Che cosa inutile l'ARTE e la sua storia!
Mi sento un dinosauro, non perché sia più o meno vecchia, ma perché ho studiato e studio ancora storia dell'arte, materia eliminata dalle scuole superiori come lo fu la bella calligrafia un tempo: qualcosa di inutile e superfluo.
Nel paese con il più ricco e importante patrimonio artistico del mondo, portatrice della cultura classica, patria dei massimi geni dell'arte, viene eliminata la storia dell'arte come un inutile perdita di tempo per gli studenti, e mi sembra proprio giusto. Chi se ne frega dell'arte coi problemi che abbiamo. Già, perché noi italiani siamo così disinteressati ai nostri tesori e così possiamo dimostrare quanto poco “venali” siamo. Cos'è mai questo attaccamento alle cose che valgono!
Questo spirito ci appartiene da molto tempo, furono infatti soprattutto storici dell'arte stranieri a parlare dei nostri tesori e a valorizzarli, vedi il Rinascimento: lo riportò in auge un tale Berenson, americano, che ci fece capire che l'Italia, e Firenze in particolare, erano le culle delle arti figurative.
Che c'importa che i turisti vengono in questo paese a vedere monumenti e musei, roba da perditempo. Chissà che ci trovano in quella roba vecchia?! Pensate un po', potrebbero andare anche in altre città oltre Roma, Firenze e Venezia, perché ogni città, paese, borgo, dico ogni, potrebbe essere visitato da quegli sciocchi turisti perditempo, perché, ahimè, ci sono opere d'arte dappertutto. Roba da matti! E a noi che ce ne importa? Così continuiamo la nostra saggia strategia di abbandono, chiusura di siti e musei per mancanza di personale e mancanza di manutenzione e restauro. E continuiamo a disacculturare (esisterà questo termine? Beh, ci pensiamo noi ad inserirlo in un nuovo vocabolario più moderno e realistico) le nuove generazioni, tanto anche le precedenti non è che fossero molto acculturate in merito grazie a programmi ed orari disdicevoli. Evviva!
Manca il lavoro, abbiamo una crisi economica alle stelle, figurarsi se possiamo valorizzare siti artistici e naturali, che stupidaggine. Abbiamo un paesaggio che comprende di tutto, dalle alte vette al mare, dai laghi ai fiumi, dalle colline alle pianure, una varietà esagerata, così abbiamo deciso che era troppo bello questo Paese e abbiamo costruito in riva al mare spezzando e distruggendo paesaggi bellissimi che non servivano a niente, e così via, inquinando campagne, fiumi, laghi, tutta roba inutile, con i problemi che abbiamo queste cose sono veramente inutili. La cultura non fa mangiare, come disse più o meno, un sagace uomo politico, economista. Pensavo che per diventare economista si dovesse studiare, acculturarsi, come credevo che la cultura fosse un qualcosa a largo spettro. Ma come sono sciocca. Devo cambiare tutti i miei parametri e arrendermi alla realtà, ma che ne faccio di tutti quei libri che ho, soldi buttati, e chi se li compra? Ne farò un falò come in Fahrenheit 451.
Maresa Sottile
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domenica 20 ottobre 2013
lunedì 19 agosto 2013
GIANNI PISANI Maestro del colore
Gianni Pisani è uno di quegli artisti che nel panorama dell'arte ha un posto a sé. La sua opera è un discorso personalissimo, di grande impatto visivo ed emotivo.
Durante una fortunata carriera artistica iniziata da giovanissimo, ricca di soddisfazioni, nella quale ha avuto molti riconoscimenti: ha insegnato a Brera, ha diretto l'Accademia di Belle Arti di Napoli per 14 anni, organizzando mostre in città di grandi artisti da O. Dix a Man Ray a Duchamp, a Capogrossi, Pistoletto...., partecipato a mostre in tutto il mondo, sala alla Biennale di Venezia, vinto premi e i più importanti critici e storici dell'arte (G. Dorfles, C. Argan, R. Causa, L. Vergine, E. Sanguineti, A. Bonito Oliva, E. Evtusenko, N. Spinosa, F. Bologna e tanti tanti altri non meno importanti), hanno studiato e apprezzato il suo lavoro, Pisani ha portato avanti la sua vocazione, senza mai fermarsi, perché lui vive per dipingere, e credo che non abbia mai avuto una crisi creativa.
Pisani ha perseguito la vocazione artistica come qualcuno che alla base non può farne a meno e non può fare altro. Infatti parla della sua attitudine (o talento) come di un “difetto”, rifacendosi ad un problema avuto da ragazzo che mise in evidenza un difetto congenito al cuore, che però non gli avrebbe creato alcun problema, come diagnosticò il famoso cardiologo Dogliotti.
Questo suo “difetto” fu l'ispiratore del suo “Letto disfatto”, oggi esposto al Museo di Capodimonte, dando inizio al periodo 'oggettuale' in cui usò metallo e plastica.
Ma dopo periodi fra pop arte e oggettualità, nei quali fece anche molto parlare di sé, è ritornato al suo grande amore: la pittura. Pisani è un narratore: di fatti, emozioni, paure, rabbie, fobie, gioie. Invece delle parole usa forme e colori, soprattutto colori. Una pittura che Gillo Dorfles ha definito espressionista e surreale. Credo che sia la definizione più centrata della pittura di Pisani. Pisani è napoletano ed il suo colore è sovente vivace, solare, ma ha anche un lato drammatico, per lo più arrabbiato, spesso furioso, e allora il suo colore diviene buio, cupo, senza speranza, da horror.
Pisani parla della sua vita, delle sue esperienze, della sua infanzia, del suo primo dolore e della sua ultima disillusione, di ciò che ama e di ciò che aborre. Ha molto amato sua madre e ne ha parlato quando ha dipinto la Madonna della Sanità, in questa chiesa appunto, opera nella quale ha messo anche uno dei suoi amati gatti. Ne ha tre di gatti e spesso compaiono nelle sue opere. Ha raccontato di suo figlio, di sua moglie con una serie di tele ispirate a lei: Marianna. Ama suo padre (ha dedicato anche a lui una serie ed un libro), la sua città, il mare, gli uccelli, Capri, e sono tutti nelle sue opere. Odia chi tradisce l'amicizia, odia chi non ama l'arte, odia chi tradisce la propria vocazione per venalità, e allora si incupisce, diventa polemico, anche violento nelle sue immagini. Il suo racconto non può esaurirsi in un'opera, ha bisogno di riempire tele e tele, perché sono argomenti che non si possono concludere con un discorsetto. La sua pittura, nel racconto dei suoi sentimenti, sensazioni, accadimenti riempie tele a volte enormi, altre piccole, e urla, altre narra pacatamente, altre è delicatamente lirica.
