità e protezione sul suo davanzale. Non c'era riuscita col canarino ma ora...
Poi fecero un'altra ispezione nel nido e videro che c'erano tanti piccoli ovetti bianchi.
Accadde un pomeriggio, verso le quattro. Si era alzato un vento forte,di quelli rabbiosi. La mamma pensò subito che quel vento era pericoloso per il nido. Fece di corsa il lungo corridoio fino alla stanza di Nina, ma una folata l'aveva già fatto volare via. La mamma si affacciò, poi andò velocemente verso la porta di casa raccomandandole di non muoversi che lei andava a vedere. Nina rimase in attesa davanti alla porta di casa chiusa. Quando la mamma risalì non aveva il nido tra le mani come lei aveva sperato, e neanche le piccole uova che i suoi amici stavano covando. Non ci fu nulla da dire. Nina passò il resto del pomeriggio davanti alla sua finestra a guardare i due uccellini che volavano in circolo tra l'albero e il palazzo emettendo dei suoni che non erano i cinguettii che conosceva. Non dubitò neppure per un attimo che quelli fossero i 'suoi' uccellini che non tornarono mai più da lei.
Le restò un grande senso di colpa e ce l'ebbe anche con la mamma. Lei era grande e doveva pensarci che il vento avrebbe potuto far volare via il nido. Pensò molto a quei suoi amici, anzi non dimenticò mai quella piccola triste storia.














martedì 21 giugno 2011

                 Donne artiste nell'arte del Rinascimento
                                                   IV

