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venerdì 15 dicembre 2017

Maria Algranati (1886-1978) La mia nonna poetessa


Questo blog nasce per parlare di Arte, artisti, monumenti. Ogni tanto
pubblico qualche mio racconto breve, qualche notizia sulle mie attività
 come conferenze o pubblicazione di libri,  anche per farmi conoscere
meglio da chi mi legge, diversificare e movimentare un po' il contesto.
 Questo BLOG è letto in tutta Europa, in Russia, negli USA, ed in molti altri
 paesi come la Cina, ad esempio. Così voglio trasgredire e scrivere su mia
 Nonna che è stata una poetessa di un certo valore, cosa che non dico io, ma
 persone come Benedetto Croce, uno dei più importanti filosofi del '900,
 oltre che uomo di grande valore e spessore culturale, morale e umano.
 
Maria Algranati nacque a Roma nel 1886, ma presto la sua famiglia si trasferì prima a Milano e poi a Napoli, dove lei visse tutta la vita. Una vita complicata e difficile con più dolori che gioie, la più grande e consolatoria la Poesia. La famiglia originaria aveva un menage instabile che li faceva vivere più che bene in certi periodi per poi doversi ridimensionare drasticamente date le alterne fortune lavorative del padre. Ma la cosa più grave fu il carattere della madre: estremamente rigido e anaffettivo verso le figlie, affettuoso e permissivo con i maschi, tanto che tutte e tre le sorelle andarono via presto da casa, affrontando un mondo che alle donne dava poco spazio. Ma loro avevano titoli di studio e Maria e la gemella Gina grande cultura. Gina raggiunse buoni traguardi arrivando a livelli dirigenziali, la carriera di Maria fu più tribolata e complessa. Il grande amore della sua vita non andò in porto per il tradimento di un'amica che le nascose le intenzioni del fratello che voleva lasciare tutto e tutti per lei, appena finita la guerra del 15/18. L'altro amore importante fu con un poeta conosciuto a casa di B. Croce. Un poeta finito nel dimenticatoio dopo la 2° Guerra mondiale per le sue idee, anche antisemite. E Maria era ebrea, convertita come le altre sorelle, lei e Gina spinte proprio dal Croce. Se da cattolico divento protestante finisce lì ma se un ebreo si converte resta ebreo. Con le leggi razziali, comunque, le andò anche bene: fu solo scacciata dal lavoro. Ma la tragedia più grande fu il matrimonio con il vedovo della sorella più piccola, morta dopo il terzo parto, fatto per amore dei nipoti. Il matrimonio fu pessimo ed alla fine due dei nipoti pure ingrati.
La sua salvezza in una vita così tribolata e complicata, fu scrivere. Pubblicò articoli, collaborava con L'Ora di Palermo, giornale di grande rilievo all'epoca date le firme che vantava, vari libri: alcuni romanzi, uno di favole dedicato a me, una grammatica francese, uno studio sulla storia del ricamo, una ricerca su un'antica torre ischitana ed anche la sua autobiografia, scritta nei suoi ultimi anni di vita: Tavola Calda, che ho curato e fatto pubblicare tempo fa, e vari volumi di poesie, questa era la parola magica per lei, il suo rifugio, in certi momenti la sua salvezza.
Quando è morta mi ha lasciato tutte le sue carte scrivendomi di vedere se potevo fare qualcosa per il suo lavoro. Ma non sapevo cosa. Non avevo conoscenze, agganci in quel mondo.
Mia nonna e il suo lavoro comparivano su Internet con qualche scarna notizia e basta. Eppure aveva scritto per L'Ora, frequentato l'intelligentia del suo tempo, aveva tradotto Paul Valery con i complimenti dell'autore e, soprattutto, pubblicato alcuni romanzi, aveva scritto delle poesie molto belle, così ammirate da B. Croce che pagò la pubblicazione del suo primo libro, Alessandro Cutolo incluso una sua poesia in un'antologia e non fu l'unico caso.
La poesia non paga, si sa. Tutti ne scrivono pochi la leggono.
Comunque lei un nome in una ristretta  cerchia molto acculturata, lo aveva.
Andai dal famoso scrittore Michele Prisco, che le aveva fatto la prefazione dell'autobiografia. Un lungo pomeriggio di conversazione con lo scrittore e la sua proposta all'editore Rizzoli, mi pare, che non  volle saperne. E il libro stagnò ancora per un po'.
Poi l'ho pubblicato con una piccola casa editrice che non si faceva pagare se non dopo la vendita di un certo numero di libri.
 Il libro è corredato da una ricca documentazione con lettere di molti personaggi della cultura e della politica, poesie, fotografie, documenti vari.
La prima, bellissima, presentazione fu di Francesco Durante, un giornalista esperto di letteratura, in un giardino di Anacapri: davvero un bel momento. E poi Durante scrisse una bella recensione sul Corriere del Mezzogiorno, inserto del Corriere della Sera.
 Ma nonostante le varie presentazioni, tra le quali una ad Ischia, dove lei visse sia da ragazza sia in tarda età, e dove molti ancora la ricordano, non è certo diventata famosa, però….
Da quando ho cominciato ad occuparmi del suo lavoro qualcosa si è mosso. Una ragazza alla quale era stata assegnata una tesi universitaria sul poeta antisemita, venne a consultarmi e ci furono molte pagine su Maria e  ne parlò molto durante la discussione. I siti Internet su di lei, che inizialmente erano pochissimi, si sono moltiplicati, ho messo la sua storia e il suo lavoro su Wikipedia. Un professore ha scritto un libro sul poeta con quaranta pagine dedicate a lei, e poi un secondo libro sugli scrittori a Napoli nel '900 e ci sono settanta pagine su di lei. In Francia il suo nome compare in un dizionario letterario.
 Mi ha telefonato la direttrice della Biblioteca B. Croce:  una ragazza che conosce ha avuto la tesi di laurea su Maria Algranati e vuol venire a consultarmi.  Sono contenta. Qualcosa per lei l'ho fatta,  forse non molto, ma spero sia lo stesso contenta di me.
 