Ampie campiture di colore, immagini informalmente-realistiche o realisticamente-informali, traversate da scritte, alle volte anche lunghe che si articolano per tutta l'opera diventandone elemento pittorico oltre che narrativo. Opere che hanno un imprinting inconfondibile, un linguaggio unico, eppure non statico o ripetitivo, un 'Pisani' lo si riconosce subito, dote che hanno le opere dei veri artisti. E che Gianni Pisani lo sia è incontrovertibile.
Man mano che scrivo questo pezzo mi rendo conto che non si può esaurire in poco più di una paginetta l'opera di un artista, meno che mai di un artista con un talento così ricco anche di sfumature ed curriculum così variegato e complesso come quello di Pisani. Ma su un blog non ci si può dilungare troppo, al lettore cala l'attenzione se il pezzo è troppo lungo, anche perché leggere sul pc è più faticoso che leggere la carta stampata. Magari un'altra volta ne riparlerò.
Maresa Sottile
Maresa Sottile
giovedì 15 agosto 2013
TRA SOGNO E MITO (trascrizione dell'articolo del gennaio 2013 sul mensile Albatros)
Marisa Ciardiello ha scelto un mondo espressivo difficile,la scultura, per esplicare le proprie doti artistiche, segno di una reale vocazione d'arte che non si ferma davanti a nulla. La Ciardiello ha una lunga carriera alle spalle ed una seria preparazione tra Liceo Artistico e Accademia di Belle Arti alla scuola di scultura di Emilio Greco, negli 'anni d'oro' pieni di fermenti e grandi personalità, vissuti all'Accademia di Belle Arti di Napoli.
Pur avendo partecipato a molte mostre, esposto in molte personali e vinto molti premi, come tante donne artiste in ogni campo, non ha avuto vita facile. Eppure è andata avanti con la sua vocazione e il suo discorso artistico molto personale. La Mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, conclusasi con successo lo scorso 3 dicembre, comprende per lo più piccole sculture in rame e bronzo, trattato come creta con una tecnica che lascia l'opera non compiuta, in un 'non finito' che spesso si conclude con uno o più riccioli di grande espressività anche estetica, e con dei piani ondulati che tormentano le lisce superfici. In questi corpi sdraiati, in piedi, qualche volta in strane pose, a volte dinamici nelle forme, si legge il segno fisico, di quello che il dolore fa al nostro essere, alla nostra anima. Nelle teste, le bocche quasi sempre aperte in un silenzioso urlo, parlano del dolore, che spesso devasta l'essere umano, quello creato, nel mito, da Prometeo. Persino i corpi degli animali, che a volte sono affiancati a quelli umani, condividono questo destino di dolore e sofferenza che devasta i loro corpi. Le opere della Ciardiello sono opere di grande modernità espressiva e nel contempo fanno pensare alla statuaria del periodo ellenistico della scultura greca e addirittura a certi casi di quella preistorica, che sono certamente i più vicini all'espressività e al linguaggio dell'arte contemporanea, nella quale la nostra cultura millenaria è rifiutata, pur lasciando una sua impronta, per un linguaggio concettuale e simbolicamente astratto, spesso disperato. In mostra anche molti splendidi disegni: nudi e volti in carboncino nero e graffi di sanguigna, che confermano la sua solida preparazione e la vocazione artistica, oltre alla forte espressività, sempre tormentata e dolorosa, delle sue opere.
Maresa Sottile
Le fotografie sono di Maresa Sottile
Maresa Sottile
Le fotografie sono di Maresa Sottile
sabato 10 agosto 2013
SOLARIS al secolo Giancarlo Ianuario un originale ceramista
Solaris, al secolo Giancarlo Ianuario, è un personaggio singolare. Ha studiato materie artistiche ma è laureato in psicologia. Predilige la ceramica e ha studiato la tecnica giapponese del raku. Una tecnica che ha a che fare col fuoco e che crea degli effetti affascinanti sul colore, effetti che Solaris conosce, ma che hanno sempre un margine di imponderabilità, e credo sia questo che affascini lo stesso autore.
La ceramica è una delle attività umane più antiche, direi primordiali. Con essa l'uomo realizzò manufatti di utilità, ma quasi sempre sentì il bisogno di rendere quei manufatti 'gradevoli' decorandoli. La storia della ceramica è lunga quanto la stessa storia dell'umanità e nel tempo ha toccato punte di alta espressività. Gli artisti, da sempre, hanno creato opere splendide con questo materiale e con le varie tecniche che man mano si sono realizzate. Ci sono musei dedicati solo alla ceramica ed in uno dei più prestigiosi Solaris è stato invitato ad esporre la sua opera: quello di Faenza, indubbiamente uno dei più importanti che esistono, così ora l'opera di Solaris è accanto a quelle di grandi artisti, a volte meno noti altre famosissimi, come Della Robbia o Picasso.
Solaris appare un artista visionario e la sua visionarietà è stata nutrita dai suoi interessi antropologici, la sua visionorietà è il risultato di un mondo culturale non molto noto ai più, che per questo fa apparire le sue opere a volte mitologiche e fiabesche, cariche di misteriosi messaggi. Cosa che la tecnica del raku, da lui prediletta, accentua. Ianuario ama la materia e con la più modesta: la creta, crea le sue opere che parlano certamente di mito, antico e futuristico, le immagini che realizza possono essere divinità ancestrali, e, nel contempo, aliene.
Pensandoci bene Solaris è uno scultore che usa la ceramica. Le sue opere sono vere e proprie sculture, legate alla forma nello spazio nel quale si formano e si muovono con i loro pieni un po' 'agitati', e che si impongono con i propri volumi al vuoto circostante. E ha scelto la ceramica perché gli permette di usare anche il colore, come fanno i pittori. Tra l'altro bisogna dire che il colore ha fatto parte della scultura: colorate erano le antiche statue greche, romane e quelle policrome di legno nel Medioevo. Quindi è naturale che anche uno scultore sia intrigato dal colore. Ed è certo il colore una parte del fascino delle opere di Solaris. Un colore che ha effetti quasi metallici e variazioni sottili che danno risalto particolare ai volumi, agli incavi, alle fratture, al racconto delle opere di Solaris.
Di certo gli studi di psicologia ed antropologia dell'autore hanno un loro peso nella visione artistica di Solaris: le sue immagini sono antiche e moderne nel contempo, figurative e informali, realistiche e surreali, spesso enigmatiche. Ci partecipano bellezza e armonia, ma nel contempo hanno un che di misterioso e oscuro.