Sofonisba Anguissola (Cremona 1530/32- Palermo 1625) era di nobile famiglia, il padre faceva parte del governo cittadino quale Decurione per conto di Filippo II, la sua seconda moglie, Bianca Ponzoni, aveva amicizie di rilievo che certamente giovarono a Sofonisba. Il padre, vista l'attitudine per la pittura che le sue figlie avevano, decise di farle studiare. Sofonisba fu allieva di Bernardino Campi, e con le sorelle Lucia ed Elena frequentò la sua bottega accompagnata da una domestica. E' questa una grande novità per il tempo ed indubbiamente il padre fu un uomo molto liberale e comprensivo per quei tempi, agevolandole la carriera.
Donna di grande cultura, amica di molti artisti, viaggiò molto per il suo tempo lavorando in varie città, fu in Spagna ritrattista della famiglia reale di Filippo II fin quando nel 1568 la regina Isabella, della quale era divenuta molto amica, morì. Quando lasciò la corte Filippo, che teneva molto a lei, la dotò. La sostituì Van Dych che la conobbe ormai cieca un anno prima della morte e lodò molto le sue opere e la ritrasse anche; anche Michelangelo e Rubens ammirarono i suoi ritratti ed entrambi vollero conoscerla, e soprattutto Michelangelo ammirò la sua arte dopo aver visto suoi disegni inviategli dal padre.
Nel 1573 lavorava a Palermo perché sposò a Madrid un nobile siciliano, il marchese Fabrizio Moncade, ma nel '78 il marito morì in mare e lei partì per Genova lasciando la Sicilia. Durante il viaggio conobbe Orazio Lomellini che sposò nel 1579. Dopo un soggiorno di vari anni, nel 1615 tornò a Palermo. Purtroppo problemi di vista le impedirono di continuare a dipingere. Di lei abbiamo molte opere sparse in vari musei del mondo, da Vienna a Milano, a Bergamo, a Napoli, a Madrid, a Boston, a Baltimora...Il suo nome è uno dei pochi a godere di una discreta popolarità ancora oggi. Come quasi tutte le donne pittrici del passato, Sofonisma fece soprattutto ritratti, data l'impossibilità per una donna di studiare l'anatomia che permetteva un più vasto campo di soggetti pittorici. La Anguissola con il successo della sua carriera artistica rese meno difficile il lavoro di altre artiste.
Anche la sorella più piccola di Sofonisba, Lucia Anguissola (1536/38-1565/68), fu una pittrice brava ed ammirata, ma morì piuttosto giovane e non ebbe e non ha avuto la notorietà della sorella. Anche lei dipinse molti ritratti. Il Vasari ammirò il suo lavoro che conobbe dopo la sua morte. E' stato detto che avesse ancor più talento della sorella, ma la morte precoce non le ha fatto completare il percorso artistico e superare la dimenticanza del tempo.
Diana Scultori Ghisi detta la Mantovana (1545-1590) figlia di Giovan Battista Mantovan che le insegnò la tecnica dell'incisione. Lavorò col fratello Adamo nel laboratorio del padre che era introdotto nella corte mantovana ed aveva collaborato con il famoso pittore Giulio Romano, il più importate allievo di Raffaello. Sposò l'architetto Francesco da Volterra e si trasferì a Roma. Molto interessata alla carriera del marito si prodigò molto per lui. Donna di grande garbo e gran diplomazia si accattivò anche l'ambiente pontificio, ottenne infatti da Gregorio XIII di