Tutte le notizie e la bibliografia su Maria Algranati sono su Wikipedia.
Tavola Calda è in E-BOOK su Internet. Molti siti di libri hanno suoi volumi.
Tavola Calda ed altri suoi libri sono in molte biblioteche italiane.
 


sabato 4 novembre 2017

Stefano Benazzo, grande fotografo di relitti.


        
Che la fotografia sia un'arte è ormai certo per tutti e altrettanto che un fotografo sia un artista. E Stefano Benazzo è un fotografo-artista.
In realtà Benazzo ha seguito la carriera diplomatica, è diventato infatti ambasciatore e fino a qualche anno fa esercitava il suo ruolo come rappresentante diplomatico del nostro paese in Bulgaria. Ma nonostante una carriera ed un lavoro così impegnativi Stefano coltivava delle passioni. Costruiva modellini di costruzioni: chiese, dalle forme inusuali perché raccontano l'architettura di paesi dell'est dell'Europa, a noi poco consueti. Architetture molto complesse tutte in legno che lui riproduceva in scala in modo perfetto. E poi anche navi, l'Amerigo Vespucci, la più bella nave del mondo, sin nei minimi particolari. E poi scolpiva, soprattutto il legno con morbide forme astratte. Mille interessi oltre il suo lavoro di diplomatico, ma sopra tutti la fotografia, la sua più grande passione. Appena aveva tempo, l'ambasciatore, si armava delle sue preziose macchine fotografiche e partiva per i luoghi più lontani del globo, ovunque si potessero fare fotografie particolari, interessanti.
Fotografava sabbie dalle strane forme ondulate, alberi, conchiglie, uccelli, paesaggi, raramente persone… e poi relitti di navi abbandonate. Foto bellissime per inquadrature, luci, avvolte in un silenzio palpabile. E pian piano le immagini dei relitti riempiono sempre più le sue pellicole, diventando protagoniste di quasi tutte le sue immagini.
Conclusa la carriera diplomatica nel 2012, finalmente Stefano può dedicarsi alla sua passione, che diventa la sua ragione di vita. E oltre che far fotografie, comincia anche a fare mostre del suo lavoro. Durante il periodo della carriera pubblica non ne ha mai fatte: non voleva profittare del suo ruolo istituzionale per avere successo. Adesso è diverso, è libero e può dedicarsi anima e corpo alla sua passione, alla sua vocazione. E nel giro di pochi anni il suo lavoro dà grandi frutti. Le sue opere non passano inosservate. E quei relitti di navi arrugginite, di barche sfondate, scorticate, che raccontano storie, drammi, fatica, dolore, sono memoria poetica del dramma di naufragi, di guerre, di fughe, di dismissioni dopo lunga attività, di storie di uomini che hanno sudato, penato, lottato su quelle navi che ora si disfano nei luoghi più strani, impensabili della Terra, attirano l'attenzione di un pubblico sempre più vasto, l'attenzione della stampa. Le sue fotografie diventano un oggetto d'arte, perché non sono semplici immagini più o meno piacevoli, tutt'altro, ma perché trasmettono emozioni, raccontano storie di vite, di uomini, di popoli, dando loro voce nel silenzio delle sue immagini. Proprio quello che deve fare l'arte.

sabato 9 settembre 2017

- Charlotte Salomon Vita? o Teatro? Grande Mostra a Milano nel centenario della sua nascita


   Libertà dipinta                 

 Charlotte Salomon nasce a Berlino nel 1917, da agiata famiglia borghese ebrea tedesca. Il padre era un chirurgo professore universitario, studioso e precursore della mastectomia e della mammografia. Eppure la tragedia segnò tutta la sua vita: la madre morì quando aveva nove anni e Charlotte solo anni dopo scoprì che si era suicidata, come altre donne della sua famiglia e lei stessa fu vittima di una forte depressione. Dotata per il disegno ebbe difficoltà a portare avanti i propri studi all'Accademia di Belle Arti di Berlino date le leggi razziali naziste, infatti unica allieva ebrea, ne fu poi cacciata.
Quando Charlotte aveva tredici anni il padre si risposò con una famosa cantante lirica che insegnò molto sulla musica a Charlotte. Il padre venne arrestato dopo la Notte dei Cristalli, liberato ma ormai senza lavoro sia lui che la moglie, fuggirono in Olanda. Frattanto i nonni materni avevano portato via Charlotte, prima in Italia e subito dopo in Francia, nella loro casa vicino Nizza.
A Nizza Charlotte salvò la nonna da un tentativo di suicido ed in questa occasione venne a sapere che anche la madre si era suicidata, come anche altre donne della famiglia. La nonna morì al secondo tentativo di suicidio e Charlotte ne restò sconvolta. Poi anche lei ed il nonno vennero arrestati ed internati. Liberati per le condizioni di salute del nonno, che infatti dopo poco morì, tornarono a Nizza. Qui Charlotte sposò un giovane pittore, Alexander Nagler, ma furono presto arrestati e deportati, traditi da un collaborazionista francese. Charlotte aspettava un figlio e pare che lo stesso giorno del suo arrivo ad Auschwitz, finì nella camera a gas. Era il 10 ottobre 1943.
Sia pur vissuta solo ventisei anni Charlotte ha lasciato una serie di ben 769 dipinti autobiografici intitolati: Vita? o Teatro?, nei quali unisce disegno, scrittura, musica, fumetto, in un linguaggio estremamente all'avanguardia per i suoi tempi. Complessivamente realizzò 1325 lavori a guazzo, testimonianza poetica non solo del proprio vissuto, ma di quello che andava accadendo intorno a lei, quindi testimonianza storica. E viene spontaneo il parallelo con Anna Frank.
La pittura fu per lei liberatoria e terapeutica per tutti i traumi subiti. Ma anche una ricerca per comprendere ciò che avveniva a lei ed intorno a lei.
Poco prima dell'arresto, Charlotte lasciò il proprio lavoro nelle mani di un amico, il dottor Moridis, medico di Villefranche sur Mer, con l'incarico di affidarlo ad Ottilie Moore, una ricca amica americana impegnata a salvare gli ebrei, che portò tutto con sé negli Stati Uniti. Alla fine della guerra, nel 1947, Ottilie consegnò le opere di Charlotte al padre che le conservò per dieci anni prima di decidere di farle esporre al Rijksmuseum di Amsterdam, dove ormai viveva e lavorava dalla fine della guerra. Le opere infine furono donate, in un Fondo a nome di Charlotte, al Jood Historisch Museo di Amsterdam.
Una grande mostra milanese nel marzo-giugno del 2017, le ha dato una giusta visibilità anche in Italia. In realtà su di lei sono stati scritti ben due libri: Charlotte, la morte e la fanciulla di B. Pedretti (curatore anche della Mostra milanese) per Skira e Charlotte di D. Faenkinosper per Mondadori.

