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sabato 8 dicembre 2018

Castel dell'Ovo, storia e leggende


                                                   

 Se vi è un luogo a Napoli che racchiude davvero la storia della città questo è, forse, Castel dell’Ovo, uno degli edifici più suggestivi e famosi della città, sempre presente quando se ne immortala il golfo. Infatti il castello è su un isolotto, Megaride, collegato a Via Partenope, quasi all’altezza di via Santa Lucia, con un lungo ‘ponte’.
In epoca romana, Megaride era nella proprietà di un ricchissimo console romano, che dopo una fortunata e ricca carriera si stabilì a Napoli, dove  costruì una favolosa villa su quella che oggi è la collina di Pizzofalcone, zona detta anche Chiatamone, e i cui giardini scendevano fino al mare e comprendevano l’isolotto di Megaride, dove il console dava cene così celebri che la loro fama è giunta fino a noi, infatti ne è nato il termine ’luculliano’ che significa proprio pasto assai ricco di pietanze molto buone.

Lucullo era anche un uomo molto colto ed aveva raccolto in Oriente una ricca biblioteca di papiri che Cicerone riteneva assai importante e che Lucullo conservò proprio sull’isolotto. Si dice che durante dei lavori, credo nel secolo scorso, alcuni operai, che lavoravano nel Castello, trovarono dei rotoli bruciati, e scambiandoli per legno e ne fecero falò per scaldarsi durante le pause per la colazione. Pare che però si trattasse di quei preziosissimi papiri, che con le tecniche moderne avrebbero potuto forse essere egualmente letti e studiati.

Più nota di questa storia è quella di Virgilio, poeta con fama di mago, che durante la costruzione dell’edificio, si racconta, ospite in città, vi abbia nascosto un uovo in una gabbia. Finché quell’uovo resterà integro, dice la leggenda, Napoli ed il suo popolo potranno vivere tranquilli. Leggenda della quale Petrarca pare abbia riso. Ma la leggenda si racconta ancora.

Dopo i fasti di Lucullo, l’isolotto fu preda di invasioni e saccheggi barbari. Vi fu anche tenuto prigioniero l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo. Infine vi si rifugiarono frati eremiti, vi sorsero  dei monasteri. Anche Santa Patrizia, divenuta poi patrona della città con San Gennaro, fuggita dall’Oriente, vi si rifugiò. Quando ebbe notizia della morte del suo persecutore decise di tornare in patria, ma una tempesta la respinse verso l’isola, dove decide di restare e vi costruì un monastero.

 Allorquando i monaci preferirono la terraferma lasciando Megaride, l’isolotto  fu fortificato.

 Durante il regno normanno re Ruggiero vi riunì il proprio Parlamento. Fu reggia e prigione, ma nel 1370 il castello fu molto danneggiato da una burrasca e si sparse anche la voce che l’uovo si fosse rotto. Per placare il popolo terrorizzato fu restaurato e  rassicurati i napoletani sulla sorte dell’uovo, che fu detto ancora perfettamente integro.

Sempre presente nella storia della città, di volta in volta usato come prigione,  bastione difensivo, persino  come luogo della macina del grano. Conteso, danneggiato, risistemato, usato per ospitare personaggi illustri, ma anche per sparare sul popolo, protagonista di assalti e battaglie,  Castel dell’Ovo non ha la forma di un castello vero e proprio, più un bastione difensivo di tufo giallo, che nasce dal mare, con la base annerita dall’acqua marina che la lambisce ininterrottamente. All’inizio del ‘900 fu persino usato per aprirvi dei Café Chantants: l’Eldorado e il San Francisco, frequentati da personaggi come Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco, Francesco Crispi, il principe ereditario. Oggi vi si fanno Mostre, anni fa fu anche sede di concerti.

Durante la 2° guerra Mondiale, molti napoletani vi si rifugiarono e ne presero possesso continuando ad abitarci anche dopo la fine della guerra. Negli anni ’50 il problema fu poi risolto con dei veri e propri sfratti forzati. Tra gli occupanti c’era anche Zì’ Teresa, una vecchina vestita di nero dai capelli candidi, fondatrice e proprietaria dell’omonimo famosissimo Ristorante, nato insieme ad altri sull’isolotto, creando quello che ancora oggi è conosciuto come il Borgo Marinaro.