Maresa Sottile
Maresa Sottile
venerdì 2 agosto 2013
Luigi Mazzellla Passionario della scultura
Lo studio di Luigi Mazzella è un luogo davvero particolare. Sito in una villa storica del Vomero, Villa Hass, è molto vasto, dai soffitti voltati, tutto bianco. Lo ha ereditato dal suo Maestro, lo scultore Tomai, personaggio singolare e affascinante di gaudente gentiluomo-artista.
Luigi nasce, si potrebbe dire, predestinato. La sua è una famiglia di artisti. Suo padre dipinge, e i suoi due fratelli Rosario ed Elio dipingono anche loro. Luigi, invece, sin da ragazzino è affascinato dalla materia e dalla sua lavorazione: pietra, legno, ma soprattutto metalli. Luigi fa la scelta più difficile: la scultura è un'arte faticosa, costosa e di difficile interesse e comprensione da parte degli acquirenti. Ma Luigi è affascinato dai materiali solidi e dalla loro lavorazione per quanto complessa e faticosa possa essere.
Luigi è diverso dal suo Maestro, del quale ancora parla come di un personaggio unico e che ancora ammira e al quale è ancora grato. Ennio Tomai, stravagante viveur giramondo che un bel giorno si è fermato a Napoli, lo prese sotto la sua ala. Parola opportuna perché Tomai era appassionato di ornitologia e il suo studio era diventato il rifugio degli uccelli della zona. E Luigi è stato 'contaminato' dall'amore per i volatili, anche per lui diventano soggetti di studio e protagonisti di molte opere. Ma c'è qualcosa di più. Gli uccelli, il loro volo hanno influenzato molto l'opera di Luigi Mazzella. Le superfici delle sue opere, anche quando non rappresentano i volatili, vibrano nell'aria e nello spazio come le ali degli uccelli. Tutta l'opera di Mazzella vibra nell'aria e vi si espande nella ricerca di spazio e movimento.
Dicevo che Luigi Mazzella ama la materia, ama i metalli, e loro lo ricambiano, rispondendo al suo amore con risultati affascinanti. La materia lavorata da Mazzella prende vita, si muove nello spazio. Il gioco delle forme, delle luci e delle ombre, è sapiente, frutto di una personalità artistica che ha percorso la sua strada con cognizioni ed esperienze culturali e tecniche di grande spessore. Ma nel contempo ha tutto filtrato con la sua creatività e talento che gli ha permesso di creare un linguaggio personale, che rende le sue opere subito riconoscibili.
Da sempre l'umanità ha cercato di modellare creta, pietra, metalli. E' un valore ancestrale che nel tempo si è raffinato raggiungendo alti valori artistici, e a ciò contribuisce anche Mazzella con le sue opere nelle quali esprime il suo spirito, la sua ricerca di libertà, di equilibrio, la sua fantasia che insegue il volo degli uccelli, il volo della sua anima nello spazio alla ricerca della 'forma', quella che esprima la sua ricerca, il suo anelito, il suo spirito.
E' un uomo semplice e alla mano, Luigi, gentile e a volte un po' svagato. No, non è svagato, quando lo sembra, certamente, sta seguendo un suo pensiero su qualche opera che sta realizzando o che realizzerà.
La prima volta che Luigi Mazzella mi fu presentato fu durante una sua grande mostra a Villa Pignatelli nel giugno 1983, un vero evento. Luigi aveva tutte le carte e gli appoggi: di lui era entusiasta Palma Bucarelli e di lui scrivevano Carlo Argan, Carlo Munari, Carlo Levi, Dino Buzzati, Marcello Venturoli, Luigi Compagnoni, Carlo Barbieri e tanti tanti altri. Ha fatto mostre in tutt'Italia e sue opere sono un po' dovunque. Ma come altri artisti napoletani, Luigi non volle allontanarsi dalla sua città, da Napoli. Sono certa che se Luigi fosse andato via oggi il suo nome avrebbe una risonanza molto maggiore, perché è davvero un artista ricco di talento e di amore per quello che fa.
Maresa Sottile
Maresa Sottile
domenica 12 maggio 2013
Helmut Newton, grande fotografo di moda e artista per caso
Il fotografo Helmut Newton, ebreo tedesco, nel ’36, a soli 16 anni, inizia a lavorare nell’atelier della fotografa di moda Yva (Elsa Simon). Nel ’38 lascia la Germania per le persecuzioni in atto. Newton muore nel 2004 per un incidente d’auto, dopo aver donato a una fondazione di Berlino il suo archivio fotografico.
E’ stato uno dei grandi fotografi di moda del ’900, ha lavorato per le maggiori riviste del settore, davanti al suo obiettivo hanno posato grandi dive dalla Gardner alla Deneuve, alla Naomi Campbel, alla Weaver, alla Foster…grandi personaggi dalla Thatcher a Helmut Kohl. nel 2006 vi è stata una grande mostra nel Palazzo Reale di Milano, curata dall’Assessorato alla Cultura in collaborazione con la moglie di Newton, June, sua modella e ispiratrice con il nome di Alice Springs. Protagoniste delle fotografie di Newton sono le donne, quasi sempre belle, nude, provocanti, alle volte quasi imbarazzanti se non ci fosse un filo di ironia che percorre questi scatti così “organizzati” e patinati anche quando rasentano l’osceno. Ma Newton fotografava di tutto, donne nude in tutte le pose e situazioni, e lo affascinavano il mare, calmo o burrascoso, e i paesaggi, anche quelli fuori delle finestre dei grandi alberghi in cui soggiorna a Venezia, Roma, Montecarlo, New York…Ma non credeva che ciò interessasse a qualcuno, cioè non credeva che qualcuno potesse considerarlo al di fuori del suo lavoro nella moda. Invece i suoi agenti, viste le immagini che aveva scattate per anni, vollero farne una mostra, anche se lui non pensava che un fotografo fosse un artista, e che lo fosse lui in particolare. Ma pubblico e critici la pensarono diversamente. E questo successo dura dagli anni Sessanta.
Le donne sono certo il motivo dominante delle immagini di Newton, e sono emancipate, senza vergogna del loro essere donna, nude e indifferenti a sguardi estranei. Certo che questi scatti abbiano provocato ‘scandalo’ per la crudezza del linguaggio tagliente, gli atteggiamenti esibizionisti delle donne davanti alla macchina fotografica che pure le ritraggono così intimamente, e quei tocchi sado-maso, costruiti, provocatori. Comunque immagini intriganti, piene di mistero, che alludono ad un mondo particolare, lussuoso, ma senza sorriso nonostante tutte le promesse di piacere di ogni tipo. Immagini ingrandite enormemente e montate su pannelli luminosi nel buio di sale rigorosamente rivestite di nero. Vi sono anche varie immagini a colore, ma certo le più belle sono quelle in bianco e nero: magnifiche quelle del mare.