MARESA SOTTILE
Articolo sul Mensile Albatros del mese di settembre 2017

giovedì 17 agosto 2017

Mary Granville Delany


Mary Granville Delany nacque a Coulston nel 1700 da una famiglia della buona società, imparentata anche con la nobiltà e con personaggi di un certo rilievo, sostenitori degli Stuart. Quando la famiglia si trasferì a Londra, Mary fu mandata a vivere a casa di una zia che non aveva figli, Lady Stanley, vicina alla corte. In questo periodo ebbe una buona preparazione culturale e conobbe il grande musicista Handel, col quale restò amica per tutta la vita. Mary era destinata a diventare dama di compagnia della regina Anna, ma la regina morì e le sue prospettive svanirono, inoltre la sua famiglia si trovò in difficoltà perché sul trono salì un Hannover. Maria durante la sua formazione si era interessata di botanica e di disegno e di rappresentare piante e fiori con carte colorate ritagliate. Questa tecnica molto particolare, anche se con caratteristiche e risultati diversi, l'aveva adottata in Olanda Joanna Koerten (1650-1715).
 La famiglia per questioni di interesse le fece sposare, lei diciassettenne, un ricco uomo politico sessantenne. Andati a vivere in un castello, lei fu impegnata a curare il marito, ma presto rientrarono a Londra, dove Mary ritrovò i suoi amici e lui si diede al bere e dopo qualche anno morì. Mary era libera ma senza molti mezzi perché il marito aveva sperperato quasi tutti i suoi averi. Però la vedovanza dava a Mary una libertà che il nubilato non le avrebbe concesso, permettendole di perseguire tutti i suoi interessi. In effetti non aveva né casa né mezzi economici, veniva ospitata da amici e parenti. Ospitata da un'amica, M. Bentinck, anche lei appassionata di botanica, insieme conobbero due importanti botanici, Joeph e Daniel Solander e questa conoscenza la fece ancor più appassionare allo studio delle piante e al suo lavoro di riproduzione di fiori e piante con la carta velina colorata a mano, che lei chiamava  'Paper Mosaiks'. Poi conobbe un pastore, il dottor Delany, con i suoi stessi interessi e lo sposò andando, dopo un anno, a vivere a Dublino dove il marito aveva una casa. Anche lui  era appassionato di botanica e le opere di Mary continuarono a trattarne. Morto il marito nel '68, Mary divise molto del suo tempo con un'amica, Letitia Bushe, che condivideva l'interesse per il mondo vegetale.
Il suo lavoro di riproduzione di fiori e piante con la carta velina colorata a mano, la occuparono per quasi diciotto anni fin quando non le venne meno la vista: aveva ottantotto anni. Questi lavori, raccolti in dieci volumi, oggi sono al British Museum, donati alla fine dell'800 da una sua erede.
 Re Giorgio III diede a Mary una casa a Windored, una pensione e Mary divenne amica della regina Charlotte e di parte della cerchia reale ed il re le faceva recapitare ogni pianta particolare o bella perché lei potesse raffigurarla.
Mary scrisse un'autobiografia lasciando una importante testimonianza di tutti i grandi personaggi che conobbe nella sua vita, ed un quadro della società del tempo, dei suoi usi e costumi. Morì a Windsor a ottantotto anni.
Una discendente scrisse su di lei un libro ripubblicato nel 2000: Mrs Delany e i suoi fiori.

martedì 6 giugno 2017

Fede Galizia,


Non  è certo il  luogo di nascita di Fede Galizia, Trento o Milano? 1578, figlia del pittore miniaturista e artigiano di oggetti di lusso Nunzio, che fu maestro della sua precoce attitudine, e inoltre, come d'uso al tempo, eseguì molte copie di opere di grandi artisti. A 12 anni era già a lavoro. Preferì restare nubile probabilmente per non rinunziare alla propria vocazione pittorica. Morì nel 1630 durante la peste di Milano raccontata nei Promessi Sposi dal Manzoni.
Come tutte le pittrici del passato iniziò come ritrattista, ma presto la sua fama le portò anche commissioni di altro genere quali tele di soggetto religioso e opere con soggetti mitologici. Dipinse anche molte bellissime nature morte, genere dimenticato per secoli e ripreso da pochi anni dal già famoso Caravaggio col giovanile 'Canestro di frutta', inizio di una serie infinita di pitture sul tema in tutta Europa. Lo storico dell'arte F: Caroli fa notare che “Il canestro di frutta” di Caravaggio restò un'opera in realtà unica e isolata di Caravaggio che non dipinse altre così dette 'nature morte' se non inserite in tele di altro argomento, e Ambrogio Figino, pittore milanese del tempo ne dipinse una già nel 1590, prima ancora di quella caravaggesca che è del 1599. La Galizia provò grande interesse per questo genere ed eseguì molte tele con splendide nature morte arricchite da oggetti di metallo e porcellana, contribuendo alla diffusione del genere in tutta Europa. Le nature morte, anche quella di Caravaggio, avevano spesso un significato simbolico religioso, perché fiori, frutti, insetti, oggetti possono avere significati che travalicano l'immagine apparente. Tutta la pittura ha significati nascosti in immagini simboliche. Grazie al collega Arcimboldi, anche lui operante a Milano, il suo lavoro fu conosciuto e ammirato alla corte di Rodolfo II a Praga.
A New York possiamo trovare un suo Canestro di frutta al Metropolitan Museum of Art e una 'Giuditta con la testa di Oloferne' al Ringling Museum of Art, a Milano al Museo di Brera un Noli me tangere e un altro nella chiesa di Santo Stefano, opere davvero tutte degne di tali luoghi. Fede Galizia, amata anche da Roberto Longhi, è un artista davvero notevole: non è solo padrona della tecnica,  le sue opere, sia le figurative che le nature morte, sono avvolte in un'atmosfera particolare, malinconica e riflessiva. Galizia osserva cose, persone con sincerità, ma trasfonde in esse un distacco melanconico, forse determinato dalla sua esperienza di donna dedita  all'arte e sola, probabilmente senza una propria vita  emozionale.
                                            Maresa Sottile