Questo è un riassunto brevissimo e lacunoso della storia di Castel dell’Ovo,  un edificio affascinante nella sua mole, nei suoi bastioni. Oltre il portale rampe, scale, una chiesa semi-sotterranea. Grandi arcate da cui si vede il lato est della città come se si giungesse con una nave. Dai suoi spalti, dove fanno bella mostra antichi cannoni puntati verso la città, si gode di un panorama dal mare del golfo, della città, mozzafiato.

 

 

 

domenica 7 ottobre 2018

Donne nell'Arte


 
Sono pochi anni che il mondo delle Arti figurative ha scoperto il volto femminile dell'Arte. Per i più le donne sono muse, ispiratrici, modelle, degli artisti, ma poco partecipi perché non capaci. Nel mondo maschilista nel quale si sono sviluppate tutte le civiltà, la donna ha avuto sempre un posto subalterno. Esaminarne i motivi è assai lungo e complesso e non è quello di cui mi voglio occupare. Però voglio raccontare qualcosa che sfati un po' i pregiudizi sulle doti artistiche delle donne e soprattutto raccontare la loro presenza nel mondo dell'Arte sin dall'antichità.
In realtà sin da sempre le donne ci sono state e di loro abbiamo anche i nomi, persino il titolo di qualche loro opera, ma queste notizie non sono 'passate' nel tempo, però Plinio, grande storico, ne scrive. Alcune furono molto famose, spesso preferite agli uomini e persino più pagate. Il punto è che poi dopo nessuno ne ha più parlato e scritto. La 'dimenticanza' instaurata dagli uomini è stata la causa della nostra 'ignoranza'. Le donne ci sono sempre state nell'Arte, ma dopo la loro morte non se ne parlava più.
Timarete, Irene, Calipso, Helena, Aristarete, Anassandra, Olimpia, Tamiri, sono i nomi di artiste greche delle quali conosciamo qualcosa. Erano famose, richieste, ben pagate. L'imperatore Vespasiano volle Helena per dipingere nel Tempio della Pace 'La Battaglia di Isso', la cui copia romana è il mosaico nel Museo Nazionale di Napoli, pare unico esemplare giunto a noi della pittura greca.
Esiste anche un antico vaso greco, la Caputi Hydria' (collez. Torno, Milano) che raffigura una bottega vasaia nella quale lavora una donna. E noi sappiamo che i vasi erano importanti nella società e nella cultura greca, inoltre unica testimonianza della pittura ellenica, essendo scomparsa ogni traccia di essa.
Nell'antichità, prima della civiltà ellenica erano botteghe a creare opere artistiche, non il singolo artista. E chi ci può assicurare che in quelle antiche botteghe d'arte non ci fossero donne?
Quindi le donne ci sono sempre state, a volte con molte difficoltà, altre con onori e successo, ma sempre, dopo, dimenticate.
Da alcuni decenni gli storici dell'Arte le stanno studiando, ne stanno scrivendo, facendo mostre. Negli USA esiste un Museo delle Donne, nel 1986 lo storico dell'Arte H.B. Janson, personaggio molto influente nel mondo dell'Arte, inserisce artiste donne nella Storia dell'Arte.
Purtroppo, dati i precedenti, molte notizie, opere, nomi, sono spariti e molti probabilmente mai più reperibili.