Maresa Sottile
sabato 11 maggio 2013
La Floridiana: la villa , il parco e il museo
Napoli dalla sua nascita si è sviluppata lungo il mare, e la collina, che oggi è il Vomero, è rimasta per secoli campagna e boschi, tranne che dal medioevo per l'eremo di San Martino e Castel Sant'Elmo. Case coloniche qua e là che nel tempo formano piccoli borghi. Difficile anche i collegamenti con la città, forse per questo ancora oggi i vomeresi dicono “...giù Napoli” come si trattasse di un'altra città. Nel tempo i ricchi proprietari di quelle terre cominciarono a costruirsi delle dimore per trascorrervi l'estate, di cui oggi non resta che qualche frammento qua e là. Nel '700 e al Vomero nella bella stagione si vengono a fare scampagnate, tanto che un edificio che era stato luogo di preghiera di frati della provincia, poi donata ai frati di San Martino, viene trasformata in caffehaus, cioè in luogo di riposo e ristoro nel verde per i gitanti.
Napoli, per la sua bellezza, la sua storia, la sua cultura, era meta di stranieri e molti di loro vi si fermavano a lungo o addirittura per sempre, come testimoniano i tanti cognomi stranieri in città, incantati dalla bellezza dei luoghi. Fu così che il cavaliere De Cherveaux acquistò una delle masserie del Vomero e la trasformò in una bella villa che poi vendette all'odiato capo della polizia borbonica Saliceti che la comprò per donarla alla figlia, che andata sposa al principe Caracciolo di Torella, dopo poco morì. Il vedovo rivendette la villa a Ferdinando di Borbone. Questi era rientrato in città dall'esilio siciliano, durante il quale era rimasto vedovo di Maria Carolina e quasi subito sposato, con nozze morganatiche, Lucia Migliaccio Grifeo Partanna duchessa di Floridia. Non potendo vivere a corte la moglie abitava in un palazzo a Piazza dei Martiri, Palazzo Partanna appunto, ma il re voleva per lei una dimora adeguata. Acquistò inoltre la vicina caffehaus ed incaricò il massimo architetto del tempo Antonio Niccolini della ristrutturazione dei due edifici e dell'unione delle due proprietà divise da un vallone. Niccolini unì le proprietà con un ponte, ristrutturò le ville nello stile neoclassico in voga, curò la sistemazione del parco con l'allora direttore dell'Orto Botanico Denhart con 150 qualità di piante esotiche, finti ruderi, il Teatrino della Verzura, il Belvedere circolare, statue, gabbie per animali feroci donati dagli inglesi al re, fontane. L'architetto Niccolini era il più famoso architetto della città. Toscano, lavorò in quasi tutta Italia ma si fermò poi a Napoli dove costruì molte ville e lavorò anche al Teatro San Carlo. Bella e splendidamente inserita è la scalinata che dalla facciata verso il golfo, scende nel giardino con andamento curvilineo e fontane sui 'ballatoi' tra le rampe, l'edificio è lineare con le decorazioni architettoniche come lesene, capitelli e frontoni quasi 'disegnati' sui muri. Le superfici sono lineari e piane aperte verso la luce che le inonda.
La caffehaus, divenuta Villa Lucia, dove la duchessa risiedeva, in stile pompeiano, è oggi un condominio privato difficilmente visitabile, perché alla morte di Lucia fu ereditata dai suoi figli avuti dal precedente matrimonio e venduta a privati con più passaggi di mano.
La Floridiana, come fu chiamata la costruzione principale fu poi donata allo Stato. Il bellissimo parco ha perso gran parte delle sue caratteristiche, soprattutto per la vegetazione che occorreva di cure da giardinieri esperti di alto livello date le caratteristiche. Ora delle 150 specie di piante esotiche resta la solitaria testimonianza di una quasi bicentenaria araucauria.
A questa storia si intreccia quella del duca di Sangro, discendente del duca Sansevero della omonima famosa cappella, il quale sposatosi, evidentemente per amore, rimane vedovo dopo nemmeno un anno dalle nozze. Il duca per lenire il proprio dolore parte e va prima a Londra e poi a Parigi, città dove per distrarsi comincia a collezionare piccoli oggetti d'uso, ceramiche e porcellane. Rientrato a Napoli lascia la sua collezione ad un nipote che alla propria morte la dona alla città, avendola ulteriormente arricchita. Il problema fu dove collocarla e l'allora Ministro Gentile, siamo nel 1924, scelse la Floridiana. Nacque così il Museo delle Ceramiche Duca di Martina da un titolo dei donatori, uno dei più importanti del Paese per la dovizia e la qualità dei suoi reperti. E non disdice che, come quasi tutti i musei di questa città, si trovi in un luogo tra i più belli e panoramici, il che ne aumenta il fascino e il godimento.
Maresa Sottile
martedì 7 maggio 2013
Giuseppe Arcimboldo il surrealista del '500
Artista inquietante Giuseppe Arcimboldo (Milano1526-1593) con le sue Stagioni, i suoi Elementi, le sue Nature Morte che capovolte diventano ritratti. Inquietante e affascinante nelle sue misteriose e complesse simbologie. Milano mette in mostra queste opere precedute da una serie di suoi disegni oltre a due Autoritratti che dimostrano la splendida 'mano' disegnativa dell'artista; e da disegni e quadri del tempo: caricature di Leonardo, studi di Aurelio Luini, Ambrogio Figino, Girolamo della Porta, Francesco Melzi, Cesare de Sesto... e da una serie di lavori di altissimo artigianato: cristalli di rocca, tessuti, armi, sculture, vetrate, lavori di oreficeria, libri e codici miniati, che anticipando le opere dell'artista, danno un'idea della cultura e del mondo del tempo in una mostra strepitosa, davvero imperdibile e molto affollata.