poter vendere le proprie opere firmate col nome di Diana Mantovana o Mantuan, evitando così di usare il proprio nome legato alla famiglia, creandosi quindi una notorietà solo propria. Di grandi capacità tecnica le sue stampe sono caratterizzate da una forte tridimensionalità. Rimasta vedova sposò in seconde nozze un altro architetto: Giulio Pelosi. Unica donna che usasse l'incisione seppe ben districarsi nelle regole poste nel settore della stampa e ottenne notorietà e fama per le sue capacità tecniche e artistiche.
Lavinia Fontana (Bo 1552-1614 Roma) figlia di Prospero, pittore manierista di successo che lavorò per vari Papi, che le fece frequentare i Carracci, ma anche gli esponenti della pittura veneta, lombarda, toscana. Divenne molto nota a Bologna per i suoi ritratti di grande fattura, ma poi la sua produzione incluse anche soggetti sacri, mitologici, biblici, interrompendo la tradizione che le donne dipingessero per lo più ritratti. Nel 1577 accetta di sposare il pittore Gian Paolo Zappi, dal quale avrà undici figli, a patto di non dover interrompere la propria attività artistica e lo Zappi accetta e interrompe il proprio lavoro per dedicarsi a promuovere quello della moglie, tra l'altro ottenendo la chiamata a Roma da Papa Gregorio XIII, e Lavinia divenne la 'pittrice pontificia'.
Oltre agli splendidi ritratti di cui abbiamo detto e per i quali veniva spesso preferita a pittori uomini, abbiamo una serie di opere: Lapidazione di Santo Stefano in San Paolo fuori le Mura, la Visione di San Giacomo in Santa Sabina, la Sacra Famiglia con Bambin Gesù che abbraccia San Giovan Battista oggi al Louvre Parigi, Minerva in atto di abbigliarsi alla Galleria Borghese di Roma, Ritratto di ragazza irsuta allo Chateau di Blois, Gesù appare a Maria Maddalena agli Uffizi...
Barbara Longhi (1552-1638) figlia di Luca, pittore manierista, studiò e lavorò nella bottega del padre. La sua attività ed il suo nome restarono circoscritti alla zona ravennate e sono poche le notizie su di lei e sul suo lavoro. Restano ritratti e scene religiose, tutti in piccolo formato.
Marietta Robusti (1560-1590) figlia di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, tra i massimi pittori del '500, fu detta anche lei Tintoretta. Studiò presso la bottega del padre e lavorò con lui ed il suo lavoro alla fine si confuse con quello paterno, tanto che divenne difficile identificarla sin quando non fu scoperta su alcune tele una M con cui siglava il proprio lavoro. Il padre l'amava molto e la portava ovunque con sé, si dice facendola vestire da uomo. Le impedì di allontanarsi da lui quando, ormai famosa, i reali d'Austria e Spagna la chiamarono a corte. Marietta si sposò con un gioielliere, Jacopo d'Augusta, ma il padre dette il consenso dopo che gli sposi accettarono di vivere con lui. Marietta morì, quattro anni dopo il matrimonio, di parto e pare che Tintoretto non si riprese mai dalla sua perdita. Di lei restano degli splendidi ritratti tra i quali :Ritratto di uomo anziano con ragazzo e un probabile Autoritratto agli Uffizi di Firenze.  Maresa Sottile
                                                                    Continua................