sabato 8 settembre 2018

Duecentocinquana anni fa moriva il grande paesaggista Canaletto


Giovanni Antonio Canal, nasce a Venezia nel 1697. E' figlio d'arte, il padre, infatti, dipinge scenari teatrali e, così, lui ed il fratello seguono il mestiere paterno, collaborando con lui. Giovanni Antonio ha ventun' anni quando, con loro, si reca a Roma per realizzare le scene di un'opera di A. Scarlatti. Qui viene in contatto con famosi paesaggisti, tra i quali Gaspar Van Wittel, padre di Luigi Vanvitelli, che è uno dei primi vedutisti. Il paesaggio fino ad allora era stato usato soprattutto come fondale, scenario, per le figure, anche se già proprio i pittori veneti, da G. Bellini a Giorgione, gli avevano dato grande rilevanza nelle proprie opere.
Come nel Seicento Caravaggio aveva dato inizio alla grande tradizione delle 'nature morte' (anche se qualche altro artista ne aveva già dipinto), nel Settecento il paesaggio assurge a protagonista della pittura. E, certamente, G. A. Canal diverrà il più grande vedutista del tempo e non solo.
Rientrato nella sua città l'interesse per il nuovo genere pittorico lo spinge a contattare e frequentare i pittori paesaggisti ed a dedicarsi al vedutismo. Ha successo tanto che anche importanti collezionisti italiani e stranieri richiedono sue opere. Esegue anche opere celebrative della città come il famoso: Il Bucintoro al Molo il giorno dell'Ascensione, che rappresenta lo sposalizio della città col mare.
Diventato quindi molto noto in città, e non solo, la sua fama non può sfuggire ai turisti, in questo caso inglesi. Venezia è meta turistica dei ricchi europei impegnati nel famoso Gran Tour, e così le opere di Giovanni Antonio, diventato il Canaletto, per distinguerlo dal padre, colpiscono un ricco inglese, Joseph Smith, che è anche il console britannico in città. Smith diviene suo collezionista e lo fa conoscere ai suoi danarosi amici amanti dell' arte. Così Canaletto si fa un nome in Inghilterra e quando la guerra del 1740/48, sconvolge mezza Europa, e le commissioni non gli piovono più come prima, se ne va a Londra. Ma non sarà facilissimo il suo percorso. Dovrà conquistare un pubblico un po' riluttante, intessere rapporti con personaggi importanti, ma riuscirà a conquistare l' aristocratica e ricca clientela anglosassone, appoggiato da Smith, divenuto suo agente.
Rientrato a Venezia definitivamente dopo una decina d'anni, nella sua città riceverà committenze importanti. Negli ultimi anni dipinge anche 'capricci', un genere pittorico nel quale l'artista gioca tra realtà e fantasia. Ormai riconosciuto e stimato Canaletto lavorerà fino alla morte nel 1768.
Denigrato dagli storici dell'arte quasi duecento anni, solo dal 1946 in poi viene riconosciuta la sua grandezza, primo tra tutti, dallo storico e critico dell'Arte Roberto Longhi. Il suo lavoro per quasi due secoli è stato denigrato ed incompreso. Gli fu persino imputato di aver usato la 'camera oscura', pratica adottata da tantissimi artisti e non solo per i paesaggi. La camera oscura, matrice della macchina fotografica, conosciuta ed usata sin dall'antica Grecia, rendeva più veloce il lavoro di un vedutista, soprattutto quando raccontava paesaggi ricchi di architetture, e non perché non fosse in grado di eseguirli. Il punto è che i paesaggi di Canaletto, sono ricchi di un'atmosfera che incanta, quasi in un mistero di bellezza e leggera melanconia, soprattutto nelle opere della maturità. Vedere dal vivo un suo paesaggio tocca l'anima, trasporta in un 'oltre' indefinibile con le parole. Ed è questo che deve fare l'Arte. Non importa come lo fa, quali tecniche, forme, colori, materiali, vengano usati. L'arte deve andare oltre, farci provare qualcosa, darci qualcosa. Nell'arte dobbiamo sentirci toccati nell'anima, provare cose che altrimenti non proveremmo.
Le opere di Canaletto sono nei grandi musei e certamente in Gran Bretagna vi è una delle maggiori collezioni, raccolta da Smith e venduta al re Giorgio III.
Maresa Sottile
   Questo articolo è stato pubblicato sul mensile ALBATROS di settembre 2018