Figlio d'arte, Arcimboldo, o Arcimboldi, ben inserito nel mondo milanese grazie al padre, fu artista di successo ma della sua produzione pittorica non resta molto, L'albero di Jesse (in riproduzione) del duomo di Monza realizzato con Giuseppe Meda (1530-1599) è una delle sue prime opere. Andato al servizio di Massimiliano II d'Austria, e poi del figlio Rodolfo II, visse e operò tra Vienna e Praga, dove Massimiliano trasferì la capitale dell'Impero, acquistando grande fama tanto che dovette replicare le sue Stagioni sicché fossero mandate in dono ad altri sovrani che le richiedevano. Realizzò per il sovrano la Wunderkammer (Stanza delle meraviglie, molto in voga in quei tempi), Le Stagioni e gli Elementi: Fuoco, Terra, Acqua, tutti realizzati con quelle inquietanti composizioni vegetali o di animali, vedi Mare, o di oggetti come il Libraio o il Fuoco, ed un ritratto di Rodolfo come Vertumno, dio etrusco dei cambiamenti, realizzato con vegetali. Volti aggrottati - solo la Primavera ha un aspetto meno arcigno realizzata com'è con fiori dal bianco al rosa-rosso – che stravolti dagli elementi che le compongono hanno un che di orrido e visionario, anticipando di quattro secoli il Surrealismo e, vere e proprie Nature Morte, ispireranno anche Caravaggio che da ragazzo visse a Milano dove l'Arcimboldo volle tornare dopo venticinque anni di assenza.
sabato 4 maggio 2013
Suor Orsola Benincasa Una cittadella nel cuore di Napoli
A mezza strada sulla collina che sale verso il Vomero c'è la cittadella universitaria di Suor Orsola Benincasa.
Orsola Benincasa era una bambina povera e malaticcia che si rifugiò nella preghiera, a 10 anni ebbe delle estasi e presto fama di guaritrice. Ciò la distoglieva dal suo mondo di preghiera, per cui cercò rifugio sulla collina che saliva verso Sant'Elmo per vivere da eremita.
Nel 1579 ebbe una visione che la spinse ad andare dal Papa Gregorio XIII per dirgli di avviare la riforma della Chiesa. Ascoltata dal Papa, esaminata per mesi da una Commissione sospettosa e scettica di cui faceva parte anche Filippo Neri, non si giunse a nulla.
Rilasciata rientrò a Napoli. Nel 1583 fondò la Congregazione delle Oblate della Immacolata Concezione, dedite all'educazione delle giovani. In seguito fu istituito anche quello delle Romite dedito alla clausura. Ciò perché la Chiesa ufficiale fece molta pressione sulla Benincasa in quanto non erano ben viste iniziative religiose che non fossero sotto il suo controllo, per di più ad opera di una donna.
Nel 1587 la duchessa Cornelia Pignatelli le donò dei terreni con delle costruzioni vicini al suo romitaggio. Suor Orsola morì nel 1618, venerata dal popolo. Dopo la peste del 1656, il vicerè spagnolo, fece costruire il grande complesso conventuale e Pio VI nel 1793 la dichiarò Venerabile.
Soppressi gli istituti religiosi e morte le ultime suore che lo occupavano nel 1891 il complesso divenne scuola gratuita sfuggendo, grazie ad Emilio Beneventani che lo diresse fino alla morte (1887), all'incameramento dei beni degli ordini religiosi da parte del nuovo stato italiano. Nel 1895 fu istituito il Magistero retto dall'Istituto Universitario. Adelaide del Balzo Pignatelli principessa Strongoli ne fu ispettrice onoraria e dal 1901 amministratrice. Il suo grande impegno pedagogico, condiviso con Antonietta Pagliara, lo portò ad essere un istituto di alto livello.
Con la collezione di oggetti, quadri, mobili che la Pagliara lasciò all'Istituto è stato creato un museo con sede nel Romitorio.
Maria Algranati in Tavola calda, da poco edito da Albatros, descrive magistralmente l'Istituto all'inizio del '900.
Il sito conventuale, oggi universitario, ha una superficie di 33.000 mq. con otto edifici di cui due chiese, chiostri e giardini. Tutta la struttura è piuttosto disordinata perché costruita in più tempi. Un alto muro divide il complesso dal mondo caotico che scorre ai suoi piedi, ma egualmente da vari luoghi si può ammirare il golfo e parte della città. Incantevole il grande chiosco, il giardino dei quattro continenti con le sue piante caratteristiche ed anche rare. Affascinanti i lunghi e vasti corridoi voltati dalle mura profonde. Molto bella la chiesa dell'Immacolata fondata da Orsola nel 1580. I restauri sono stati realizzati dai professori e allievi dei corsi dei Beni Culturali.
Oggi questo Ateneo ha tre Facoltà: Scienza della Formazione, Lettere, Giurisprudenza; offre sette corsi di laurea breve: scienze dell'Educazione, del Servizio Sociale, della Comunicazione, Conservazione dei Beni Culturali, Turismo per i Beni Culturali, Diagnostica e Restauro, Lingue e Culture Moderne; nove di lauree specialistiche: da Scienze Pedagogiche a Comunicazione istituzionale e d'impresa, ad Archeologia, a Scienze dello Spettacolo e produzione multimediale... e corsi di specializzazione con una ricca risposta alle esigenze delle richieste nel campo della formazione.
Inoltre offre alla città una intensa attività culturale con conferenze, incontri con autori e così via.
Questa cittadella nella città, ricca di storia e di memorie, ha saputo coniugare il passato alle più moderne esigenze, in un polo di eccellenza della città.
Maresa Sottile
domenica 28 aprile 2013
Diana Franco
Una artista eclettica
Diana Franco, ceramista e pittrice, mi riceve nella sua luminosa casa del Vomero, dai soffitti voltati ed i muri profondi. Alle pareti sue opere, per porte pannelli di vetro colorato da lei realizzati. E' ancora una bella signora molto sorridente e affabile.
La Franco è una artista che ha dedicato tutta la vita al proprio lavoro, spaziando fra ceramica, decorazione del vetro, pittura, mosaico. Formatasi all'Accademia di Belle Arti di Perugia con Gerardo Dottori, artista del secondo futurismo, famoso per la sua Aereopittura, e alla Scuola d'Arte di Napoli dove si è diplomata in ceramica, insegnandola poi nello stesso Istituto. Oltre agli studi l'ha certamente introdotta alla cultura la provenienza familiare: infatti suo padre Manfredi, era un noto architetto, eclettico nei suoi molti interessi intellettuali.
Diana ha iniziato la sua carriera negli anni '50 - '60, allorquando Napoli viveva un periodo fiorente delle arti figurative e non solo, con artisti che fanno ormai parte della storia dell'Arte Contemporanea, e oggi sente la mancanza del mondo intellettuale ed artistico che ha frequentato in quel tempo, e trova che attualmente non vi sia coesione né tra gli artisti né tra gli intellettuali. Nota l'inaridimento dello 'spirito d'arte e cultura' in questa città, dei rapporti amicali superficiali e del fiorire di una quantità di 'artisti' improvvisati. E non le piace neppure la divisione tra arti figurative e arti minori, e non si può che concordare con lei. Nessun vero artista ha mai fatto distinzioni né le farà mai.