lunedì 13 giugno 2011

            Donne artiste nell'arte del Rinascimento
                                             III

Nel '400 continua ancora la tradizione di donne monacate che si esprimono nelle varie attività artistiche.
Il primo nome che si trova è quello di una santa: Caterina Vigri o da Bologna dalla città dove nasce l'8-9-1413 (e muore il 9-3-1463) da famiglia patrizia. Studiò latino, musica, arte, danza e fu dama di corte di Margherita o di Parisina d'Este. Poi seguì la vocazione religiosa e nel 1432 va nel monastero delle clarisse del Corpus Domini a Ferrara. Venne poi chiamata a fondare un monastero dello stesso ordine a Bologna del quale fu badessa.
Oltre che i propri manoscritti con miniature, realizzò tele e affreschi. E naturalmente viene da notare che si tratta di una cosa nuova perché nei secoli precedenti non sarebbe stato concepibile che una donna, in più monaca, potesse realizzare un affresco salendo su un ponteggio.
Fu fatta santa da Clemente XI nel 1712 e si festeggia il 9 di marzo.
La maggior parte delle sue opere è nel convento del Corpus domini, ma abbiamo anche una Santa Caterina con le compagne e Sant'Orsola conservata nella Pinacoteca Nazionale di Venezia.
Notiamo anche che ancora, e sarà così per secoli, si tratta di una donna di famiglia nobile e ricca che ha studiato. Cioè di una donna che ha avuto delle opportunità che non erano per tutte.
Altra miniaturista italiana del XV sec. è Maria Ormani, fiorentina. Monaca agostiniana realizzò un Breviarium Calendario ad usum Ordinis Augustini ora nella Biblioteca di Vienna. In esso, proprio come le sue colleghe medievali, inserì il proprio autoritratto con tanto di scritta che la dichiarava autrice dell'opera.
Sibilla von Bondorf è invece una miniaturista tedesca del XV sec. Vedendo il suo nome se ne deduce che provenisse da una famiglia nobile, premessa irrinunciabile perché una donna avesse cultura e potesse sviluppare i propri eventuali talenti. Monaca nel convento delle clarisse di Friburgo, copiò e miniò la Storia di San Francesco scritta da San Bonaventura da Bagnoregio. Vedendo le sue miniature viene da pensare ad una pittura molto ingenua e un po' naif.
Andriola De Baracchis (1446-1504) di Pavia. Anche lei una badessa nel monastero di San Felice di Pavia dove nella Pinacoteca Nazionale si può vedere la sua opera. In questo caso veramente inesistenti le notizie.
Entrando nel XVI sec. le cose cominciano a cambiare perché la pittura verrà esercitata per la maggior parte da donne che non si chiudono in convento, ma che spesso si sposeranno e avranno figli. Inoltre vengono più accettate e riconosciute dalla società, a volte persino preferite ad artisti maschi. La cosa che colpisce è che come sempre si tratta di donne nate in contesti che permettevano loro di studiare, ma ancor più che quasi sempre si tratta di artiste figlie d'arte, quindi non solo con la possibilità di studiare, ma anche di frequentare certi ambienti e farsi conoscere e apprezzare da chi commissiona e compra, come quelle 'nate bene'. Bisogna anche considerare che per una donna era impossibile andare a studiare in qualche studio di pittore e per di più studiare l'anatomia maschile, questa è una delle principali ragioni per cui le 'figlie d'arte' sono avvantaggiate negli studi.
Quanto detto lo conferma una delle prime artiste che incontriamo: Lavinia Teerlinc, Bruges 1510/20-1576, quindi belga. Figlia di Simon Bening o Benninc, veniva da una famiglia di famosi miniaturisti. Lavorò col padre ma poi si trasferì in Inghilterra con il marito e andò a lavorare alla corte di Edoardo VI. Fu allieva di un grande miniaturista: Nicholas Hilliard. Sotto Enrico VIII sostituì Holbein come pittore di corte, lavorò poi sotto Maria I ed Elisabetta I, delle quali era dama di corte. Fu suo, pare, il disegno del primo sigillo che Elisabetta usò. Una vera 'carriera maschile' la sua. Molte le opere giunte a noi, soprattutto ritratti.
Properzia De Rossi (XVI sec.) unica donna scultrice che incontriamo nel nostro viaggio tra le donne artiste del passato. Vasari che di lei fa la biografia nelle Vite prova una certa meraviglia per una donna scultrice, mestiere ritenuto estremamente virile, anche per lo sforzo fisico che portava. Ci dice anche che era molto bella e virtuosa e di gran talento, suonava e cantava benissimo e che ebbe un grande amore non ricambiato. Iniziò intagliando noccioli di pesca e tutti stupirono della sua bravura e capacità nello scolpire una Deposizione in uno spazio così minuto. Questo le procurò il lavorò alle tre porte della prima facciata di San Petronio, ma si attirò delle invidie per la sua bravura ed il suo successo. Di lei seppe il papa Clemente VII che la volle conoscere, ma proprio in quella settimana Properzia morì pianta molto dai suoi concittadini.
Plautilla Nelli (Firenze 1523-1588), di nuovo una monaca, ma è una delle poche. Anche lei figlia d'arte. Studiò con fra Paolini a sua volta allievo di Fra Bartolomeo Baccio della Porta, notevole e famoso artista del tempo, frate domenicano. La maggior parte del suo lavoro Plautilla lo svolse per i padri domenicani che conservano molte sue opere. Anche a Venezia nel Museo di San Marco si conserva una Deposizione che si dice sia stata realizzata da lei su un cartone di Andrea del Sarto. Di lei sappiamo anche dal Vasari, che la incluse nella seconda edizione del suo fondamentale testo sulle Vite dei pittori.
Figlia d'arte Catharina Van Hemessen (Anversa 1528-1565). Il padre Jan fu suo maestro e fu talmente reputata come artista che ebbe a sua volta tre allievi maschi. Sposò Cristien de Morien, organista nella cattedrale di Anversa. Fu dama e molto amica di Maria d'Austria reggente dei Paesi Bassi e la seguì col marito in Spagna dove fu ritrattista a corte. Suoi ritratti, caratterizzati da un grande realismo, sono alla National Gallery di Londra mentre ad Amsterdam troviamo la sua Allegoria della Natura al Rijksmuseum. Un suo autoritratto è all'Ermitage a Pietroburgo.
                                                                       Continua.......