venerdì 29 giugno 2018

Rosa Bonheur, la pittrice fuori dagli schemi


Nella Storia dell'Arte delle donne vi sono moltissime storie affascinanti e particolari. Una delle più 'strane' è di certo quella di Rosa Bonheur. Strana perché è riuscita a superare tutte le 'barriere' sociali moralistiche del suo tempo.
L'800 è stato un secolo fortemente bigotto nel quale le donne hanno perso ancor più autonomia. Gli esiti della Rivoluzione Francese, nella quale esse furono al fianco degli uomini, fu molto deludente per loro. Basti dire che alle donne fu negato anche il diritto alla cittadinanza. La discreta libertà raggiunta nel '700, svanì del tutto. Una donna che volesse 'intraprendere' una carriera lavorativa ne era totalmente impossibilitata. Figurarsi fare la 'pittrice' o la 'scultrice'. Eppure, nonostante fosse loro negato anche l'accesso alle Accademie d'Arte, le donne artiste in questo secolo sono cresciute in modo esponenziale.
Gli uomini, quelli che trovavano immorale che una donna avesse qualsiasi tipo di possibilità artistica e lavorativa, aprirono Accademie private dove ammettevano a pagamento le donne! O le accoglievano come allieve private.
Ma le donne non si fecero intimidire e continuarono per la loro strada nonostante difficoltà, discriminazioni, riuscendo a portare avanti le proprie aspirazioni. Negli Stati Uniti, ad un certo punto l'accettazione maschile arrivò prima, nacque la 'donna nuova', ma in Europa sicuramente le donne faticarono di più. Molte ebbero anche un certo successo nonostante tutto, il punto è che poi sono state escluse dalla memoria. Fortunatamente nuovi studi da alcuni decenni hanno riportato alla ribalta artiste donne degne davvero di nota.
Tra queste spicca la storia di Rosa Bonheur (1822/1898), artista figlia d'arte e donna fuori da ogni schema del tempo. Rosa portava i pantaloni. Sì perché frequentava i mercati di bestiame ed i macelli! Così ogni sei mesi le rinnovavano il permesso di indossarli. Infatti dipingeva bestiame con grande forza ed in tele enormi, al di fuori dai temi pittorici soprattutto femminili, e con dimensioni desuete anche per gli uomini. Inoltre Rosa visse per quasi tutta la vita con una compagna, una ragazza conosciuta quando aveva solo quattordici anni. E quando questa morì poi incontrò un'altra nota pittrice, l'americana Anna E. Klumpke, con la quale visse fino alla propria morte, lasciandola erede universale, oltre ad autorizzarla a scrivere la sua biografia. La cosa più particolare è che pur essendo noto il suo modo vi essere e di vivere, non ci fu scandalo attorno a lei. E la cosa sembra incredibile. Nonostante tutto  Rosa fu famosa, anche fuori dalla Francia, persino negli Stati Uniti, tanto che Pecos Bill durante una sua tournee volle conoscerla, e fu insignita della Legion d'Onore. Ma non illudiamoci troppo, fu un caso fortunato, e, se non unico, piuttosto raro.

 