La Franco ha esposto in Italia ed all'estero ed ha vinto numerosi premi. Del suo lavoro hanno scritto critici come Carlo Barbieri, Raffaello Causa, Maria Roccasalva, Paolo Ricci, Michele Prisco, ed altri. Tra questi Pietro Maria Bardi Soprintendente del Museo d'Arte Moderna di San Paulo del Brasile, città dove visse per un paio di anni, tra il '78 e l'80, riscuotendo un grande successo, chiamata anche dall'Università a fare delle lezioni, e che le aprì opportunità molto interessanti, alle quali rinunciò per rientrare in Italia.
Nonostante il suo indubbio valore, di lei non si parla abbastanza. La dimenticanza è un vizio nazionale, che a Napoli è molto esercitato. Eppure la Diano ha molto lavorato, ha collaborato con Giuseppe Macedonio, uno dei massimi ceramisti italiani, con opere in musei di tutto il mondo, eseguendo il pannello di 20 m. sull'ingresso delle Serre Botaniche (arch. C. Cocchia) ed un pannello per la Fontana dell'Esedra nella Mostra d'Oltremare, ed ha lavorato per architetti di valore, decorando loro strutture con bellissime ceramiche, come quella dell'ingresso in un palazzo di via Palizzi dell'arch. Rossoni, e non solo ma eseguendo decorazioni in ceramica ed anche a mosaico in edifici pubblici. Ceramiche e dipinti hanno forme espressivamente figurative, mescolate spesso a quelle astratte. La Franco ha un grande senso del colore e della sua composizione-accordo. Ma sono diversi i colori delle ceramiche e dei dipinti da quelli dei vetri, più caldi, solari, mediterranei i primi, taglienti e forti i secondi, più adatti a creare degli effetti fantastici nelle trasparenze delle forme totalmente astratte. Colpisce la sua lavorazione del vetro, con una tecnica che non vuole del tutto rivelare, mi accenna solo che per lo più non sono dipinte, sono eseguite con una tecnica nella quale ha usato anche forti fonti di calore e il colore è entrato nel materiale stabilizzandovisi. Oltre alla capacità tecnica mi incanta il risultato, l'assemblaggio delle forme-colore, delle sovrapposizioni di colori e gli spuntoni di cristalli, tali appaiono, che sembrano gemme applicate alle lastre: composizioni straordinarie di forme e colori esaltati dalla luce che li filtra.
Maresa Sottile
giovedì 14 marzo 2013
Diario napoletano, ultima puntata
14/3
Sono troppo demoralizzata a proposito di questa città e non ho più scritto perché le cose di cui parlavo sono in parte venute a galla, com'era anche ovvio, dette da stampa, telegiornali, voci ben più importanti di me, e siamo stati addirittura anche declassati, un palazzo nella zona “buona” della città è in parte crollato e ci sono problemi a negozi ed altri edifici. Il buon senso avrebbe dovuto guidare progettisti, politici, ditte, tecnici, ma il buon senso non è di queste parti. Riviera di Chiaia, lo dice il nome, era una spiaggia, poi è diventata una strada. Poi è venuta la Villa, poi via Caracciolo. E fin qui può essere, ma scavare la “chiaia” per fare i tunnel, la dove scendono le acque del Vomero, passano le acque termali del Chiatamone, sciaborda il mare, boh. E su tutto il traffico raddoppiato. E che si parla a fare. Non valgono i discorsi di tecnici importanti, professori universitari che hanno detto che quel traffico raddoppiato ha dato il colpo di grazia a situazioni già gravi, figurarsi quello che scrivo io. Bagnoli e la Città della Scienza è stata bruciata. Camorra? Boh, comunque pensiero camorristico. Non ci sono commenti qualsiasi cosa si pensi di Città della Scienza, perché non è che tutti la volessero o la amassero, pensando che quella zona avrebbe potuto essere bonificata (almeno si spera) per diventare una zona turistica. Voglio parlare ancora dei mezzi di trasporto, la Metropolitana Collinare in particolare. Qualcuno si è accorto che i treni sono diventati più corti? I vagoni potrebbero essere serviti per i treni che ora arrivano a Piazza Borsa e Via Roma (che però già esistevano), tra parentesi la più bella d'Europa, ma forse sarebbe stato meglio avere una metropolitana funzionante che la stazione più bella d'Europa. Le corse continuano a saltare, guarda caso anche nell'ora di punta, e i vagoni soppressi rendono la metropolitana collinare in vagoni bestiame che non riescono a partire perché le porte non si chiudono. E' successo ieri sera tra le 19,30 e le 20. Diversamente dall'altra volta che mi è capitato e di cui ho già parlato, questa volta l'annuncio del prossimo treno (questa volta fatta per altoparlante) ne è passata un'altra dopo 4 minuti. Cosa c'è che non va, ci sono problemi alle macchine o sulla linea, o manca il personale? Sempre per mancanza di soldi? Sulla metro è difficile passare senza biglietto, quindi gli utenti pagano, ma egualmente i denari non bastano?
Adesso verrà introdotta la ZTL anche nella zona di Piazza de Martiri, via Dei Mille. E il trasporto non funziona. Da ridere.
Continuerò a scrivere questo diario come testimonianza di quello che accade a Napoli, dalla parte di un cittadino utente dei servizi (?) o meglio dei disservizi, ma non lo metterò sul mio blog, non ha senso (tra l'altro non ho visto un solo commento, anche negativo, non importa). Continuerò a parlare di arte e dintorni.
giovedì 14 febbraio 2013
Diario napoletano continuazione
...........Alle fermate e sui mezzi di trasporto la gente, spesso esasperata dalle lunghe attese e dai mezzi stracolmi, parla dei disservizi della città, un signore l'altro giorno diceva dei tempi di attesa anche della metropolitana persino nelle ore di punta come le 13-13,30 e finiva dicendo: ”Anche loro si sono 'napoletanizzati' “ come se pensasse che la metropolitana fosse gestita da persone di fuori, chissà perché aveva quest'idea? Forse perché pensava che un meccanismo complesso come quello della metro non potesse essere gestito da napoletani? E infatti ne è gestito male. Ho anche notato che quando non sono le ore di punta le metro sganciano i vagoni, infatti ne mancano un terzo. E una cosa di cui non capisco la ragione, così la metro è sempre piuttosto affollata a qualsiasi ora. Non credo che succeda in altre città. Potrei sbagliarmi ma ne dubito. Come pure le ore di punta sono assai relative perché già dopo il treno delle ore 13,05 c. passano 10 minuti almeno prima di un altro treno. Non mi sembra che non sia più ora di punta. Ma i napoletani non si lamentano, almeno arriva, loro sono abituati alle attese estenuanti dei bus, figurarsi quei 10 minuti del la metro.