domenica 5 giugno 2011

Claricia, Herrad, Bourgot Le Noir, Ildegarda di Bingen





Donne artiste nell'arte figurativa del Medioevo

                                                            II
Anche nel Medioevo ci si imbatte in donne artiste, sia scrittrici che pittrici e musiciste.
In realtà nel mondo medioevale la donna e la cultura non navigavano in buone acque. Per la prima la cosa è quasi ovvia data la condizione femminile nei secoli, eppure alcune di esse seppero trovare un'escamotage. Naturalmente stiamo parlando di donne comunque privilegiate per nascita, per quelle del popolo il problema non sussisteva neppure. Nelle ricche famiglie prima arroccate nei castelli, poi nelle case torri infine nei palazzi le donne comunque ricevevano, spesso nei conventi dove venivano mandate per istruirsi, una qualche sorta di cultura letteraria, musicale, artistica, oltre il ricamo in cui alcune si distinsero con lavori di altissimo artigianato, però era preclusa loro la cultura 'scientifica'. Molte di loro venivano poi maritate per motivi di convenienza politica, economica e per procreare eredi. Ma non tutte perché molte altre venivano invece che maritate monacate. Ci furono anche alcune donne, anzi dame, che la fecero in barba alle famiglie, agli usi, agli interessi, evitandosi forse matrimoni non graditi, maternità non desiderate, monacandosi volontariamente, portandosi ricche doti che permisero loro di fare la vita che avevano scelto: poter esercitare le proprie vocazioni artistiche, il proprio bisogno intellettuale. Così nei conventi, proprio dove si coltivava l'unica cultura medioevale, donne di talento si rifugiarono a dipingere, scrivere, comporre musica. Anche nella storia dell'arte di questo periodo si studia proprio il lavoro degli amanuensi, monaci che nei conventi ricopiando i testi antichi li ornavano sui bordi o nelle lettere iniziali dei capitoli con decori e illustrazioni al testo, nasce così nei conventi medioevali la miniatura, da minio, materiale di colore rosso molto usato dai monaci per il proprio lavoro. Bisogna tener presente che la Chiesa è quella che domina per molti secoli. Per questa ragione gran parte della cultura e dell'arte sono legate ad essa.
Le artiste rintracciate non sono molte purtroppo, ma come detto sin qui la cosa è naturale, e alcune ebbero anche fama e dignità.
Di qualcuna ci è giunto solo il nome, di qualcuna un po' della loro storia e soprattutto l'opera.
Uno dei primi nomi che troviamo è quello di Ende (X-XI sec) spagnola che copia ed orna l'Apocalisse conservata nella cattedrale di Gerona in Spagna.
Di Diemoth o Diemodus (1060-1130) nell'Abbazia di Wessobrunn sappiamo che si rinchiuse per molto tempo in una cella a ricopiare ben 45 volumi. Guda Nun (XII sec.), monaca miniaturista si è ritratta all'interno di una lettera: la D con l'apposizione della firma: 'Guda peccatrice scrisse e dipinse questo libro.' Claricia che pur non essendo monaca ricopiò il Libro dei Salmi di Augsburg, ritraendo anche lei se stessa nella coda della Q di un Quid.
Ildegarda de Bingen (1098-1179) di famiglia reale fu una donna molto stimata e colta. Uno dei personaggi più reputato e noto dei suoi tempi. Studiò latino, musica, scrittura. Fu Badessa dal 1136 e scrisse molti libri di teologia: scrisse ed illustrò “Liber divinorum operum”, filosofia, scienze tra i quali un lapidario. Illustrò “Latin scito vias Domini” (Scivias- Conoscere le vie del Signore) e fece delle miniature illustrando le proprie visioni mistiche. Negli ultimi anni divenne predicatrice, cosa assai rara per una donna. Alla morte fu beatificata.
Herrand of Landsberg (1125-1197) fu badessa del monastero di Hohenburg. Illustrò un testo di tipo enciclopedico che raccoglieva opere di vari autori ed anche sue poesie con 636 illustrazioni incluso il proprio ritratto: l' “Hortus Deliciarum”. Tali illustrazioni erano parte integrante del testo e purtroppo sono andate distrutte col testo durante la guerra franco-prussiana nel 1870 in un incendio, le conosciamo perché nella prima metà dell'800 l'opera era stata studiata e riprodotta accuratamente da vari studiosi.
Le artiste nominate sin qui sono tutte di varie regioni della Germania, tranne la spagnola Ende. Non troviamo ancora italiane ma ci rifaremo dal Rinascimento in poi.
Francese è invece Bourgot le Noir (1098-1179), figlia di un famoso miniaturista: Jean le Noir, nel cui studio lavorò collaborando col padre, ciò è documentato dai registri reali del tempo. Illustrò il Salterio delle Ore di Bona del Lussemburgo, duchessa di Normandia. Francese è anche Anastaise, della quale si ha traccia per gli scritti di Christine de Pisan, autrice vissuta tra il '300 ed il '400, che la cita quale grande miniaturista superiore a molti uomini del suo tempo.
Infine vogliamo ricordare l'Arazzo di Bayeux per la cattedrale della città dove poi venne esposto, eseguito tra il 1066 e il 1082 dalla regina Matilde, sposa di Guglielmo II il Conquistatore, probabilmente aiutata dalle sue dame. L'Arazzo racconta la conquista dell'Inghilterra nel 1066 con particolare attenzione alla battaglia di Hastings. Ed è molto interessante per le molte informazioni anche di costume che contiene.
Come si è prima accennato la donna poteva accedere solo ad una parte della cultura, quella letteraria ed artistica e quella che faceva parte dei lavori donneschi come appunto il ricamo, il merletto, a quelle attività cioè di tipo artigianale che tante opere di valore artistico hanno comunque prodotto.
Maresa Sottile