sabato 9 giugno 2018

500 anni fa nasceva Jacopo Robusti detto il Tintoretto


Jacopo Robusti, il famoso pittore noto come il Tintoretto, nasceva 500 anni fa, nel 1518, a Venezia e deve il suo soprannome al fatto che il padre fosse un tintore di sete, forse di origine toscana. La sua attitudine artistica fu molto precoce, tanto che a soli 21 anni era già un pittore autonomo, cioè lavorava in proprio e non era in bottega da altri, ma della sua giovinezza e formazione artistica si sa poco.
Pare fosse stato a bottega dal famoso pittore Tiziano, ma in merito vi sono notizie contrastanti. Fu comunque un artista influenzato dalle esperienze dei grandi del Rinascimento, dal lavoro dei suoi conterranei Giorgione e Tiziano, ma trovando una cifra propria e divenendo uno dei maggiori artisti del suo tempo. Le sue opere quasi sempre religiose, dipinse però anche molti ritratti, hanno infatti peculiarità proprie che lo distinguono, rendendolo un artista unico. Le sue composizioni sono complesse, molto movimentate, piene di diagonali, quasi violente con un uso particolare della luce. La luce è una delle cose che caratterizza la pittura veneziana, che nasce e si sviluppa in una città d'acqua dai mille riflessi e tutti gli artisti veneziani ne sono stati sedotti e ispirati, ognuno a suo modo, dimostrando grande sensibilità per questo elemento.
Si dice che Tintoretto costruisse dei teatrini con figure di cera e li illuminasse con candele per studiare gli effetti della luce. E sembra non sia stato l'unico ad usare questo genere di espediente, anche Caravaggio, un secolo dopo, si sa che facesse lo stesso. Tra i suoi capolavori nel quale si può notare quanto detto vi è 'Il ritrovamento del corpo di San Marco, oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano.
Le sue opere della maturità sono spesso caratterizzate da contorni luminosi delle figure.
Altra cosa molto interessante della sua storia artistica e privata è la presenza della sua adorata figlia Marietta, della quale dovette cogliere le grandi capacità. Infatti Marietta fu sua collaboratrice importantissima. Sin da ragazzina Tintoretto la vestiva da maschio e la portava con sé sui ponteggi, affidandole parte del lavoro, cosa per quei tempi assolutamente particolare perché la presenza delle donne nell'arte era già cosa rara, seppure esisteva, ma su un punteggio era quasi impensabile, anche se pure questo accadeva talvolta. Marietta era molto brava e Tintoretto chiaramente ne era cosciente.
Marietta però morì giovanissima di parto.
Si era sposata con un gioielliere con il patto di non lasciare il padre e la sua morte colpì in modo terribile il pittore che non si riprese più da questa perdita, morendo anche lui quattro anni dopo. Interessante di questa vicenda è che, restaurando dipinti dell'artista, si sono trovate opere contrassegnate con una M, segno indiscusso della firma di Marietta, che viene ora annoverata tra le artiste del tempo e non solo aiutante del famoso pittore.
Venezia, naturalmente, festeggerà questo anniversario con una grande Mostra internazionale, con opere reperite da tutti i musei del mondo, che si inaugurerà il 7 settembre con due poli espositivi: Palazzo Ducale e le Gallerie dell'Accademia. La mostra nel 2019 si trasferirà a Washington.
Maresa Sottile     

Articolo pubblicato sul mensile ALBATROS giugno 2018

mercoledì 25 aprile 2018

Eva Fischer, una gran pittrice dei nostri tempi


 Eva Fischer nasce a Daruvar nel 1920 in Jugoslava da una famiglia ebrea. Il padre era Rabbino Capo ed un esperto talmudista. Eva seguì studi artistici all'Accademia di Belle Arti di Lione e, diplomatasi, rientrò nella sua città a guerra iniziata, nel'41, giusto in tempo per subire il bombardamento di Belgrado e l'internamento in campo di concentramento. Ma nella sventura fu fortunata, perché, con la madre ed un fratello, venne internata in un campo dalmata, nell'isola di Curzola, che era sotto amministrazione italiana e dove il regime non era quello dei lager tedeschi, nei quali gran parte della sua famiglia morì, tanto che,  quando la madre si ammalò fu ricoverata in ospedale, prima a Spalato e poi a Bologna, ed Eva e il fratello ebbero il permesso di andare a trovarla ed accudirla. Così, con l'aiuto di membri del Partito d'Azione riuscì a fuggire con i suoi familiari, nascondendosi sotto falso nome.
Dopo la guerra rimase in Italia stabilendosi a Roma, dove frequentò il Gruppo di via Margutta, esponendo, conoscendo e stringendo amicizia con molti personaggi importanti dell'arte, scrittori e intellettuali, tra i quali Giorgo De Chirico, Giuseppe Ungaretti, Giuseppe Berto, Salvador Dalì, Corrado Cagli, Luchino Visconti nella cui casa conobbe Picasso e poi Emilio Greco, Renato Guttuso, Mafai e tanti altri, con i quali divise  conversazioni, scambi di opinioni e anche lunghe passeggiate notturne per Roma. Espose per la prima volta nel '47 alla Galleria 'La Finestra' proprio in Via Margutta. Dipingeva dichiarando che lo faceva perché era l'unica cosa che sapesse fare. Certo le sue frequentazioni l'aiutarono in ogni senso. Venire a contato con artisti  che hanno segnato il secolo le diede certamente una visione molto vasta dell'Arte del '900. Eppure la sua pittura non imita nessuno. Sposò lo scrittore A. Baumann. Con lui andò poi a Parigi, dove divenne amica di M. Chagal, a Madrid, Londra, Israele, USA,  soggiornandovi per lunghi periodi. A Londra, negli anni '60,  la Galleria Lefreve ospitò una sua 'personale', cosa che aveva fatto l'ultima volta  per Modigliani. Suoi ammiratori e collezionisti furono Humphrey Bogart ed Henry Fonda. Dipinse ritratti, paesaggi nature morte. Molto famose sono le sue opere con le biciclette e con i mercati, che Dalì ammirò. La pittura della Fischer è una pittura colta e personale. Racconta un mondo colorato ma anche problematico. Ha esposto in tutto il mondo. Negli anni '80 l'Unione Europea la nominò Artista Europea. Il musicista Ennio Morricone le ha dedicato un CD con 12 brani e ad Israele vi è una Fondazione a suo nome con sue opere. Il Presidente della Repubblica G. Napolitano le ha conferito il titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. Eva Fischer muore a Roma nell'estate del 2015.