Ma governare una città non significa controllare e seguire queste cose? Quando l'Azienda di Mobilità ha fermato i mezzi per mancanza di carburante, cioè di soldi per pagarlo, De Magistris ha dichiarato che non era a conoscenza della situazione, convinto di essere così giustificato. Ma allora che fa in Comune? Beh certo ora deve pensare alle politiche, che gliene frega di Napoli. Lui guarda lontano e noi ci guardiamo le nostre buche e i nostri disservizi. Ma perché chiunque salga al Comune di questa città si rivela un grande fallimento?
mercoledì 30 gennaio 2013
Diario napoletano
30/1/2013 Ultima notizia: Mezzi di trasporto fermi per mancanza di gasolio. La città è senza bus, tutti a piedi!!!!! Non ci sono commenti
Diario napoletano continuazione
E' arrivato il 'puro', il 'magistrato' entusiasticamente napoletano, e come tanti allocchi gli abbiamo creduto. Ora in giro si sentono commenti che non gli farebbe piacere sentire, ma credo non gli importi, questo è il suo trampolino di lancio per ben altro. spero che la delusione dei napoletani lo punisca. Ha fatto solo cose che facessero parlare di lui, per il resto zero, anzi peggio. Questa città va a rotoli, viverci è difficile e lui ha studiato come fare affinché i suoi abitanti ci stiano sempre più 'scomodi'. La grande idea: ha chiuso via Caracciolo e via Partenope. Serve per fare jogging o footing che dir si voglia, serve per far vedere quanto è bella Napoli, o meglio la sua facciata, quella cartolina che il mondo conosce, l'immondizia va sotto il tappeto. Ma chi fa jogging durante la settimana o quando piove o quando tira il vento? Serve al turismo. Quale? Ogni tanto si vede qualche turista al Vomero dall'aria sperduta che cerca San Martino, qualche gruppo qua e là a vedere il poco che la città fa vedere del tanto che ha: Piazza Plebiscito e poco più. Il turismo c'è a Milano. Roba da matti, ma Milano è diventata una città turistica e di un turismo anche ricco che va a Via Montenapoleone, Via della Spiga e compra le grandi firme italiane a suon di bigliettoni, molto meglio di quello di massa che deturpa Roma. Il turismo a Napoli è misera cosa. Finiti gli anni nei quali venivano dall'estero e addirittura restavano come i Gutteridge, i Knight, i Cosulich, i Caflish, e tanti altri, trovando qui la loro America ma anche creando lavoro e dando prestigio alla città, o degli artisti ed intellettuali che dopo scrivevano mirabilie, anche se non mancano tante pagine sulle tante e incredibili miserie della città. Ma che vengono a fare i turisti a Napoli? I servizi sono pessimi. La locomozione terribile soprattutto nell'ultimo anno, non ci sono mostre degne di nota da un bel po', nei musei c'è sempre qualcosa che non si può vedere perché manca il personale, la città è sporca, le strade malmesse, molte delle cose da vedere sono in zone nelle quali non si può sempre andare per motivi di incolumità personale e dei propri beni. La maggior parte dei pullman di turisti bypassa la città e va direttamente a Sorrento, in Costiera o al porto per imbarcarli per le isole.
Una delle cose famose di Milano sono i suoi palazzi e soprattutto i suoi cortili. Bisogna dirlo: belli e tenuti benissimo. A Milano c'è proprio il culto della manutenzione, concetto che dimostra grande capacità di spesa oculata. Una buona manutenzione evita le spese colossali di quando dopo decenni di abbandono si vuole e deve correre ai ripari. A Napoli si odia la manutenzione. Si aspetta che il degrado sia totale e spesso irreparabile o disastrosamente costoso per cui non si può fare. Anche a Napoli ci sono palazzi e cortili assai belli, ma ridotti in condizioni indescrivibili.
domenica 27 gennaio 2013
Diario napoletano continuazione
...Dicevo di Via Caracciolo e Via Partenope chiuse al traffico, cosa secondo me senza senso. Per non parlare di Viale Gramsci (per i napoletani sempre Vial'Elena) che fino alle 14 non è percorribile se non da chi ha l'autorizzazione e dai tassì. Ma che senso ha? Piazza Della Repubblica è devastata da aggeggi gialli di plastica, dei quali non conosco il nome tecnico, che servono a chiudere l'accesso a via Caracciolo e a Vle Dohrn in ambo i sensi deviando il traffico sulla Riviera di Chiaia, anch'essa divisa in due da quegli aggeggi gialli, invadenti ed antiestetici. La sagra dell'imbecillità. E il lungomare sta lì, solo soletto e deserto. E così si sono risolti i problemi di Napoli, intasandone ancor più il traffico, rendendo sempre più difficile viverci. Anche a Piazza Amedeo è bloccato l'accesso a via Vittoria Colonna per poter girare per via San Pasquale e prendere la Riviera di Chiaia nei due sensi. Dalla Riviera si può andare a Piazza Vittoria e obbligati a prendere Via Arcoleo per poter girare a sinistra in via Domenico Morelli, Via Filangieri....oppure girare per Via Vannella Gaetani e tornare alla Riviera. Ma si può anche andare dritti nella Galleria Vittoria per uscire a Via Acton; si può anche percorrere il Chiatamone (fino a giugno, dice un cartello, quando il senso verrà invertito.) per uscire a Via Santa Lucia e seguire un percorso obbligato fino a via Acton. Però dopo le 14 si passa e si passa anche il sabato e la domenica dopo le 19. Un gran casino che dimostrano confusione mentale, dispotismo e strafottenza per i cittadini. All'inizio anche il Cso. Vittorio Emanuele era diventato in parte non transitabile, almeno così si diceva, comunque ci sono stati giorni di blocco del traffico, un caos infernale nel quale tanti sono rimasti intrappolati. E mentre i napoletani si 'arrangiano' con mezzi latitanti, strade chiuse al traffico, strade sempre più intasate, il sindaco si fa bello del suo “lungomare liberato” che resta desertico. Poi al sabato e la domenica si anima, naturalmente se il tempo è bello. Allora si poteva continuare come prima rendendo magari fissa la chiusura al traffico in quei due giorni.