venerdì 5 maggio 2017

Leonora Carrington




Quest'anno cade il centenario della nascita di Leonora Carrington (1917-2011), di ricca famiglia inglese, bella e talentuosa nelle lettere e nella pittura. Leonora studiò presso scuole d'arte private a Londra e Firenze. Viaggiò molto ed il padre avrebbe voluto che si inserisse nella vita dell'alta società inglese, venne infatti anche presentata a corte, e non continuasse con le sue aspirazioni artistiche, mentre la madre supportò le sue inclinazioni. Leonora amava i surrealisti e dopo averne visto una mostra che la entusiasmò, ad una festa a Londra conobbe il suo artista preferito: Max Ernst, già famoso con ventisei anni più di lei e sposato con figli. Si innamorarono, lasciarono tutti e tutto e andarono a Parigi dove frequentarono tutto il gruppo di artisti e poeti surrealisti e non da Picasso ad Eluard, da Dalì a Man Ray. Però dopo poco  la coppia si trasferì nel Sud della Francia, dove Ernst comprerà una casa per viverci insieme,  e ne decorerà anche le pareti. Ma allo scoppio della II° Guerra Mondiale Max viene arrestato dai francesi perché tedesco, che lo internano in un campo dove Leonora lo va a trovare spesso e ne fa un ritratto divenuto famoso. Rilasciato dopo poco viene arrestato dai nazisti perché artista 'degenerato'. Tutto ciò creerà in Eleonora un crollo nervoso. Rimasta sola Leonora fuggirà in Spagna, con degli amici, per cercare di andare in America, ma le cedono di nuovo i nervi e finisce in una clinica psichiatrica gestita da un filonazista, dove riceve 'cure' violentissime. Riuscirà a fuggire e andrà in Portogallo dove un diplomatico messicano che conosce l'aiuterà e dopo poco lo sposerà per avere la cittadinanza messicana.
Ernst, liberato, torna a casa e non la trova, allora va a Nizza, dove ha amici, per cercare anche lui di fuggire dalla Francia e vi conosce Peggy Guggheneim, giovane miliardaria americana e pittrice anche lei.  E con lei va Lisbona, dove sperano di avere il visto per gli Stati Uniti. E a Lisbona rincontra Eleonora sposata, la loro storia è finita, ma lui pare l'abbia amata per tutta la vita, come disse Peggy dopo la loro separazione, e lei dichiarò sempre che fu lui il suo grande maestro.
  A New York Eleonora divorziò e partì per il Messico, dove avrebbe vissuto il resto della la vita, trovando un altro grande amore, il fotografo Chiki Weisz, col quale avrà due figli. Affascinata dalla nuova terra in cui vive  Leonora collabora alla realizzazione del Museo di Antropologia dei Maya, dove lascia un grande murales:  'Il magico mondo dei Maya'.
Sia la sua scrittura che la sua pittura furono surrealiste, fantasiose e oniriche, influenzate dalla cultura messicana, come quella della sua amica Frida Kalo,  dalle proprie origini 'celtiche', dalla cultura internazionale assimilata nei suoi viaggi e studi, dal suo 'maestro' Ernst.
Maresa Sottile
Questo articolo è pubblicato nel n.ro di maggio 2017 di Albatros Magazine 
 Maresa Sottile