lunedì 12 febbraio 2018

Posillipo, collina incantata di Napoli


     Uno dei luoghi più belli della città di Napoli è Posillipo, l'estensione verso ovest della città con una collina che da un lato si affaccia sul golfo di Napoli e dell'altro sui campi Flegrei, Bagnoli, guarda il Golfo di Pozzuoli e la costa verso nord. Luogo molto apprezzato in tutti i tempi da coloro che potevano costruirvi ville circondate dal verde e con un panorama spettacolare sul golfo della città.

A Napoli per secoli sono giunti stranieri, a volte solo in viaggio, e si sono fermati per sempre. La città infatti è piena di famiglie dai cognomi stranieri: inglesi, francesi, tedeschi, svedesi… persone che hanno anche dato avvio ad attività commerciali, aziendali, inserendosi perfettamente nel tessuto anche culturale della città e accolte dalla città. Perché Napoli accoglie tutti, come solo le città di mare sanno fare, Napoli in particolare con tutto il susseguirsi di dominatori stranieri che ha avuto, non potrebbe non accogliere chi si innamora di lei. E' il carattere di questa città, dei suoi abitanti: accogliere e accettare la diversità da sé.
Posillipo vuol dire pausa dal dolore, inizialmente nome della villa di Publio Velio Pollione, poi rimasto a tutto il sito. La zona è collinare e chiude ad ovest il golfo, poi la costa, anch'essa a golfo, prosegue verso Bagnoli e Pozzuoli.
Dai romani in poi molti notabili hanno costruito ville bellissime circondate da magnifici parchi, sulla costa di Posillipo. A Posillipo si veniva a riposarsi, a curasi, a rilassarsi. 
 Per raggiungerla, Gioacchino Murat fece tagliare la costa per costruirvi una strada comoda che partiva da Mergellina. Era infatti difficile raggiungere le ville, per alcune si poteva solo dal mare.
Andato via Murat, re Ferdinando II proseguì i lavori. Così, salendo verso il Capo di Posillipo, sul lato destro sorsero palazzi gentilizi e su quello sinistro, scoscesi verso il mare, i parche delle ville. La strada si snoda, appena un po' in salita, lungo la costa fino al Capo e poi la discesa di via Coroglio, che ne è un prolungamento, che da una piazza-belvedere scende verso Coroglio, appunto, e lungo il cui percorso c'è la Grotta di Seiano, un tunnel di poco meno di un chilometro costruito dai romani, accesso incredibile alla villa di Pollione che è il solo complesso con anfiteatri, piscina, villa e costruzioni varie, in parte conservato di tutte quelle d'epoca romana.
Da Posillipo ci si collega con la zona superiore della collina, su verso il Parco Virgiliano, una volta della Rimembranza, opera fascista. Lo si raggiunge da due vie, una più bella dell'altra. Da un lato è' a picco sul mare e sul territorio sottostante, ha panorami vari e splendidi, affaccia sulla Villa di Pollione ed il sito di Trentaremi, si vede il golfo, Capri, Capo Miseno, Procida, Ischia, i Campi Flegrei, la costa fino a Pozzuoli e oltre, dall'altro.
Benedetto Croce, il grande filosofo, col suo bastone, seguito dall'auto, ci veniva a passeggiare.
Se non si gira a sinistra per andare al Parco, continuando la strada porta verso il Vomero, quartiere posto centralmente nella parte più alta della città.
 Posillipo è un quartiere ancora piuttosto tranquilla, residenziale, con molto verde ed un panorama mozzafiato. E ha alcune cose che non si trovano in nessun altro luogo di Napoli: l'aria profumata, una luce che c'è solo nei luoghi protesi verso il mare e dei tramonti magnifici.