Mezzi di trasporto sempre più latitanti per mancanza di soldi: assicurazioni non pagate, stipendi in forse, mancanza di soldi per la manutenzione. Le fermate sono super affollate di disperati in attesa di un mezzo di trasporto: si possono avere attese anche di 45, 50 minuti, qualche volta anche di più. Per fortuna Napoli ha le funicolari, mezzo di trasporto che davvero risolve molti problemi, sempre in orario. Poi ci sono due metropolitane, una ne so poco, va in zone che non frequento e non posso parlarne, l'altra, la Collinare come è chiamata, lo sanno tutti che è la più bella metropolitana d'Italia, no d'Europa. Ed è vero, è bella e soprattutto bisogna dire che nel complesso il degrado è minimo, quasi nullo, nonostante ormai abbia un venticinque anni. Tutto troppo bello per essere vero. Infatti la Metropolitana Collinare ha davvero dei tempi di attesa incredibili. Nelle cosiddette ore di punta, cioè la mattina negli orari nei quali si va a lavoro l'attesa è di pochi minuti, ma poi gli orari arrivano anche a dodici minuti di attesa. Giorni fa ho preso un treno a Piazza Vanvitelli alle 13,14, pieno come un uovo tanto che non si riuscivano a chiudere le porte. Molti sono rimasti sul marciapiede: doveva essere saltata una corsa almeno per giustificare quella folla, mentre stipata in quel carnaio (dovevo scendere alla fermata dopo fortunatamente) che non riusciva a ripartire, l'occhio m'è andato sul display sul quale scorreva la scritta: PROSSIMO TRENO TRA 14 MINUTI. Ma vi rendete conto? E ci sono napoletani entusiasti della chiusura di Via Caracciolo e via Partenope e che trovano che la metropolitana nelle ore di punta, in cui l'hanno presa, era accettabile. Sarò io che sono strana............
sabato 5 gennaio 2013
Diario napoletano (continuazione)
Il giovedì, quando posso vado al Mercatino di Posillipo. Amo i mercatini in genere, li trovo divertenti, allegri. Quello di Posillipo è lungo l'ampio viale Virgiliano che porta all'omonimo Parco, ex della Rimembranza. E' un mercatino con un target più elevato del solito, data la zona elegante: Posillipo, il quartiere in assoluto più bello della città perché quello rimasto più simile al suo inizio nonostante anch'esso abbia subito le sue brave violazioni. Posillipo ha un suo microclima, spesso l'aria è persino profumata, tutta aperta sul mare ha una luce straordinaria. Posillipo, come tutti sanno, vuol dire pausa dal dolore, luogo ameno dove rinfrancarsi, dal greco paùein-lype. Vi ho vissuto molti anni ed è il mio 'luogo dell'anima', ma questa è un'altra storia.
Per raggiungere il Mercatino, se non si sta già a Posillipo, bisogna percorrere via Manzoni, strada tra le più lunghe della città che dopo un percorso pianeggiante sulla zona alta della collina di Posillipo, con due crinali, uno verso il mare del Golfo e l'altro verso i Campi Flegrei, quindi il mare di Bagnoli con Nisida, Procida, Ischia, fin verso Pozzuoli e oltre. Ma solo in pochi punti si può ammirare tutto ciò, perché serie ininterrotte di palazzi chiudono la vista. Nell'ultima parte Via Manzoni è in discesa, alberata da ambo i lati e sulla destra si gode il panorama splendido di cui ho detto: Campi Flegrei...... Dall'altro lato ville e palazzi di lusso spesso dietro zone verdeggianti chiuse da muri e cancelli. Le radici dei pini che la fiancheggiano hanno deformato marciapiedi e carreggiate. In macchina si fa lo slalom e a piedi invece del panorama bisogna guardare dove si mettono i piedi. Ogni anno è sempre peggio, ma naturalmente non si rimedia in alcun modo. E così continua al Viale Virgiliano. Buche, pavimentazione deformata dalle radici. Camminarci diventa un impegno serio per non storcersi una caviglia o inciampare e finire faccia a terra. Ma lo 'stoico popolo napoletano' va avanti e non dice niente, ed i suoi rappresentanti non fanno niente. 'Il resto di niente'. E' così anche per via Tito Lucrezio Caro, altra strada bellissima che da Posillipo (meglio Discesa Coroglio anche se tutti continuano a dire Posillipo e la Discesa viene più avanti da quello che più giustamente viene detto Capo Posillipo, anche se pure quello viene prima) porta al Parco Virgiliano raccordandosi col Viale. Un paio d'anni fa una terribile tempesta spezzò molti dei pini che la fiancheggiano. La strada fu chiusa, gli alberi abbattuti portati via. La strada è ancora chiusa perché impraticabile per le deformazioni della carreggiata dovuta alle radici dei pini, che naturalmente non sono stati ripiantati, la strada non è stata sistemata. Servono commenti a tutto ciò?Ma queste sono le punte di un iceberg. Se la zona più bella di Napoli sta così, come potranno mai stare le altre?
martedì 1 gennaio 2013
Stralci dal "Diario napoletano" che sto scrivendo:
.....sono andata alla Fondazione Valerio per la Storia delle Donne. Credo siano in pochi in questa città a sapere cosa sia e dove sia. Il nome mi sembra chiaro, già perché le donne hanno una loro lunga storia con molte rappresentanti degne di nota. Solo di poche se ne sa qualcosa, molte, la maggior parte sono ignorate e ne sanno solo studiosi e persone particolarmente acculturate. Ma in questo momento non voglio parlare di questo, ma del luogo di questa Fondazione che è in un vicolo di via Pessina, scendendo a destra, poco prima di Piazza Dante: Vico Luperano. Appena si imbocca il vicolo dopo pochi metri a destra si apre un altro vicolo, questa volta cieco, finisce infatti con un grande portone arcuato in pessime condizioni. Nessuna indicazione ben visibile che indichi che sono arrivata dove dovevo andare né come entrare, poi si apre per qualche motivo il portone e si vede un cortile più o meno quadrato e di fronte c'è la struttura di un palazzo quattrocentesco in pietra grigio perla di un piano con finestre arcuate bordate di bianco. Sulla struttura bella, elegante nella sua semplicità si innalzano tre piani di un orribile palazzo diciamo moderno. Anche sugli altri due lati che lo fiancheggiano orribili palazzi. Nel cortile macchine parcheggiate.
Questo palazzo era la Villa La Conigliera del re Alfonso II, architetto, pare, nientemeno che Giuliano da Maiano, ed era circondata da una zona boschiva, probabilmente ricca di conigli, che giungeva fino a quella che ora è una delle strade più brutte della città: Via Salvatore Rosa. Una volta era chiamata l'Infrascata, cosa che fa pensare ad un luogo verdeggiante, pieno di frasche. Sì perché una delle prerogative di questa città, o meglio di coloro che hanno operato e operano “su” questa città è che hanno fatto e fanno di tutto per trasformare luoghi belli e ameni in posti orribili. E' come se, essendo circondati da troppa bellezza, fossero diventati del tutto indifferenti ad essa.
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