sabato 29 aprile 2017

Sofonisba Anguissola


Sofonisba Anguissola (Cremona 1530/32- Palermo 1625) era di nobile famiglia Il padre faceva parte del governo cittadino quale Decurione per conto di Filippo II, la sua seconda moglie, Bianca Ponzoni, aveva amicizie di rilievo che certamente giovarono a Sofonisba. Il padre, vista l'attitudine per la pittura che le sue figlie avevano, decise di farle studiare. Sofonisba fu allieva di Bernardino Campi e, con le sorelle Lucia ed Elena, frequentò la sua bottega accompagnata da una domestica. E' questa una grande novità per il tempo ed indubbiamente il padre fu uomo molto comprensivo e lungimirante per l'epoca, agevolando la carriera artistica di Sofonisba. 
Donna di grande cultura, amica di molti artisti, Sofonisba viaggiò molto per il suo tempo lavorando in varie città. Divenuta dama di compagnia e molto amica di Elisabetta di Valois, quando questa  nel 1556 andò in Spagna essendo divenuto suo marito re Filippo II  di Spagna, Sofonisba  andò  con lei, divenendo ritrattista ufficiale  della famiglia reale fin quando, nel 1568, la regina Elisabetta morì.
Quando lasciò la corte, Filippo, che teneva molto a lei e avrebbe voluto che sposasse un nobile spagnolo, rimanendo così in Spagna, la dotò, anche perché i compensi di Sofonisba erano stati sempre inviati al padre. Ma Sofonisba scelse il marchese Fabrizio Moncada, nobile siciliano.
Nel 1573 troviamo Sofonisba  a Palermo,  dove continua a dipingere, ma nel '78 il marito, partito per la Spagna per rivendicare il vitalizio della moglie assegnatole dal re, morì in mare in circostanze non chiare per un assalto di pirati, e Sofonisba lasciò la Sicilia diretta a Genova.
Durante il viaggio, in una sosta a Livorno, conobbe il nobile Orazio Lomellini che sposò nel 1579.
Dopo un soggiorno di vari anni in Liguria, nel 1615 tornò a Palermo, dove il marito aveva anche lui interessi economici. Purtroppo problemi di vista  pian piano impedirono a Sofonisba di continuare a dipingere, ma ormai era  già divenuta molto famosa.
Alla corte spagnola la sostituì Van Dych che la volle conoscere, ma quando infine si recò da lei Sofonisba era ormai cieca e solo l'anno dopo morì. Van Dyck lodò molto le sue opere e la ritrasse anche.
Anche Michelangelo e Rubens ammirarono i suoi ritratti ed entrambi vollero conoscerla, e soprattutto Michelangelo ammirò la sua arte dopo aver visto suoi disegni inviategli dal padre di lei.
Di lei abbiamo molte opere sparse in vari musei del mondo, da Vienna a Milano, a Bergamo, a Napoli, a Madrid,  a Baltimora...
Il suo nome è uno dei pochi a godere di una discreta popolarità e fama ancora oggi.
Come quasi tutte le donne pittrici del passato, Sofonisma fece soprattutto ritratti, data l'impossibilità per una donna di studiare l'anatomia ed ora anche la prospettiva che permettevano un più vasto campo di soggetti pittorici. La Anguissola con il successo della sua carriera artistica rese meno difficile il percorso artistico di altre pittrici.
Anche la sorella più piccola di Sofonisba, Lucia Anguissola (1536/38-1565/68), fu una pittrice brava ed ammirata, ma morì piuttosto giovane e non ebbe e non ha avuto la notorietà della sorella. Anche lei dipinse molti ritratti. Il Vasari ammirò il suo lavoro che conobbe dopo la morte di lei. E' stato detto che avesse ancor più talento della sorella, ma la morte precoce non le fece completare il percorso artistico e superare la dimenticanza del tempo.
                               Maresa Sottile
    

mercoledì 8 marzo 2017

Il Gotico Italiano

Lo stile gotico è lo stile artistico diffusosi in tutta Europa nel XIV. Nasce in Francia da delle variazioni apportate a quello Romanico, nato, a sua volta, in Italia intorno al Mille e diffusosi con grande successo in quasi tutta Europa,
Il primo elemento a variare fu l'arco che da 'a tutto sesto' cioè semicircolare, divenne 'a sesto acuto', determinato dall'incrocio di tue archi a tutto sesto. Da qui le trasformazioni vennero man mano realizzandosi. Diventato più alto e snello l'arco a sesto acuto, anche i pilastri si allungarono per meglio rapportarsi agli archi, le volte a crociera adottarono anch'esse l'arco a sesto acuto, i pilastri divennero più complessi, 'pilastri a fascio', quindi tutto l'edificio crebbe in altezza e anche gli spioventi del tetto divennero più inclinati, dando maggior agio a pioggia e neve di scivolar via. Bisogna infatti considerare che il Gotico fu uno stile che ebbe molto successo nell'Europa del nord il cui clima è più rigido di quello italiano e per farvi entrare più luce vennero quasi abolite le pareti sostituite da grandi vetrate istoriate, cioè enormi finestre con vetri colorati che raffigurano scene religiose sostituendo gli affreschi parietali. A questo punto la struttura aveva bisogno di rafforzarsi: i soli pilastri non bastavano a sorreggere il peso, furono quindi usati i 'contrafforti', pilastri di rinforzo lungo le pareti esterne usati anche nello stile Romanico, dai quali una serie di semi-archi, 'archi rampanti', scaricavano il peso uno sull'altro. E su tutto una ricca decorazione scultorea, la nascita di 'pinnacoli', elementi decorativi verticali sui pilastri, spesso ricchi di bassorilievi e statue. Ed ecco sorgere in tutta Europa queste meraviglie dell'architettura gotica che ancora ammiriamo stupiti della loro altezza e dell'ardimento della loro architettura, delle geniali soluzioni adottate, dalle capacità tecnologiche. Chiese nate per esaltare la religiosità del tempo nell'aspirazione della ricerca di Dio.
Questo stile continuò per secoli ad abbellire le grandi città d'Europa, diventando col tempo 'gotico fiorito' o 'flammant', il cui nome viene dalle sue forme fiammeggianti e dalle sue ricche decorazioni.
In Italia, però, andò, diversamente. Anche noi nel XIV sec. costruimmo molte chiese, monasteri e palazzi in questo stile. Ma era uno stile lontano dalla nostra cultura, fu solo quasi una moda per noi e neppure molto seguita. Il nostro passato, la nostra cultura, che oltretutto variava da regione a regione, da città a città, influenzò le nostre scelte. Come era stato per il Romanico, anche il Gotico fu diversamente interpretato nei vari luoghi del nostro territorio. Per far comprendere questa diversità farò qualche esempio. Il Cimitero di Pisa, gotico, è ricoperto di marmo bianco e rosa, posto in strisce orizzontali, e credo che questa decorazione annulli gli effetti verticali, come nel Palazzo della Signoria a Venezia, più largo che alto, che su due colonnati sovrapposti a sesto acuto contrappone un muro pieno con rade e grandi finestre, smorzando qualsiasi senso di verticalità. Tutto è moderato, dall'altezza alla decorazione. O ancora San Francesco d'Assisi, disadorno, compatto, o i Duomi di Orvieto e Siena che lateralmente sono decorati con strisce bianche e nere, anche loro edifici romanici con un abito gotico...
Vi è però anche il Duomo di Milano, tipico esempio di 'gotico fiorito', almeno per quel che riguarda ricchezza di archi rampanti, pinnacoli, decorazioni scultoree. Ma se lo si guarda bene vediamo una chiesa romanica con tetto a capanna. Insomma anche qui sulla sua struttura di tradizione italiana (romanica) è stata posta una ricca veste gotica, ma non il suo vero spirito, le sue motivazioni.
L'Italia ha un percorso di maturazione culturale che cambierà il suo stile di vita, le sue aspirazioni, la sua arte. Nasce l'Umanesimo, e sarà proprio in questo periodo che nascerà il nome 'gotico', cioè barbaro, dato allo stile trecentesco dai nuovi intellettuali italiani. Nasceranno capolavori come la Cappella dei Pazzi, la Cupola di S. Maria Novella….. un elenco lungo e ricco e il gotico non sarà che un ricordo, mentre lo spirito del gotico fiammante invaderà l'Europa. In Italia invece il gotico verrà dimenticato e addirittura chiese gotiche col tempo verranno trasformate in barocche (vedi a Napoli Santa Chiara, distrutta però dai bombardamenti, ricostruita sui pochi resti gotici). Lo stile gotico verrà ripreso col Neogotico nel XIX sec., che a turno riproporrà l'imitazione di tutti gli stili dal Neoclassico fino all'Ecclettismo che mescolava tutti gli stili, nell'incapacità di trovare un nuovo linguaggio per esprimersi, e non c'è nulla di peggio delle imitazioni. di Maresa Sottile