Vi transitano uccelli migratori che volavano verso sud-ovest in formazione, disegnando il numero uno nel cielo.
Posillipo è certo un luogo elitario, ma aveva, ora un po' meno,  anche una delle caratteristiche di questa città: la convivenza del ricco aristocratico e del lazzarone povero e malmesso. Questa città è tutta fatta così. Nel centro storico il palazzo gentilizio convive col basso proletario. C'è sempre stata una promiscuità endemica a Napoli. Ferdinando II di Borbone si travestiva da plebeo e si confondeva con il popolo. Questa commistione di ricco e povero, di colto e ignorante, di signore e scaricatore, fanno di questa città qualcosa di diverso.
A Posillipo resta la testimonianza della presenza degli stranieri che qui si sono stabiliti, la più famosa è Villa Rosbery sulla discesa che porta a Marechiaro, di proprietà di un lord inglese, dopo una lunga serie di passaggi di proprietà, infine donata dai suoi eredi all'Italia, ora residenza, quando è in città, del Presidente della Repubblica.
Palazzo Donn'Anna, Marechiaro, Giuseppone a mare, la Gaiola, la Grotta di Seiano. Posillipo, luogo di delizie sin dall'antichità, in cui si coniugano bellezze naturali, storia, cultura.
Dal mare Posillipo è un'altra scoperta. Si possono vedere le ville che dalla strada sono tutte celate da parchi scoscesi che le rendono per la maggior parte invisibili dalla strada. Alcune sembra proprio sorgano dal mare, non solo l'incredibile mole di Palazzo Donnanna, pieno di leggende, incredibile edificio del '600 che sembra un enorme scoglio corroso che sorge dalle acque, nel quale Raffaele La Capria, negli anni '60, ambientò parte del suo romanzo 'Ferito a Morte' che fece epoca.
Poco dopo anche la rossa villa Quercia pare nasca dal mare. Si alternano poi ville per lo più dell'800, il verde dei parchi, sovrastati da palazzi d'epoca e moderni su tutta la collina, cale di tufo su cui si affacciano alberi secolari come il Cenito e verso il Capo anche qualche resto romano come il Palazzo degli Spiriti, parte della villa di Pollione, gli isolotti della Gaiola. Posillipo resta un luogo dove si può riposare e avere ristoro dagli affanni e credo che chiunque la visiti, venendo da fuori, porti con sé una luce e un'aria che non troverà in nessun altro luogo. Tanti sono venuti e restati e chi non ha potuto ha vissuto certamente un rimpianto.
Napoli ha molte facce, alcune parlano d'arte, altre hanno caratteristiche particolari, molte fanno sognare con panorami splendidi, altre parlano della miseria e del malaffare. In sé ha i resti di molte culture: è una città poliglotta perché chiunque ci arriva la comprende e lei comprende loro. E' una città che la sa lunga, ed è una città ricca di storia, ed è generosa perché offre a tutti con prodigalità la sua bellezza e la sua ricchezza, chi riparte è più ricco di quando è giunto. Tutti dovrebbero avere il “diritto”, la possibilità, di conoscerla. Chi l'ha avuta, non se n'è pentito mai. 
Molti ne hanno parlato anche male, anche oggi lo fanno. Ma le loro parole finiscono nel nulla. Non l'avranno mai vinta: Napoli ha un dono e almeno finora nulla e nessuno glielo ha mai tolto, è unica e incantatrice: è una sirena, la sirena Partenope.