mercoledì 1 marzo 2017

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli


                       
Uno dei più importanti Musei di Napoli, insieme a quello di Capodimonte, è il Museo Nazionale, un enorme edificio in rosso pompeiano e grigio piperno che ne sottolinea piani, portoni e finestre. Conserva importanti collezioni d'arte, da quella Borghese a quella Farnese, da quella Pompeiana a quella Egizia - seconda solo a quella di Torino – e ad altre private molto importanti, per non parlare di quella dei reperti di pittura pompeiana unica al mondo. Il Museo raccoglie soprattutto opere di epoca romana ed è uno dei musei archeologici più importanti d'Italia se non il più importante.
Ma anche il palazzo stesso, che contiene questi tesori, ha una lunga e complessa storia. La costruzione dell'edificio, al tempo più piccolo, risale al 1585 e la sua destinazione era a 'caserma di cavalleria' sotto il vicerè duca di Ossuna. Poi nel 1610 il viceré conte di Lemos vi trasferì il Palazzo degli Studi, cioè l'Università, ma la cosa durò poco perché nel 1680 l'Università tornò nel sito precedente, cioè il convento di San Domenico Maggiore. Per un breve periodo l'edificio ospitò il tribunale, ma Carlo di Borbone nel 1735 incaricò il famoso architetto Giovanni Medrano dei lavori di ristrutturazione e vi ricollocò l'Università. Nel 1742 per volontà di Ferdinando IV furono ripresi i lavori di ampliamento dell'edificio da parte dell'architetto Ferdinando Sanfelice e nel 1777 fu definitivamente destinato a Museo Borbonico con la Collezione Farnese, e non solo. Nell'edificio furono ospitati anche la Biblioteca, la Stamperia Reale, la Società Reale di Scienze ed Arte, il Laboratorio di pietre dure e persino l'Accademia di Pittura, Scultura e Architettura.
Per realizzare questa sistemazione fu chiamato un altro importante architetto: Ferdinando Fuga, sostituito poi da Pompeo Schiantarelli perché le innovazioni del Fuga non piacquero, così lo Schiantarelli ripristinò il salone d'ingresso a tre navate e realizzò il grande scalone di ingresso all'esterno dell'edificio che ora si apre su Via Foria (l'ampia strada - creata dopo l'abbattimento di antiche mura e altri edifici - lungo cui c'è l'Orto Botanico e l'enorme edificio dell'Albergo dei Poveri di Ferdinando Fuga) mentre l'edificio in passato aveva un ingresso molto più modesto su Via S. Teresa degli Scalzi, la grande arteria che porta a Capodimonte e alla sua Reggia. Una stazione della Metropolitana (che è stata definita la più bella del mondo) si apre sotto lo scalone del Museo rendendo ancor più facile raggiungere il Museo. Inoltre lo Schiantarelli realizzò l'enorme e splendido Salone della Meridiana.
Gli ampliamenti previsti dell'edificio furono limitati per salvare la chiesa ed il convento dei Teresiniani. In ogni caso l'edificio fu molto ampliato ed è infatti molto grande. Le vicende continuano e sono complesse. Comunque la destinazione a Museo non è mai più cambiata. Nel corso dell'800 le varie istituzioni insediate nel palazzo cambiarono sede lasciando al Museo tutti gli spazi e furono eseguiti molti lavori di restauro e consolidamento. Da allora in poi sono state donate anche molte collezioni private arricchendo ulteriormente questo polo museale tra i più importanti del Paese.
Durante la II Guerra Mondiale il grande edificio fu nelle mire sia dei tedeschi sia degli alleati, ma il Sovrintendente Amedeo Maiuri, famoso archeologo, riuscì ad impedirne la requisizione e grazie a speciali segnali sul tetto fu evitato il bombardamento anche se non mancarono i danni.
Il Museo, purtroppo, non espone tutti i reperti che possiede, proprio per la loro copiosità e mancanza di spazio. Comunque contiene opere eccezionali di arte greca (anche in copie romane) e romane, molte delle meravigliose pitture e degli splendidi mosaici ritrovati a Pompei riempiono intere sale, tra questi il celeberrimo: La Battaglia di Isso, copia romana di un dipinto greco, prima attribuito al pittore greco Filosseno di Eretria, ma forse della pittrice greca Elena. E oltre i tanti altri reperti pompeiani anche molti provenienti da Cuma, Capua, Pozzuoli, Teano, Napoli stessa. Vi sono anche splendide collezione di ori e argenti dell'epoca.
Solo per fare qualche esempio, nelle sue sale si possono ammirare dalla copia romana del Doriforo di Policleto, ai Tirranicidi, al Toro Farnese, a Venere Callipige, a ritratti romani in marmo e bronzei, tra i quali quello di Seneca, a vasi greci… 
Da alcuni anni sono stati recuperati dei giardini interni su cui si aprono loggiati colonnati chiusi da vetrate che hanno creato nuovi spazi espositivi luminosi e piacevoli.
                                                                                                                       Maresa Sottile



venerdì 17 febbraio 2017

Edgar Degas, centenario della morte


                                        
Quest'anno cade il centenario della morte di Edgar Degas (1834/1917), uno dei grandi artisti tra '800 e '900 e tra i massimi esponenti dell'Impressionismo, il movimento artistico che rinnovò la pittura aprendo la strada ad una nuova concezione dell'arte pittorica L'Impressionismo fu un movimento quasi spontaneo in cui gli artisti portarono la pittura ad una nuova forma espressiva partendo dalla scoperta scientifica per la quale i colori si formano per associazione tra loro e che l'occhio umano li percepisce grazie alla luce, quindi la luce è l'elemento chiave: nasce così la pittura all'aria aperta, “en plein air” eseguita con pennellate veloci per non perdere la luce che cambiando cambierebbe anche i colori, senza la struttura del disegno di base. I paesaggi diventano i soggetti più amati e rappresentati.
Come tutti gli artisti nei primi anni Degas fa esperienza influenzato da ciò che altri hanno fatto, per poi trovare la propria strada.
Anche se diviene un importante rappresentante degli Impressionisti, i suoi soggetti sono spesso al chiuso: ritratti, scene di genere, cioè di vita quotidiana, il teatro e le ballerine, le corse dei cavalli. Inoltre in lui il disegno di base non scompare, anzi diviene elemento compositivo.
Degas amò soprattutto la pittura negli interni con scene domestiche, ritratti, le ballerine e il mondo del palcoscenico, che ebbero su di lui un fascino incredibile insieme a quello delle corse dei cavalli.  
Del gruppo degli impressionisti, ai suoi tempi, fu il più apprezzato da critica e pubblico, forse anche le sue origini di alta borghesia benestante lo aiutarono in ciò, comunque non mancarono critiche e perplessità sul suo lavoro da parte di pubblico e addetti. La cosa che lasciava perplessi erano i suoi soggetti: gente comune, per lo più lavoratori e lavoratrici, ambienti 'proletari'. Anche i suoi nudi, realizzati a pastello con grande perizia nel creare effetti di colore e di luce, sono piuttosto dissacranti: donne che si lavano, che si spogliano, lontane dal concetto di nudo del passato. Estemporaneità, contemporaneità e nessun tipo di idealizzazione e del bello, ma la semplice realtà del quotidiano. E le ballerine viste nelle pose anche più complesse, a volte quasi spiate dall'artista dietro il sipario o mentre si esercitano. Le ballerine gli ispirano anche una serie di sculture, opere che potremmo quasi definire, sia pure cum grano salis, il primo esempio delle attuali istallazioni. Questo perché sono di cera dipinta e Manet le veste con tulle, classico tessuto dei tutù, calze, scarpine e applica loro capelli veri. Alla sua morte verranno fuse in bronzo.
Degas ebbe, con Napoli e con l'Italia, un rapporto particolare. Il nonno paterno, un aristocratico fuggito dalla Francia durante la Rivoluzione Francese, sbarcò a Napoli, e diventato cittadino napoletano, quale un odierno rifugiato politico, 'borghesizzò' il proprio cognome e si diede ad attività bancarie che gli resero molto bene. Si stabilì vicino a piazza del Gesù nel palazzo Pignatelli di Monteleone, poi chiamato Palazzo Degas dai suoi nuovi abitanti, sposò un'italiana ed ebbe sette figli, quattro maschi e tre femmine. I maschi rientrarono in Francia, mentre le figlie sposarono degli aristocratici italiani. Il padre di Manet, Auguste ebbe a sua volta cinque figli di cui Edgar era il primogenito ed una sua sorella nacque proprio a Napoli. Edgar frequentò la città tanto da studiarvi e conoscere personaggi come Domenico Morelli; dalla città partì per il suo gran tour per l'Italia ed a Firenze eseguì una delle sue opere più famose: 'La famiglia Bellelli', cioè sua zia Laura col marito e le loro due figlie, che lì vivevano. Il rapporto di Degas con Napoli continuò nel tempo per poter badare ai propri interessi anche dopo la morte del nonno, dato che vi erano contrasti con la famiglia su questioni economiche. Le sue visite in città continuarono negli anni fin quasi alla sua morte perché, divenuto quasi cieco e non potendo più lavorare, le sue condizioni economiche non erano molto floride, e non poteva rinunciare agli interessi che aveva in città.
Il popolo ha sempre chiamato Palazzo Degas: 'il Palazzo del gas' e così è conosciuto ancora oggi da molti.
                                  Maresa Sottile

mercoledì 8 febbraio 2017

Lavinia Teerlinc alla corte di Londra


Lavinia Teerlinc, nata Bruges (Belgio) 1510/20-1576. Figlia di Simon Bening o Benninc, veniva da una famiglia di famosi miniaturisti. Prima figlia di cinque femmine, il padre vide forse in lei il maschio che non aveva e la iniziò all'arte della miniatura. Così Lavinia lavorò col padre. Nel 1545, con il marito inglese George Teerlinc, si trasferì in Inghilterra a Blankenberge dove fu anche allieva di un famoso orafo e miniaturista: Nicholas Hilliard e certamente dovette farsi un nome se fu invitata da Enrico VIII quale pittrice di corte a sostituire Hans Holbein il Giovane venuto a mancare. Si trasferì, quindi a Londra con il marito, e andò a lavorare alla corte di Edoardo VI quale pittrice di corte, dove venne pagata con uno 'stipendio' superiore a quello percepito a suo tempo da Holbein il Giovane, anch'egli pittore di corte. Lavorò quindi sotto Edoardo VI, Maria I ed Elisabetta I, i tre figli di Enrico VI, succedutisi sul trono inglese. Delle due regine fu anche dama di corte, come era usanza per le pittrici assunte dalle corti. Quale ritrattista e miniaturista, ritrasse gran parte delle gentildonne e gentiluomini del tempo. La Teerlinc rimase in Inghilterra sino alla morte, e tutta la vita ricevè il pagamento reale e ricchi doni.
 Bisogna dire che in Inghilterra era il ritratto l'argomento pittorico di maggior interesse e che al tempo né la pittura religiosa né quella mitologica interessava molto la committenza della Gran Bretagna.
Naturalmente restano miniature e ritratti delle due regine da lei eseguiti. Fu inoltre suo, pare, il disegno del primo sigillo che Elisabetta usò, che però era stato disegnato e fatto per la regina Maria. Molte delle sue opere non sono conosciute o a lei attribuite perché non le firmava e soprattutto perché frutto di committenza privata e non erano quindi di pubblico dominio. Anche se la sua fu una carriera quasi 'maschile' perché retribuita a lei personalmente, cosa che non sempre avveniva, è ancora non del tutto nota. Le molte opere giunte a noi, soprattutto ritratti, non sempre sono certe nell'attribuzione perché ancora il suo lavoro è poco studiato.
                                                   Maresa Sottile