venerdì 9 febbraio 2018

Angelica Bell Garnett Una delle donne di Bloomsbury


Il Gruppo di Bloomsbury è certamente a conoscenza di molti, essendo un gruppo di grandi artisti ed intellettuali inglesi del '900 quali Virginia Wolf, scrittrice e femminista, Vanessa Bell sua sorella, pittrice, Clive Bell, critico e storico dell'arte, Dora Carrington, pittrice, Duncan Grant, pittore anche lui di famiglia aristocratica, John Maynard Keynes, economista, Leslie Stephen, critico letterario e filosofo, e davvero tanti altri. Il Gruppo durò dal 1905 alla Seconda Guerra Mondiale, influenzando il pensiero di artisti e intellettuali dell'epoca. Il gruppo nacque da un incontro informale di molti laureati di Cambridge. Inizialmente gli incontri del giovane e vivace gruppo avvenivano nelle loro case, poi la sede divenne la casa dei fratelli Stephen, trasferitisi nel quartiere londinese di Bloomsbury. Sir Leslie Stephen era di famiglia aristocratica e di cultura oltre ad essere un celebre critico. Sua moglie era nipote di Julia Margaret Cameron, una delle prime fotografe inglesi, della quale scrisse la biografia, vantava parentele straordinarie come quella di Darwin. Virginia Wolf e Vanessa Bell erano le sue figlie, entrambe conosciute col cognome dei mariti, artisti e  intellettuali anche loro.
 Il Gruppo di Bloomsbury è famoso e benemerito nella cultura, ma anche piuttosto fuori dalle righe, almeno per i tempi, per comportamenti e mentalità. Potremmo anche dire che precorse i tempi.
Cento anni fa nasceva Angelica Bell Garnett, la figlia di Vanessa Bell, avuta col pittore Duncan Grant, un pittore bisessuale del quale Vanessa fu innamorata tutta la vita e che visse anche con lei ed il marito, che sapeva della paternità di Duncan, e che aveva a sua volta delle relazioni: quel che si dice una famiglia allargata.
Angelica, di questa paternità, lo seppe molto tempo dopo, e ne restò traumatizzata. Crebbe immersa in un mondo indubbiamente privilegiato, essendo presenti nella sua casa e nella sua vita molti dei membri di Bloomsbury. ma, anche se lei non ne era a conoscenza, discutibile per i costumi.
Angelica studiò recitazione - recitò anche in una commedia della zia Virginia -, musica e pittura, frequentando artisti tra i quali lo scrittore David Garnett, molto più grande di lei e che era stato compagno del suo vero padre. Angelica, che non ne era a conoscenza, lo sposò avendo con lui quattro figli. Lasciata la recitazione si dedicò alla sua vera vocazione: la pittura e l'illustrazione. Separatasi negli anni Ottanta si è trasferì in Francia realizzò molte nature morte e illustrazioni di libri. Ed anche alla scrittura, raccontando al mondo in un libro: Ingannato con gentilezza: A Bloomsbury Childhood, quello strano ambiente della casa di campagna di Charleston, dove i suoi genitori vivevano e che era frequentata da tutti i personaggi del Bloomsbury. Un mondo dove le uniche cose importanti erano la cultura e l'arte e dove la trasgressione era normalità, dimostrando il disagio ed il dolore per quanto le era accaduto nel silenzio della famiglia. Varie sue opere sono state vendute all'asta da Christie's. Ciononostante la figura di Angelica come pittrice è ancora poco studiata e valutata, ancora una volta vittima della madre e della sua notorietà.