mercoledì 1 febbraio 2017

Il Museo Correale di Sorrento Un incanto tra verde e mare

Bisogna dare onore al merito, l'aristocrazia e la Chiesa, quelle che nel passato in effetti hanno detenuto il potere, nel bene e nel male, e hanno preso a larghe mani, (e la parte di loro che è sopravvissuta, forma ancora oggi una elite privilegiata), hanno anche lasciato molto. Ad esse dobbiamo gran parte del nostro patrimonio artistico. In effetti chi deteneva il potere era anche mecenate e collezionista e ha lasciato al paese: castelli, palazzi, ville, musei colmi di opere artistiche. Cosa che i miliardari di oggi non fanno. E i musei sono nati così. Re Tolomeo I creò quello d'Alessandria d'Egitto che fu il primo museo, anche se non era inteso proprio come lo intendiamo noi. Dai Musei Vaticani agli Uffizi al Museo di Villa Borghese a quello di Capodimonte e tutti gli altri nascono da un nucleo di opere di qualche nobile ricco e potente mecenate-collezionista, al quale nel tempo si sono aggiunte donazioni e acquisizioni. E così è stato, naturalmente, anche per il Museo Correale di Sorrento, Museo giustamente piuttosto famoso sia per ciò che contiene sia per la sua posizione: è immerso in un aranceto e ha un panorama splendido. La famiglia Correale ha una storia antica intrecciata con quella di Sorrento e del suo territorio. Nel 1535 Onofrio Correale sposa Ippolita de Rossi, sorella della madre di Torquato Tasso. Nel '700 Pompeo Correale acquista dei vasti terreni ad aranceto e si fa costruire dall'architetto reale G.B. Nauclerio una villa-palazzo. I suoi discendenti Alfredo e Pompeo all'inizio del '900, essendo senza eredi diretti, creano una Fondazione, che poi approvata dalla Giunta della città trasformerà la loro proprietà e le collezioni che contiene in Museo, che si arricchirà nel tempo con donazioni da altre famiglie nobili. Il Museo fu inaugurato nel '24 dall'allora Ministro della P.I. Giovanni Gentile. Durante la II° Guerra Mondiale fu requisita dagli alleati e fu riaperta dopo lavori per i danni subiti nel '53. Tra restauri e riorganizzazioni varie il Museo, che è privato, è diventato una perla della città. Interessante e anche affascinante il giro per i tre piani del Museo, bella la salita per lo scalone che ad ogni ballatoio incornicia con un grande arco un luminoso panorama di verde, di mare, del Golfo di Napoli, incantevole e rilassante la passeggiata nel giardino che termina con uno spettacolare ed ampissimo Belvedere a strapiombo sul mare che domina tutto il Golfo, compresa la stessa Costiera Sorrentina. Nella nostra regione non è l'unico Museo il cui edificio è già di per sé un luogo incantato circondato dal verde e con un panorama spettacolare. Basti ricordare, giusto per restare in zona, i Musei di Napoli, da Capodimonte, a Sant'Elmo, alla Floridiana. Era tanto che volevo fare questa visita, ma quando le cose sono troppo vicine finiamo col non andarci. Finalmente ce l'ho fatta e ho trascorso una gratificante mattina tra bellissimi mobili antichi e oggetti di pregiati legni lavorati a intarsio da grandi ebanisti sorrentini del passato, oggetti antichi lavorati con un gusto e una perizia che non esistono più, reperti archeologici di varie epoche, anche la base egizia di un monumento al faraone Sete I del 1300-1200 a.C., antiche macchine fotografiche, orologi, libri in antiche e rare edizioni tra i quali quelli del Tasso ovviamente, ceramiche di più parti d'Italia, porcellane di Capodimonte, Meissen, Sèvres..., tele del '600, '700 e '800 di autori famosi, da Artemisia Gentileschi a Bernardo Cavallino, da Lanfranco a Micco Spadaro, da Pitloo a G. Gigante. Scene sacre, ritratti, paesaggi, nature morte. C'è 'L'uva cornicella' di G.B. Puoppolo che a guardala si sente il suo sapore dolce e di sole in bocca, una Madonna che allatta così vera e materna come non se ne trovano molte. C'è un Albero Genealogico della Famiglia Correale su un albero dal tronco obliquo in un paesaggio un po' misterioso. E un'affascinante tavola dipinta da F. Celebrano con il gioco del Biribisso. Una Sala degli Specchi con delicati ialini lampadari di Murano. In un luminoso salone ricavato nel sottotetto vetrine piene di preziose porcellane e ceramiche di ogni provenienza e di ogni forma. Ogni pezzo un gioiello e ci vuole davvero molto tempo per goderseli tutti. E poi ci sono lo scalone, il giardino e il panorama a completare il piacere di questa visita, che immerge in un mondo silenzioso e incantato che unisce l'armonia dell'opera di artisti sensibili e quella di una natura luminosa e fertile.
                                                     Maresa Sottile